Le antiche rotte commerciali

Occidente e Oriente oggi ci appaiono così diversi, come due mondi separati, in realtà in epoche più antiche erano molto interconnessi grazie allo scambio di beni lungo le rotte commerciali. Insieme alle merci che arrivavano via terra dall’Estremo Oriente e via mare attraverso il Mediterraneo, giunsero anche nuove conoscenze e tecnologie che si sono diffuse, e altre usanze e diversi modi di intendere la vita che si sono influenzati l’un l’altro.
Di queste antiche rotte che attraversavano i continenti, è stato possibile ricostruire i percorsi dalle testimonianze e dai reperti archeologici rinvenuti. Tra le materie prime molto ricercate nell’antichità c’erano:

L’ossidiana – è una roccia di origine vulcanica che si forma in particolari condizioni con il rapidissimo raffreddamento della lava.
Viene citata con il termine obsiana dallo scrittore e naturalista Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, come una pietra di colore nerissimo, talora traslucida, il cui nome sembra derivi da Obsius, un mercante che la rinvenne in Etiopia. L’ossidiana può anche essere di colore grigio, o assumere tonalità di verde, blu e rosso.
Conosciuta fin dalla Preistoria questa pietra vetrosa che tende facilmente a scheggiarsi fornendo margini taglienti, venne largamente utilizzata come utensile o come arma durante il Neolitico, l’ultimo dei tre periodi dell’Età della pietra in cui l’uomo abbandona il nomadismo e diventa sempre più sedentario scoprendo l’agricoltura e l’allevamento.
L’interesse per l’ossidiana si spense con la successiva Età dei metalli, periodo storico in cui l’uomo scoprì la metallurgia. A intensificare gli scambi commerciali furono quindi i metalli come il rame, lo stagno, l’oro, l’argento e il piombo.

Presso le antiche civiltà del Messico e del Perù l’ossidiana veniva usata per farne armi, ma anche monili; con essa gli antichi Egizi creavano scarabei e amuleti, i greci e i romani realizzavano oggetti come vasi, ciotole, statue e anche monili.
Molto ricercata è stata l’ossidiana dell’arcipelago delle Eolie e di Pantelleria (Sicilia) e quella egea di Milo, un’isola delle Cicladi (Grecia), tanto da diventare oggetti di una larga rete di scambi anche con popoli delle regioni lontane del Mediterraneo. Questa roccia molto simile al vetro è possibile trovarla anche sul Monte Arci in Sardegna, e sull’isola di Palmarola (Latina) e in altri territori vulcanici, come in Islanda, in Francia, in Boemia, in Ungheria e in Siberia.

L’ambra – non è una pietra ma una resina fossile molto preziosa, un tempo prodotta da conifere o da piante leguminose ormai estinte.
Le tonalità dell’ambra generalmente sono calde e vanno dal giallo all’arancio, a volte virando verso il rossiccio, fino al bruno. Esiste anche una tonalità di ambra molto chiara vicina al bianco, chiamata ambra reale, molto rara in passato veniva paragonata all’avorio.
La lucentezza dell’ambra può essere compromessa da bolle e venature tanto da apparire a volte opaca o semi-opaca. La sua trasparenza può variare, assumendo raramente la tonalità del blu e del verde fluorescenti ai raggi ultravioletti, come l’ambra dominicana.
L’ambra a volte può contenere fossili vegetali o animali rimasti intrappolati nella resina appiccicosa durante il processo di solidificazione, preservandoli così nel tempo e rendendo possibile oggi lo studio delle caratteristiche di queste piccole specie vissute nel passato geologico.

Come succede nel film di Steven Spielberg “Jurassic Park” del 1993, in cui in un’ambra fossile sono conservate alcune zanzare preistoriche, dalle quali  viene estratto il DNA di dinosauro per realizzarne la clonazione. John Hammond, un bizzarro miliardario con la passione per i dinosauri, ricrea in questo modo un “mondo perduto” in un’isola tropicale di sua proprietà un parco a tema dove vivono varie specie di dinosauri clonati.

Fin dai tempi antichi con l’ambra si creavano ornamenti, che sono stati rinvenuti nelle tombe micenee e degli antichi egizi, si forgiavano amuleti per re e regine. Gli antichi greci la chiamavano “electron” ossia “sostanza del sole”, si riteneva che l’ambra avesse poteri divini e medicamentosi, forse per il fluido elettrico di cui si carica una volta sfregata. Ai romani era nota come succinum”, termine citato da Plinio il Vecchio come derivante da succum, il succo o la resina degli alberi. Gli antichi popoli germanici del nord-est europeo bruciavano l’ambra come incenso e la chiamavano “pietra da bruciare”.
A questa preziosa resina sono legati numerosi miti del passato, come quello di Fetonte della mitologia greca.

Fetonte disobbedendo al padre Helios, volle guidare il carro paterno attraverso il cielo, da cui precipitò. Le Eliadi che assistettero alla morte del fratello e piansero tanto dalla disperazione, furono trasformate in pioppi mentre le loro lacrime divennero ambra.

Il mito di Fetonte è raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi, ed è rappresentato in un affresco all’interno del Palazzo del Te di Mantova, una villa rinascimentale che il marchese Federico II Gonzaga fece costruire tra il 1524 e il 1534 dall’architetto e pittore italiano Giulio Romano. L’affresco si trova al centro del soffitto nella Sala delle Aquile, dominato da un ottagono entro cui è dipinta la Caduta di Fetonte. La sala dominata agli angoli da quattro aquile con le ali spiegate, era utilizzata da Federico II come camera da letto. (Foto personale)

Esistono molte varietà di ambra che provengono da diverse zone del mondo:

  • l’ambra della Repubblica dominicana che proviene dalle piante leguminose,
  • l’ambra messicana che si trova nella zona del Chiapas, nota fin dai tempi della civiltà Maya, anch’essa prodotta dalle leguminose,
  • l’ambra birmana chiamata burmite, nel Myanmar è ormai piuttosto rara,
  • l’ambra siciliana chiamata simetite anch’essa rara è molto apprezzata,
  • l’ambra delle Romania detta rumanite, era conosciuta già dagli antichi romani,
  • l’ambra baltica è la più conosciuta e ricercata, nota già dall’età della pietra, dalla grande varietà di colori e sfumature proviene dalle foreste nella regione del mar Baltico e del Mare del Nord.

La Via dell’Ambra

L’ambra divenne una pregiata merce di scambio, il cui trasporto avveniva lungo  un’antica rotta commerciale: la Via dell’Ambra che collegava il Mar Baltico con il Mar Mediterraneo, attraversando l’Europa centrale, favorendo così anche lo scambio culturale tra le diverse civiltà europee. La rotta che attraversava vari paesi raggiungeva città importanti, come Aquileia un centro manifatturiero di rilievo italiano. Tra l’altro l’ambra si trovava anche nel sud Italia e in Sicilia e veniva lavorata dai popoli italici; Grecia ed Egitto nei tempi antichi erano i maggiori trasformatori dell’ambra grezza in oggetti preziosi.
Fu nominata anche la “Via Imperiale dell’Ambra” che collegava le terre dei barbari con l’Impero  romano nel I – III secolo, periodo in cui il commercio dell’ambra fu molto intenso. Alla fine del III secolo si estese verso est raggiungendo il Mar Nero, ed entrarono in contatto con l’impero bizantino e le terre arabe.

Eurovelo9, dal Baltico all’Adriatico. È il nono fra gli itinerari Eurovelo, talvolta chiamato la Via dell’Ambra, è una pista ciclabile che attraversa sei paesi: Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Italia e Croazia. Lungo il percorso è possibile ammirare paesaggi di varia natura, città storiche e comunità locali che offrono la possibilità di conoscere le proprie tradizioni e di assaporare le specialità culinarie tipiche.

Il mar Mediterraneo fu protagonista di intensi scambi commerciali tra i popoli che abitavano le coste e le isole. Abili navigatori come i Micenei (XV-XIII sec. a.C.) e i Fenici (XII-VII sec. a.C.), si spinsero in Sardegna, in Spagna fino in Inghilterra alla ricerca di metalli, esportando legname, vetro, olio e profumi, prodotti tessili e costituirono empori commerciali che fornivano riparo e acqua dolce ai viaggiatori e consentivano gli scambi dei prodotti.
Sul dominio del commercio marittimo mediterraneo presero il sopravvento quindi i cartaginesi e poi i romani, che con l’espandersi dei confini dell’Impero crearono grandi aziende commerciali e grandi imprese di trasporto marittimo, che possedevano navi e trasportavano varie merci e prodotti alimentari (Annonarie romane).

Dal Medioevo in poi, nei porti e nelle città più importanti del bacino del Mediterraneo ai mercanti forestieri era concesso dall’autorità del luogo di depositare le loro merci, esercitare i loro traffici e spesso anche dimorare nei fondachi, che divennero dei veri e propri edifici o complesso di edifici.

L’Oriente storicamente considerato la culla di antiche civiltà come quelle della Mesopotamia, dell’India e della Cina, contribuì significativamente allo sviluppo della scienza, della filosofia e delle arti. Famose vie di collegamento vennero aperte nel corso del tempo via terra e via mare, vie che dall’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea) giungevano fino ai porti del Mediterraneo e del Vicino Oriente (Turchia, Siria e Iraq) o del Medio Oriente (Arabia Saudita, Iran e Israele).

La Via dell’Incenso

È un’antica rotta carovaniera che collegava l’Oriente all’Impero romano. L’incenso e la mirra ottenuti dall’essiccazione della linfa degli alberi, provenivano prevalentemente dai territori arabi (quelli che oggi sono lo Yemen e l’Oman) e venivano trasportati lungo la rotta via terra a dorso di dromedari, dall’estremità più meridionale della Penisola Arabica fino al Mediterraneo. Il loro aroma intenso era usato sia nel mondo romano che in quello greco ed egiziano nei rituali di sepoltura e di imbalsamazione.
Il trasporto di altre merci, come essenze profumate e preziose spezie che arrivavano via mare dall’India e dall’Estremo Oriente, rendeva questa tratta molto importante. Ma con l’affinarsi delle tecniche di navigazione che consentirono la nascita di rotte marittime più veloci ed economiche, la via dell’incenso venne gradualmente abbandonata.

La Via delle Spezie

Nell’antichità le spezie sono state oggetto di commercio tra Oriente e Occidente soprattutto in epoca romana e medievale: pepe, cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano erano molto ricercati non solo per il loro uso culinario, per il loro aroma, ma anche per le loro proprietà medicinali e per scopi religiosi.
Dall’India e dal Sud-est asiatico le spezie venivano trasportate fino al Medio Oriente dai mercanti arabi e persiani che controllavano gran parte del commercio, e da lì fino al Mediterraneo attraverso:

  • rotte terrestri, come la Via della Seta che attraversava l’Asia centrale, passando per città come Samarcanda e Baghdad.
  • rotte marittime che attraversavano l’Oceano Indiano, collegando porti come Calicut in India con il Mar Rosso e il Golfo Persico.

Nei porti del Mediterraneo orientale ad acquistare le spezie erano principalmente i mercanti veneziani e genovesi, che in regime di monopolio ne assumevano il controllo trasportandole in tutto il continente europeo.

Con l’inizio dell’epoca delle grandi esplorazioni marittime nel corso del XV e XVI secolo esploratori come Vasco da Gama e Cristoforo Colombo aprirono nuove rotte di navigazione. Furono i portoghesi i primi a scoprire una nuova rotta marittima diretta verso l’India circumnavigando l’Africa (La nuova rotta per le Indie), potendo così raggiungere direttamente e in minor tempo le fonti delle spezie, evitare le rotte terrestri divenute pericolose e contese, ed eludere l’intermediazione di commercianti arabi, persiani, turchi e veneziani che gravava sul prezzo delle spezie.
La Via delle Spezie si sviluppò ulteriormente collegando l’Europa all’India e all’Indonesia per arrivare fino alle Isole Molucche, note come “isole delle spezie” che attirarono l’interesse anche dei commercianti indiani e cinesi, per i quali le spezie erano molto preziose e venivano utilizzate per conservare e aromatizzare cibi, preparare lozioni medicinali e creare profumi.

Le spezie in passato erano considerate così preziose da essere utilizzate come moneta di scambio (il baratto). Il controllo del commercio delle spezie portò immense ricchezze alle città-stato come le Repubbliche marinare, qualora si fossero assicurate il monopolio, e prosperità e potere agli imperi come quello portoghese e olandese.
Ancora oggi le spezie continuano a essere apprezzate perché aggiungono sapore, colore e aroma alle pietanze, ma anche per i benefici effetti che hanno sulla salute e sul benessere, purché siano usate nelle giuste dosi.

La Via della Seta

La Via della Seta è stata una delle rotte commerciali più importanti che collegava l’Asia e l’Europa attraverso rotte terrestri, marittime e fluviali che favorirono per secoli i commerci tra l’Impero cinese e l’Impero romano.
Le vie carovaniere attraversando l’Asia centrale, il Medio Oriente e il Vicino Oriente raggiungevano una serie di insediamenti commerciali distribuiti lungo l’intero percorso, spingendosi fino al Mediterraneo.
Altre diramazioni si estendevano all’Estremo Oriente e all’India. Le merci caricate su navi percorrevano le coste dell’Oceano Indiano dirette al Golfo Persico o in Arabia, oppure verso la costa africana nel Mar Rosso e quindi risalire il fiume Nilo fino ai porti del Mediterraneo; un’altra diramazione proseguiva verso sud fino a Zanzibar.

Lungo la via della seta le merci scambiate erano seta e pietre preziose dalla Cina, vetro, avorio, argento e incenso dall’Impero romano. Oltre alle merci viaggiavano anche le idee, le scoperte, le religioni, come ad esempio il Buddhismo. Alcuni monaci buddhisti provenienti dall’India, attraverso la Via della Seta raggiunsero la Cina introducendo così il Buddhismo, che nel corso dei secoli si diffuse dalla Cina all’Asia Centrale e al Tibet.

Con la caduta dell’Impero Romano (IV secolo d.C.) la Via della Seta fu abbandonata. Venne ripristinata nel XIII secolo sotto l’Impero mongolo che garantì un periodo di relativa pace e stabilità, favorendo così il commercio lungo la Via della Seta.

I mongoli – originariamente erano un insieme di tribù nomadi che abitavano le steppe dell’Asia centrale, spesso in conflitto tra loro e con le altre popolazioni vicine.
Fu il condottiero Gengis Khan a riunificarle nel 1206 e a guidarle in una serie di conquiste che portarono alla creazione di un vasto e potente impero, che continuò ad espandersi anche dopo la sua morte avvenuta nel 1227.


Gengis Khan raffigurato su una moneta del Kazakistan

L’Impero mongolo raggiunse la sua massima estensione nel XIII secolo al tempo di Kublai Khan, espandendo i propri domini fino alla Cina, all’Asia centrale, all’Europa orientale, garantendo almeno fino al XIV secolo un periodo di relativa pace e stabilità, noto come Pax Mongolica che assicurò protezione ai mercanti e alle carovane lungo la Via della Seta.

È in questo periodo che avviene il viaggio di Marco Polo, mercante ed esploratore veneziano famoso per aver visitato l’Asia lungo la Via della Seta, insieme al padre e allo zio tra il 1271 e il 1295.
Accolto alla corte di Kublai Khan, primo imperatore della dinastia Yuan, dopo essersi guadagnato la sua stima Marco Polo divenne suo fidato consigliere e ambasciatore. Rimase per molti anni in Estremo Oriente, ebbe così molte opportunità di conoscere le varie culture, le tradizioni, le geografie e le economie locali, di osservare la grandezza e la ricchezza della corte imperiale mongola e le meraviglie che incontrò lungo la sua strada.
Ritornato via mare a Venezia nel 1295 attraversando l’Oceano Indiano, venne catturato dai genovesi che erano in guerra con i veneziani per il controllo del commercio orientale. In carcere ebbe come compagno di cella Rustichello da Pisa che mise per iscritto i suoi racconti di viaggio pubblicati nel libro “Il Milione” che ebbe un grande impatto sulla cultura europea e ispirò molti esploratori, tra i quali Cristoforo Colombo. Marco Polo ebbe il pregio di favorire una reciproca conoscenza tra Oriente e Occidente, introducendo in Europa concetti come la polvere da sparo e la carta moneta.

Sotto il dominio mongolo città come Samarcanda e Bukhara (nell’odierno Uzbekistan) divennero importanti centri di transito delle merci e di scambio culturale.
Nel secolo successivo a causa delle lotte interne e della difficoltà di governare un territorio così vasto, l’impero iniziò a frammentarsi e a dividersi in vari khanati (territori governati da un khan) decretando la sua fine.

La Via della Seta quindi accrebbe gli scambi commerciali e culturali tra Oriente e Occidente, esportando per esempio la polvere da sparo originaria della Cina dove veniva usata per feste e riti religiosi, e diffondendo la stampa sviluppata in Cina dove in forme primitive fu usata fin dal 6° secolo a.C., e destinata a trasformare i meccanismi di circolazione della cultura.

La Via del Sale

Uno dei commerci del sale più famosi nella storia avveniva lungo le rotte trans-sahariane, in modo particolare durante l’epoca dell’Impero del Mali.

Impero del Mali (1235-1600) – era uno dei più ricchi e potenti imperi dell’Africa occidentale, si estendeva  lungo il fiume Niger e copriva una vasta area che comprendeva parti degli attuali Mali, Guinea, Senegal, Gambia, e altre regioni circostanti.
Fu uno dei tre grandi imperi precoloniali: Ghana, Mali e Songhai, che non solo dominarono il commercio del sale e dell’oro che giocava un ruolo cruciale nella loro economia, ma furono anche centri di cultura, religione e apprendimento.
Il Mali divenne una colonia francese alla fine del 1800 e ottenne l’indipendenza nel 1960.

Il sale veniva estratto dalle miniere di Taghaza, un importante centro di estrazione per l’Africa occidentale situato nella regione desertica del nord nel Mali. Veniva quindi trasportato lungo le vie carovaniere attraversando il deserto, in viaggi che spesso duravano settimane o mesi.
Queste carovane attraversavano città importanti come: Timbuctù e Gao Gao che erano centri commerciali vitali per lo scambio di oro, sale, schiavi, tessuti e spezie, ma anche noti centri culturali (si trovano oggi nell’attuale Mali), Sijilmasa per il commercio di oro e schiavi (nell’attuale Marocco), Kano era famosa per i suoi tessuti e per lo scambio del sale (nell’attuale Nigeria).
Questa rete di scambi commerciali ebbe il suo apice tra il 700 e il 1600, poi iniziò a declinare con la scoperta di nuove vie commerciali marittime più efficienti e più sicure. (Il sale nella storia)

La Rotta Trans-Sahariana

La rotta Trans-Sahariana è una rete di antiche vie carovaniere che attraversavano le immense distese del deserto nord-africano fino all’Africa occidentale.
Dal IV secolo d.C. questa rotta fu percorsa da lunghe carovane di cammelli e dromedari arabi e berberi che trasportavano soprattutto oro e sale, piume di struzzo e schiavi. Fu anche veicolo di diffusione della religione e della cultura islamica tra le popolazioni berbere del Nord Africa.

Le piume degli struzzi originari dell’Africa sono particolarmente apprezzate per la loro lunghezza e la loro capacità di catturare e riflettere la luce. Tremila anni prima della nascita di Gesù Cristo, queste piume montate su lunghi bastoni venivano utilizzate per creare i ventagli noti come flabelli, utilizzati dai faraoni e dai nobili nell’antico Egitto come potenti simboli di autorità e regalità, ma anche come strumenti pratici, che una volta agitati creavano una leggera brezza rinfrescante, proteggevano dagli insetti e dal sole. Nella mitologia egizia una piuma di struzzo ornava il capo della dea Maat.

La dea Maat era la personificazione dell’ordine cosmico e incarnava i concetti di verità, giustizia e armonia.
Maat era considerata il principio etico e morale in grado di garantire l’ordine del mondo: operava di conseguenza anche in ambito funerario, incarnando la rappresentazione del giudizio finale. Nella scena della pesatura del cuore è infatti una delle figure fondamentali.

La piuma di Maat, soppesata sulla bilancia insieme al cuore del defunto, al cospetto di Osiride, permetteva di determinare l’operato di quest’ultimo e di giudicare se fosse degno di ottenere la vita eterna.

Museo Egizio di Torino

Nell’immagine: Maat dalle pareti della tomba di Seti I nella Valle dei Re – Museo archeologico nazionale di Firenze (wikipedia)

Dopo la scoperta dell’America e le nuove rotte commerciali, le piume più belle furono destinate ad adornare i cappelli delle nobildonne, e a guarnire gli abiti e gli accessori rinascimentali delle classi alte, a impreziosire i costumi pomposi e le maschere del Carnevale al tempo della Serenissima. Le piume di struzzo inondarono quindi le fastose corti del Vecchio Mondo facendo il loro ingresso alla corte del Re Sole nel corso del 1600, mentre Parigi nella seconda metà del 1800 impone “l’ultima moda” in fatto di abbigliamento. Ma è in epoca vittoriana che le piume di struzzo saranno particolarmente richieste per cappelli e abiti; per la loro leggerezza, volume e flessibilità si dimostreranno particolarmente adatte nel campo della moda europea, alla creazione di accessori vistosi e lussuosi, in voga pure negli allestimenti e nei costumi teatrali.

Ventagli di piume di struzzo giganti e penne di pavone spesso erano accessori scenografici e decorativi utilizzati nel burlesque, uno spettacolo che ha le sue radici nel teatro del XVII secolo ma che nel tempo si è evoluto includendo elementi di musica, danza e commedia che si combinano spesso con un tocco di sensualità e ironia.
Uno sguardo affascinante sul burlesque in chiave moderna lo offre il film “Burlesque” del 2010, un musical contemporaneo scritto e diretto da Steven Antin con Cher e Christina Aguilera.
Le piume di struzzo sono simbolo di eleganza e status sociale all’epoca del Titanic, sono un accessorio di moda molto popolare, molte donne dell’alta società infatti per partecipare a fastose feste indossavano abiti decorati con piume di struzzo, che diventarono una merce dal valore inestimabile.
Gioielli, guanti lunghi e aderenti, un soffice boa di piume di struzzo, sono simbolo della sensualità femminile, della femme fatale esaltata dalla moda della Belle Époque, periodo di grandi scoperte in ambito scientifico, del cinema, della fotografia e di liberalizzazione dei costumi.

Parigi divenne la capitale della moda mondiale, la Ville Lumière il cui simbolo è la Tour Eiffel completata nel 1889 in occasione della grande Esposizione universale, che andava affermandosi come uno dei principali centri culturali europei. Le signore dell’alta società parigina frequentavano gli atelier e i salotti delle case di moda come luoghi d’incontro, per informarsi sulle ultime novità.
La vita notturna di Parigi si arricchì di nuove realtà come i cafés-concerts e i cabaret dove si poteva ballare e assistere a spettacoli, il Moulin Rouge, il Moulin de la Galette, l’Élysée Montmartre erano frequentati da artisti, pensatori e personaggi in cerca di divertimenti e ispirazioni. Eletti a “luoghi sacri” del can-can, affascinarono molto il pittore Henri de Toulouse-Lautrec e furono fonte di ispirazione per diverse sue opere, come il manifesto (a destra) Troupe de Mlle Églantine del 1895. Henri de Toulouse-Lautrec fu uno dei massimi esponenti dello spirito bohémien, che in Italia si espresse con il movimento artistico e letterario della Scapigliatura.
Nel quartiere di Montmartre a Parigi, frequentato e abitato da molti artisti del tempo, è ambientato “Moulin Rouge!un film musicale del 2001, diretto da Baz Luhrmann in cui il giovane poeta inglese Christian (Ewan McGregor) si innamora di Satine (Nicole Kidman) la stella del Moulin Rouge. Un musical atipico poiché include molte canzoni iconiche riarrangiate (cover) per il film, e interpretate dal cast.

In territorio africano invece, gli struzzi cacciati  per il loro piumaggio, all’epoca molto ricercato e pagato a peso d’oro, finirono per essere addomesticati e allevati per fini commerciali. Si iniziò così a mettere in discussione il valore etico della raccolta di piume a scopo decorativo che necessitava di essere regolamentata, si fecero strada i primi gruppi per i diritti degli animali e vennero emanate una serie di leggi che vietavano il commercio di creature selvatiche.

La Belle Époque: un ponte tra il vecchio e il nuovo, fu un’epoca di grandi speranze per il futuro dell’umanità, che vedrà tutti i suoi sogni infrangersi nelle trincee della Prima Guerra Mondiale.

Lungo la rotta Trans-Sahariana le carovane erano generalmente guidate dai Tuareg, un popolo nomade del Sahara di origine berbera esperto conoscitore delle piste del deserto e delle oasi.

I Berberi – sono un gruppo etnico originario del Nord Africa la cui storia è antica e risale a migliaia di anni fa; comprende numerose tribù diverse tra loro e distribuite principalmente nei territori tra: Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Mali e Niger. La loro è una cultura ricca e diversificata che include tradizioni, lingue e costumi unici, che hanno mantenuto nonostante le influenze arabe e francesi. Si distinguono per la loro arte, la loro musica e il loro artigianato che sono particolarmente apprezzati.

I Tuareg si spostavano lungo le rotte con i dromedari, animali molto resistenti, facendo tappa lungo il tragitto nei caravanserragli: luoghi di sosta attrezzati e formati da un grande cortile circondato da una serie di edifici dove i mercanti e gli animali potevano riposarsi e rifocillarsi, e le mercanzie essere protette dagli assalti dei nomadi predoni. Erano molto abili nell’affrontare condizioni ambientali avverse come scarsità d’acqua, temperature elevate e tempeste di sabbia.
Oltre alle merci, questa rotta fu veicolo di diffusione della religione e della cultura islamica tra le popolazioni berbere del Nord Africa. I tuareg infatti praticano l’Islam pur mantenendo alcune tradizioni animiste.

I tuareg – tradizionalmente è un popolo nomade del Sahara dedito alla pastorizia e al commercio, la cui struttura sociale è piuttosto complessa e molto gerarchizzata, la casta nobiliare è la più privilegiata e ha una forte tradizione guerriera.
Sono conosciuti anche come gli “uomini blu” per via della stoffa tinta con il pigmento indaco usata per le lunghe tuniche e per il velo maschile (tagelmust), si tratta di una striscia di stoffa che viene arrotolata intorno alla testa in modo da coprirla tutta, lasciando solo una fessura per gli occhi. Le donne invece se portano il velo non coprono il viso e hanno una libertà maggiore rispetto ad altre culture islamiche.
Quella dei Tuareg è una cultura millenaria ricca di tradizioni, come la cerimonia del tè conosciuta come il “tè nel deserto”, un momento di condivisione che segue precise regole, secondo i rituali dell’ospitalità che accomunano molti popoli. Ma può anche essere un tempo di meditazione ed elevazione dello spirito.

A ciò sembra ambire la coppia americana protagonista del film Il tè nel deserto del 1990 di Bernardo Bertolucci, tratto dall’omonimo romanzo di Paul Bowles. I coniugi Port e Kit Moresby decidono dopo qualche anno dalla fine della Seconda guerra mondiale, di intraprendere un viaggio nel Nordafrica con il desiderio di attraversare il deserto del Sahara e di dare (o trovare) un significato al loro esistere. Le dure condizioni di vita, il mondo vasto e inospitale del deserto ridimensioneranno il loro modo di vivere mettendo a nudo la loro fragilità umana, le ampie distese di sabbia amplificheranno la loro solitudine interiore, fino a perdersi per poter ritrovare se stessi.

Della traversata del deserto ha scritto Emilio Salgari nel romanzo d’avventura “I predoni del Sahara” pubblicato nel 1903, che fa parte di un gruppo di romanzi noto come le “Avventure africane”, che hanno in comune la stessa ambientazione ma non sono collegati da personaggi o trama. Salgari pur non avendo mai visitato personalmente l’Africa, nei suoi libri ha saputo descriverla con grande vividezza e immaginazione.

Considerata all’epoca una delle avventure più audaci e pericolose, la traversata del deserto mette a dura prova la resistenza sia fisica che mentale, specie se soffia il Simun, un vento caldo e molto secco che scatena terribili tempeste di sabbia, o si è vittime di miraggi che sono illusioni ottiche che ingannano la nostra percezione della realtà. È un fenomeno affascinante legato alla rifrazione dei raggi luminosi nell’atmosfera che portano a credere di vedere all’orizzonte qualcosa che non esiste, come oasi, laghi, città, illudendo spesso i viandanti di essere giunti alla meta.

In particolare, un tipo di miraggio chiamato Fata Morgana induce a vedere in modo distorto e mutevole ciò che si trova sulla linea dell’orizzonte: coste, città, isole, navi, barche… possono apparire come se fossero sospese nell’aria.
Questo fenomeno ottico complesso e fantastico, che ammalia come un’incantesimo prende, appunto, il nome di Fata Morgana, una figura della mitologia celtica, che nei racconti medievali è la potente maga allieva di Merlino, il mago di corte di Re Artù.
L’effetto Fata Morgana si può osservare nelle regioni polari, nei deserti e nei mari.
In Tunisia è possibile vederlo all’orizzonte attraversando il vasto lago salato, lungo la strada che dall’oasi più antica di Douz, nota come “la porta del Sahara”, conduce all’oasi di Tozeur. Ma nel miraggio piuttosto che carovane è più facile oggi appaiano i treni che con il progresso hanno sostituito cammelli e carovanieri.
A “I treni di Tozeur” è dedicato il brano del 1984 cantato in duetto da Alice e Franco Battiato.

Passano ancora lenti i treni per Tozeur
nelle chiese abbandonate si preparano rifugi
e nuove astronavi per viaggi interstellari
in una vecchia miniera distese di sale
e un ricordo di me come un incantesimo.

E per un istante ritorna la voglia di vivere
a un’altra velocità

Del brano ne fa tesoro Nanni Moretti nel creare la giusta atmosfera nella sequenza del bar, un luogo pubblico dove come in un incantesimo pare si sia fermato il senso del tempo, e la vita sia rimasta autentica e meno complicata. È una scena del film La messa è finita del 1985 da lui diretto e interpretato nelle vesti di don Giulio, un giovane prete sconsolato per come stanno andando le cose e che si sente impotente nel vedere come le persone sprechino il loro tempo alla ricerca di una felicità alienante.

Sono trascorsi più di trent’anni, e nel suo più recente e delizioso film Il sol dell’avvenire (2023) dove passato e presente si intersecano e a volte si confondono, Nanni Moretti interpreta Giovanni, un regista italiano che cerca di barcamenarsi tra situazioni assurde e senza senso, tenacemente ancorato ai suoi riti, ai suoi valori e ai suoi principi. A volte gli capita proprio di “…avere l’impressione di restare sempre al punto di partenza” per cantarla insieme alla cara Noemi.

«Tutti quanti sono preda da anni di un incantesimo. Tutti, registi, produttori, sceneggiatori, preda di un incantesimo. Poi una mattina vi sveglierete e improvvisamente comincerete a piangere, perché vi renderete conto di quello che avete combinato».

In Italia l’effetto Fata Morgana si può vedere d’estate sulla linea d’orizzonte nello stretto di Messina creando l’illusione che le due coste, quella calabra e quella messinese siano sospese nell’acqua, apparendo ingannevolmente molto vicine quando invece sono piuttosto lontane.

Emilio Salgari fu uno scrittore italiano molto prolifico, ancora oggi molto popolare per i suoi romanzi d’avventura, molti dei quali ambientati in luoghi esotici e lontani, come l’Asia, le Americhe e l’Africa. Nell’immaginario collettivo ancora abitano personaggi indimenticabili come Sandokan, Yanez, il Corsaro Nero, grazie anche alle molteplici trasposizioni cinematografiche e televisive.

Dai racconti di Emilio Salgari emerge un altro serio pericolo per i viandanti che attraversavano il deserto, ossia la minaccia continua di venire assaliti dagli avidi e crudeli Tuareg. Si correva anche il rischio di incontrare incantatori di serpenti, santoni, negrieri, beduini, mendicanti e i dervisci, discepoli di alcune confraternite islamiche sufi. I beduini del deserto sono descritti come uomini con pochi scrupoli ma che nel deserto sono ben più preziosi di altre popolazioni della costa settentrionale dell’Africa.

I beduini – sono un gruppo etnico arabo prevalentemente nomade, che per tradizione pratica la pastorizia soprattutto nei territori desertici del Medio Oriente e del Nord Africa.
La loro società è organizzata in tribù, suddivise a loro volta in clan composti da grandi famiglie nelle quali vige il patriarcato. Ogni tribù ha un capo chiamato sceicco che in genere è l’elemento più abile, saggio o ricco del gruppo, che viene assistito da un consiglio tribale di anziani. Sono musulmani e seguono principalmente l’Islam sunnita, la loro è una società con una forte enfasi sulla famiglia e sull’onore. Le loro tradizioni culturali sono la poesia, la musica, le danze tradizionali e la tessitura di tende e tappeti.

Per secoli i tuareg furono noti per la loro attività di predoni poiché razziavano il bestiame, i beni, le merci e gli schiavi. Erano pratiche molto comuni nelle società nomadi e tribali che vivevano in zone con scarse risorse, la cui sopravvivenza dipendeva dalla capacità di difendersi e di prendere ciò che era necessario. Ma le razzie erano anche occasioni per dimostrare il proprio coraggio e l’abilità guerriera, guadagnando così prestigio all’interno della tribù; oppure erano mosse dallo spirito di vendetta personale o da rivalità tra tribù che potevano durare anche per generazioni.

Con il colonialismo europeo in Africa, i territori dei tuareg furono occupati tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 dalla Francia, che impose un controllo sul territorio e limitò le loro incursioni. L’occupazione francese ebbe un impatto significativo sul vissuto di questo popolo: diminuirono le rotte carovaniere controllate dai Tuareg spesso limitate ai commerci locali, che persero ulteriormente d’importanza quando le potenze europee costruirono strade e ferrovie. Di conseguenza molti Tuareg furono costretti a diventare sedentari, modificando così la loro struttura sociale e politica.
Durante il periodo coloniale e post-coloniale diverse popolazioni sahariane accettarono di collaborare con le potenze coloniali francesi e britanniche per contrastare gli ottomani.
Con la fine della colonizzazione il territorio venne spartito tra cinque stati indipendenti, di lingua, cultura e tradizioni diverse. Vennero tracciati confini arbitrari che non tennero in considerazione le realtà etniche, territoriali e culturali locali che entrarono in conflitto tra loro.
Gli  abitanti nomadi del deserto vennero considerati con sospetto o apertamente perseguitati. La società berbera con la sua cultura ed economia venne sminuita con l’affermarsi un po’ ovunque del nazionalismo arabo, che impose una rigida politica linguistica e culturale che non teneva in nessun conto le minoranze.

 

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