La Beat generation è una generazione che qualche cosa ha tentato di dire, perfino di cambiare, una generazione contro il sistema, contro il potere, che voleva cambiare il mondo con la poesia, con le idee.
La Beat Generation è un movimento giovanile sviluppatosi negli Stati Uniti dal secondo dopoguerra, si afferma e trova espressione in particolare negli anni cinquanta in campo artistico, poetico e letterario.
Ebbe origine da un gruppo di scrittori americani, refrattari a un sistema rigido, precostituito, dominato dalla fame di potere più che dalla sete di giustizia. Sono gli anni segnati dalla precarietà, dalla Guerra fredda e dalla costante minaccia di un conflitto nucleare, una società che appare frammentata, oppressa e incapace di accogliere in sè la pace e i diritti umani.
Erano anni in cui la Beat Generation subiva attacchi non solo dai circoli letterari tradizionali, ma dalle corti di giustizia, e in cui era facile essere additati come comunisti. Durante gli anni del terrore maccartista in America, Corso preferì abbandonare l’insegnamento della poesia di Shelley all’università piuttosto di sottoscrivere la dichiarazione di non essere un comunista. Più che al comunismo, l’attenzione di Corso era rivolta all’affrancamento dalle regole, attraverso la cultura classica e il buddismo, senza tralasciare il Cristianesimo.
di Nicola d’Ugo – Morte di un poeta Beat
Il gruppo, fortemente voluto e tenuto insieme da Allen Ginsberg, era sempre in continua sperimentazione ed evoluzione. Era loro desiderio dar vita a qualcosa di nuovo, rifiutando norme e costumi imposti, il materialismo, mirando a una rappresentazione meno esplicita e cruda della condizione umana e più consapevole interiormente. Si vuol giungere a una presa di coscienza di una dimensione più liberata dell’uomo, si sperimentano così stili artistici innovativi, l’uso di stupefacenti, la sessualità alternativa, un interesse per la religione orientale. In particolare si riteneva che nell’attività sessuale avrebbe avuto una forza catartica di liberazione, la rivoluzione sessuale secondo la Teoria della funzione dell’orgasmo di Wilhelm Reich.
Gregory Corso
“…era leggendo Shelley in un carcere minorile che aveva cominciato a scrivere poesie, a sognare la Bellezza con la B maiuscola, a immaginare mondi stellati non legati ai fili della logica inesplicabili”
Fu uno dei più significativi esponenti della beat-generation, Gregory Corso è autore di memorabili raccolte di poesie.
Gregory Nunzio Corso nasce a New-York nel 1930, figlio di giovanissimi immigrati italiani, trascorre un’infanzia e un’adolescenza difficili entrando e uscendo dagli orfanotrofi prima e dai riformatori poi, in questi ultimi ha l’opportunità di avvicinarsi alla cultura ed alla letteratura.
Nel 1947 sconta una pena per furto nella prigione di Stato di Clinton, dove Gregory Corso inizia a scrivere poesie:
« … al mio diciassettesimo anno quando rubai e presi tre anni alla prigione di Clinton dove un vecchio mi passò I fratelli Karamazov, Les miserables, Il rosso e il nero e così imparai e fui libero di pensare e sentire e scrivere… »
« …uscii a 20 anni, colto e innamorato di Chatterton, Marlowe e Shelley… »
da l’antologia New American Poetry 1945-1960)
Nel 1950 Corso torna libero e a New York, a Greenwich Village incontra Allen Ginsberg che colpito dalle sue poesie lo presenta ad altri membri della scena letteraria beat, così conosce Burroughs, Kerouac, Ferlinghetti.
Ginsberg aiuta Corso a pubblicare le prime raccolte di versi: The Vestal Lady Brattle and other poems, con testi dedicati alla memoria del musicista “Bird”, così era chiamato Charlie Parker, e a Dylan Thomas, il poeta gallese dotato fin da giovanissimo di una notevole inclinazione per la poesia e con la tendenza a un vita sregolata come Corso; i due rimarranno amici per sempre. E pubblica Gasoline, una più ampia raccolta di poesie dai toni surreali e ironici.
Gregory Corso si trasferì quindi in Europa dove visse a lungo, dal 1957 trascorse quasi un decennio a Parigi sovente nel “Beat Hotel” del Quartiere Latino, in cui risiedettero anche Ginsberg, Peter Orlovsky e William Burroughs. Fu questo un periodo creativo per tutti.
La poesia più celebre di Corso, “Bomb” (Bomba, 1958), fu oggetto di fraintendimento. Scritta a forma di fungo nucleare, è un’elegia satirica, ricca di ironia e ritmo. Dopo aver assistito alla dimostrazione di un esperimento nucleare in Inghilterra e all’accanimento dei pacifisti contro la bomba, il poeta newyorchese se la prese con l’espressione violenta del pacifismo stesso, componendo una “lettera d’amore” alla bomba atomica, contro la stupidità umana che genera violenza: per Corso la bomba era un prodotto della storia, di una mentalità di fondo sbagliata che stava coinvolgendo tutti, militaristi e pacifisti allo stesso modo, che vedeva ora contrastarsi su un terreno della violenza, quale espressione socialmente indotta nell’individuo e condivisa da entrambe le fazioni.
di Nicola d’Ugo – Morte di un poeta Beat
Negli anni 1970 e 1980 Corso fu spesso in Italia, soprattutto a Roma, tenendo letture, a volte con accompagnamento musicale. Attratto dalle filosofie orientali, documenta ne Il taccuino giapponese (The japanese notebook, 1974) la sua scoperta del misticismo orientale.
Le ceneri di Gregory Corso sono, secondo le sue volontà, conservate a Roma nel cimitero acattolico di Testaccio, vicino alla tomba di Shelley, poeta al quale si è spesso ispirato; nello stesso luogo, poco più distante (parte vecchia), è sepolto anche John Keats, altro poeta particolarmente apprezzato da Gregory.
Allen Ginsberg
«Aiuteremo a modificare le leggi che governavano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte»
Allen Ginsberg
Nato e cresciuto in una famiglia ebraica nel New Jersey, il padre poeta e professore di liceo, la madre membro attivo del Partito Comunista, affetta da una rara malattia psicologica che non venne mai correttamente diagnosticata, Allen Ginsberg iniziò fin dall’adolescenza a scrivere lettere al New York Times su questioni politiche, come la seconda guerra mondiale e i diritti dei lavoratori. Durante gli anni del liceo fu appassionatamente ispirato dalle poesie di Walt Whitman, negli anni di università entrò in contatto con gli scrittori beat con cui condivise una “nuova visione” (una frase presa da Arthur Rimbaud) per la letteratura e l’America.
Nel 1948 durante la lettura di una poesia di William Blakenon ad Harlem, Ginsberg ebbe un’allucinazione uditiva. Come egli affermò, non fu ispirata dal consumo di sostanze stupefacenti, ma più tardi tentò di ritrovare quella sensazione con vari farmaci senza riuscirci.
Nel 1953 Ginsberg era sentimentalmente coinvolto con Elise Cowen, quando cominciò a manifestare la sua omosessualità e l’anno successivo trasferitosi a San Francisco, conobbe il poeta Peter Orlovskycon cui si legherà sentimentalmente per tutta la vita.
La sua opera principale Urlo (Howl, 1956) fu messa al bando per il linguaggio considerato osceno, fin troppo esplicito, in seguito venne rivalutata in quanto il poema possedeva un aspetto di importanza sociale. Ben noto è il suo incipit:
«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte, che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz».
Un giorno in visita alla madre ricoverata in un ospedale psichiatrico, nella sala d’aspetto Ginsberg conobbe Carl Solomon, un poeta e scrittore statunitense la cui vita fu segnata già a 11 anni dalla morte del padre “gettandolo in completa confusione”, come lui stesso ebbe a dire in seguito. Salomon aveva deciso di farsi internare volontariamente nel manicomio di Rockland, una scelta secondo lui dadaista.
Carl Solomon in uno dei suoi scritti più importanti, “Report from the Asylum: Afterthoughts of a Shock Patient”, volle denunciare la pratica dell’elettroshock sui pazienti degli ospedali psichiatrici, basandosi sulla propria personale esperienza in manicomio e sull’internamento subito in Francia proprio dal suo maestro Antonin Artaud, il quale commentando una mostra parigina di Van Gogh, in un libro dai toni accesi, prese posizione contro la società e il sistema psichiatrico in particolare, responsabile, secondo lui, dell’alienazione dei “folli”, invidioso della genialità.
Allen Ginsberg nel 1957 lasciò San Francisco e si stabilì a Parigi al “Beat Hotel”; nel 1965 si recò a Londra e alla Better Books, una libreria indipendente fondata da Tony Godwin che fu definita un Arts Lab per il suo approccio interdisciplinare e per aver accolto nuove forme d’arte, dove offrì la propria disponibilità a leggere ovunque gratuitamente, iniziativa che fu percepita come un vento di guarigione per una mente collettiva inaridita.
La sua poesia venne fortemente influenzata dal modernismo, dal ritmo e dalle cadenze del jazz, dalla sua fede Buddhista e dal suo retroterra Ebraico. Musica e canto furono elementi importanti che accompagnarono Ginsberg durante la letture delle sue poesie.
I temi principali delle sue opere, che in seguito la cultura underground avrebbe fatte proprie, sono quelli del viaggio come momento di introspezione e di realizzazione di rapporti non condizionati tra individuo e mondo esterno, l’autoemarginazione e le filosofie orientali intese come antidoto alla reificazione, ossia ai feticci del mondo materiale.
Più tardi nella sua vita, egli formò un ponte tra il movimento beat degli anni 1950 e il movimento degli hippy degli anni 1960 stringendo amicizia, tra gli altri con Bob Dylan con cui collaborò ad alcune composizioni inedite.
Beat come ribellione. Beat come battito. Beat come ritmo.
Il ritmo della musica jazz, che si ascolta in quegli anni, il ritmo del be bop e della cadenza dei versi nelle poesie. Il jazz di Frisco, frenetico, sudato, vissuto e catartico; il jazz di Charlie Parker, “The bird”, personaggio eroico e deificato da questa generazione; la poesia di Carlo Marx (Allen Ginsberg) declamata fino a tarda notte, e i versi sconnessi dei Mexico City Blues o della poesia “Mare, suoni dell’Oceano Pacifico a Big Sur”, da appendice a “Big Sur” di Kerouac. “Essere Beat” significa la scoperta di sé stessi, della vita sulla strada, del sesso liberato dai pregiudizi, della droga libera, dei valori umani, della coscienza collettiva. Beat non è politica, nonostante molti movimenti abbiano nella politica la loro origine. Beat non è religione, nonostante sia forte la componente spirituale.
Jack Kerouac
Beat può significare “battuto”, “sconfitto”: denota l’inevitabile sconfitta dovuta alla società, alle sue costrizioni, agli schemi imposti ed inattaccabili; beat è il richiamo alla vita libera e alla consapevolezza dell’istante.
Fu Jack Kerouac ad usare l’espressione Beat nel 1948, gli attribuì il significato di beatitudine, nel senso di salvezza ascetica ed estatica, tipica dello spiritualismo Zen, ma anche aderente al falso misticismo indotto dagli stupefacenti, dall’alcol, dall’incontro carnale e frenetico, dal parlare incessantemente, con lo scopo di scaricare tutti i contenuti mentali.
Figlio di immigrati franco-canadesi originari del Québec, Jack Kerouac ebbe un’infanzia serena malgrado la morte prematura del fratello maggiore quando egli aveva soltanto quattro anni, fatto che lo colpì fortemente.
La sua formazione ebbe inizio in una scuola cattolica, a undici anni scrisse il suo primo romanzo, The Cop on the Beat; dotato di una buona memoria e abile negli sport, che gli procurarono qualche borsa di studio permettendogli così di frequentare la Columbia University.
Lasciò gli studi intenzionato ad arruolarsi, in seguito all’attacco a sorpresa della Marina Imperiale giapponese che bombardò la base americana di Pearl Harbor nelle Hawaii (1941), che ebbe effetti devastanti e segnò l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale. Ma poichè doveva contribuire economicamente alla famiglia finì per lavorare in una stazione di servizio, entrando l’anno successivo nella marina mercantile.
Un film spettacolare e molto coinvolgente incentrato sull’attacco giapponese, è Pearl Harbor diretto da Michael Bay prodotto nel 2001. È la storia di due grandi amici che sin da piccoli sognano di diventare piloti e una volta arruolatisi vengono trasferiti d’istanza a Pearl Harbor, base navale principale della Flotta del Pacifico della marina statunitense, dove finiscono per innamorarsi della stessa donna e ad assistere a quello che il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt definirà “un giorno che vivrà nell’infamia”.
Tornato a New York, Kerouac frequentò gli ambienti del Greenwich Village, dove artisti, ribelli e bohémien vivevano al di fuori delle regole dell’allora società contemporanea. Il 1944 fu l’anno cruciale in cui incontrò Lucien Carr, che gli fece conoscere William S. Burroughs e Allen Ginsberg, con i quali diede vita al nucleo originario della Beat Generation.
Due anni dopo morì il padre e in lui si acuì quel senso della morte che aveva già sperimentato da bambino. Iniziò a viaggiare svolgendo i lavori più svariati e vagabondando per tutti gli Stati Uniti ed il Messico.
Il suo romanzo On the road, scritto nel suo stile ritmato e rapido a fluire, uno stile nuovo simile a quello della musica jazz che egli stesso definì prosa spontanea, influenzò profondamente la società del tempo procurandogli immediata fama e successo, divenendo in breve l’emblema della beat generation.
Pubblicato nel 1957, è il frutto di quella che lui stesso definì la mia vita sulla strada alla maniera degli Hobo, in esso egli esplicita il disagio vissuto dalle persone nella vita quotidiana, la differenza fra propaganda e realtà del sogno americano nel dopoguerra e durante il periodo della Guerra fredda, l’alienazione dell’uomo nella società contemporanea. (La cultura Hobo)
Volevo procurarmi uno zaino completo, con il necessario per dormire, ripararmi, mangiare, cucinare, insomma cucina e camera da letto da portare in spalla, e andarmene chissà dove e trovare una solitudine perfetta e contemplare il vuoto perfetto della mia mente ed essere del tutto neutrale rispetto a qualunque idea e tutte.
Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma, 1958
Leggendo On the road i giovani respirarono il senso di libertà che si prova a percorrere i grandi spazi d’America, inseguendo il sogno americano della grande corsa all’Ovest, dove tutto è da scoprire, tutto da costruire, dei cow boy liberi e senza leggi, degli hobo e dell’epica fuga dalla Dust Bowl.
La Dust Bowl (conca di polvere) fu una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il Canada tra il 1931 e il 1939. Furono causate da decenni di tecniche agricole inappropriate e dalla mancanza di rotazione delle colture.
Il terreno fertile delle Grandi Pianure veniva arato profondamente con ciò si finì per distruggere l’erba che ne assicurava l’idratazione. Durante la siccità il suolo si seccò e diventò polvere che venne soffiata via verso est, producendo grandi nuvole nere che talvolta oscuravano il cielo fino a Chicago perdendosi completamente nell’Oceano Atlantico. Questo disastro ecologico causò un esodo da Texas, Kansas, Oklahoma, e dalle grandi pianure circostanti, con oltre mezzo milione di americani che restarono senza casa. Molti migrarono ad ovest in cerca di lavoro.
Christopher Nolan in Interstellar, un film di fantascienza del 2014, mostra un’America del 21° secolo che è di nuovo devastata dal tempeste di polvere, dove il cibo scarseggia, solo poche colture risultano ancora coltivabili e il pianeta Terra si sta progressivamente trasformando in un ambiente inabitabile per l’uomo.
I suoi romanzi essendo autobiografici, Kerouac li considerava come frammenti di un’unica opera intitolata La leggenda di Duluoz, che segue una determinata cronologia tenendo conto degli avvenimenti descritti nei libri.
Nei suoi scritti egli, riflette la volontà di liberarsi dalle soffocanti convenzioni sociali e dalle rigidità dell’epoca e dare un senso liberatorio alla propria esistenza, un approfondimento della propria coscienza. Kerouac nei suoi frenetici viaggi, sembra essere alla ricerca di un luogo che gli dia stabilità interiore e riempia quella deprimente sensazione di vuoto, che attutisca quel senso della morte, cercando delle risposte al mistero della vita, al significato dell’esistenza.
Se non scrivo quello che vedo effettivamente accadere su questo globo infelice racchiuso nei contorni del mio teschio penserò che il povero Dio mi abbia mandato sulla terra per niente.
Jack Kerouac, Big Sur, 1962
I giovani americani si identificarono in questi ideali cercando di riappropriarsi del proprio sè, della propria libertà di pensiero, che la pubblicità dell’imperante conformismo americano maccarthista sottraeva loro, inquadrandoli in rigidi schemi preconcetti antiamericani.
È del 1955 uno dei film icona degli anni Cinquanta Gioventù bruciata, diretto da Nicholas Ray è il film che ha consacrato il mito di James Dean. Fu una delle prime opere cinematografiche in cui si tenta di rompere la cappa di ipocrisia, conformismo e perbenismo che imperava nel cinema americano dell’epoca. Temi del film è l’inquietudine giovanile, l’incomprensione fra generazioni, i pregiudizi, la crisi della famiglia tradizionale, ma anche il fenomeno delle “bande”, delle sfide e delle corse pazze in auto.
Le bande di motociclisti ribelli invece sono protagoniste di un altro famoso film, Il selvaggio (The Wild One) del 1953 del regista ungherese László Benedek.
Interpretato da Marlon Brando nella parte di Johnny, un duro dal cuore d’oro a capo della Banda dei Ribelli Motociclisti (“Black Rebel Motorcycle Club” in originale, abbreviato in BRMC) che si scontra con la banda rivale dei “Beetles” guidata dal litigioso Chico, interpretato da Lee Marvin.
Pare che i Beatles abbiano scelto il nome della loro band proprio prendendo spunto dal nome della banda motociclistica rivale del film.
Johnny a bordo di una scintillante Triumph Thunderbird 6T del 1950 porta legato sul fanale un trofeo rubato da un componente della banda a una gara motociclistica ufficiale.
Marlon Brando con il suo giubbotto in pelle, cappello con visiera, basette lunghe, occhiali neri diventerà con il passare degli anni una vera e propria icona a cui molte generazioni future faranno riferimento.
Il film, che fece un certo scalpore, si temette desse il via a fenomeni di emulazione poichè la trama, basata su un racconto scritto da Frank Rooney sulla rivista Harper’s, prendeva spunto da un fatto di cronaca accaduto nel 1947 a Hollister in California. Era il 4 luglio festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti, e la cittadina fu messa a soqquadro da una banda di motociclisti.
La stampa diede ampio spazio all’avvenimento attaccando in modo indiscriminato l’ambiente del motociclismo, tanto da indurre l’AMA, l’Associazione motociclistica americana, a diffondere una dichiarazione ufficiale in difesa dell’immagine del motociclista.
L’AMA (American Motorcyclist Association) è un’organizzazione non a scopo di lucro, fondata nel 1924 al fine di rappresentare i motociclisti a livello nazionale e salvaguardare la loro immagine, promuovendo la sicurezza stradale e un uso responsabile delle moto, sostenendo gli eventi e le campagne per i diritti dei motociclisti.
Affiliata alla FIM (Fédération Internationale de Motocyclisme), la più importante federazione sportiva che opera su 6 diversi continenti (Europa, America del Nord, America del Sud, Africa, Asia e Oceania), l’AMA è designata da quest’ultima alla gestione degli sport motociclistici negli Stati Uniti.
L’AMA gestisce anche la Motorcycle Hall of Fame e il Museo che celebra tutte le persone che hanno contribuito allo sport motociclistico.
Nel comunicato diffuso dall’AMA si affermava in modo generico che il 99% dei motociclisti erano brave persone che rispettavano la legge, mentre solo l’un percento di essi erano attaccabrighe e disturbatori della quiete pubblica, prendendo così le distanze da questi ultimi.
Imprevedibilmente molti club manifestarono la loro insofferenza nei confronti del perbenismo e dell’eccessivo conformismo dimostrato dall’AMA, fecero proprio questo 1% che interpretarono come una sorta di vero e proprio riconoscimento d’onore, e incominciarono a definirsi onepercenter (“appartenente all’1%”).
I Biker si fregiarono così di un piccolo stemma a forma di rombo con la dicitura “1%” al suo interno, che ancora oggi viene cucito o tatuato dalla maggior parte dei membri dei club motociclistici “non regolari”, considerati al di fuori delle varie associazioni sportive o di mototurismo ufficiali. (La cultura Biker)
Un modo di vivere irrequieto e instabile, portò Kerouac a eccedere nel consumo di stupefacenti e di alcol, a vivere relazioni superficiali e sbagliate, a una figlia non riconosciuta e a problemi economici. Sentendosi solo e confuso iniziò a studiare il Buddhismo zen, la cui filosofia di vita cercò di accostare, rivisitando il suo profondo cattolicesimo, in comunione con la natura.
Si avvicinò così agli haiku, breve forma poetica della letteratura giapponese.
Per Jack Kerouac il tema del viaggio è la metafora della libertà, il tentativo di isolarsi e di scoprire la verità nella solitudine. Nell’estate del 1956 lavorando come come avvistatore di incendi sulla cima della Desolation Peak, ebbe modo di trascorrere due mesi da solo in una baracca di legno con le finestre che davano sul Monte Hozomeen. Nell’immensa solitudine di quei luoghi percepì il “Vuoto buddhista”. Tenne un diario intitolato Desolation in Solitude, che gli servì per scrivere la prima parte di Angeli di desolazione pubblicato nel 1965, in cui mostra apertamente il tormento in lui sempre presente tra la ricerca della solitudine e l’accettazione del “Nulla” della dottrina buddista da un lato e l’incalzare della vita quotidiana dall’altro.
Kerouac e i suoi scritti sono considerati precursori dello stile di vita della gioventù degli anni sessanta, quello degli Hippy, che scosse la società americana nelle sue certezze e ispirò direttamente i movimenti pacifisti, l’antimilitarismo contro la Guerra del Vietnam e quelli libertari del maggio 1968, sebbene Kerouac rifiutò l’ideologia politica che caratterizzò la Beat Generation dichiarandosi in più occasioni “uno strano solitario pazzo mistico cattolico” e rifiutando per giunta l’etichetta di scrittore beat.