Il Carnevale – origini e maschere tradizionali

“Dopo Nadale, ogni dì xè Carnevale!”

È un detto veneto che indica l’inizio del Carnevale, un periodo che perdura fino alla Quaresima, e si caratterizza per l’allegria e le feste mascherate, sfilate di carri allegorici, danze.
L’ultimo giorno di Carnevale è il martedì grasso: una giornata in cui, secondo la tradizione, si conclude il libero consumo di cibi golosi e prelibati, in particolare della carne. Il giorno successivo, fissato in base alle prescrizioni ecclesiastiche, è il mercoledì delle Ceneri che dà inizio alla Quaresima, il periodo di preparazione alla Pasqua. Per i cattolici è un giorno importante, di digiuno e astinenza dalle carni; durante il rito, le Sacre Ceneri vengono poste sul capo dei fedeli come simbolo della debole e fragile condizione dell’uomo, nato dalla polvere della terra. Un invito a riflettere sulla propria vita.

Dove si osserva il rito ambrosiano, ovvero nella maggior parte delle chiese dell’arcidiocesi di Milano e in alcune delle diocesi vicine, il Carnevale finisce con la prima domenica di Quaresima; l’ultimo giorno di carnevale è il sabato, 4 giorni dopo rispetto al martedì in cui termina dove si osserva il rito romano.

La tradizione vuole che il vescovo Sant’Ambrogio fosse impegnato in un pellegrinaggio e avesse annunciato il proprio ritorno per carnevale, per celebrare i primi riti della Quaresima in città. La popolazione di Milano lo aspettò prolungando il carnevale sino al suo arrivo, posticipando il rito delle Ceneri che nell’arcidiocesi milanese si svolge la prima domenica di Quaresima. In realtà la differenza è dovuta al fatto che anticamente la Quaresima iniziava dappertutto di domenica, i giorni dal mercoledì delle Ceneri alla domenica successiva furono introdotti nel rito romano per portare a quaranta i giorni di digiuno effettivo, tenendo conto che le domeniche non erano mai stati giorni di digiuno. Questo carnevale, presente con diverse tradizioni anche in altre parti dell’Italia, prende il nome di carnevalone.

La parola “Carnevale” deriva probabilmente dal latino medievale carne levare, cioè “togliere la carne” dalla dieta quotidiana, in osservanza alla regola dell’astinenza della religione cattolica.

Le origini del Carnevale

I festeggiamenti nel periodo del Carnevale hanno origini molto lontane, probabilmente nelle feste religiose pagane, in cui si faceva uso delle maschere rituali per allontanare gli spiriti maligni.
Con il Cristianesimo questi riti persero il carattere magico e rituale e rimasero semplicemente come forme di divertimento popolare.

Nel Medioevo l’anonimato offerto da maschere e travestimenti permetteva uno scambio di ruoli, un modo di abbattere, anche se per pochi giorni, le gerarchie e le barriere sociali dettate dalla propria condizione e dal rango. Nel periodo rinascimentale i festeggiamenti in occasione del Carnevale furono introdotti anche nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate, legate anche al teatro, alla danza e alla musica.

In Italia il carnevale è stato sontuosamente celebrato per secoli, alcuni tratti di quest’antica festa popolare sono ancora visibili nei molteplici e caratteristici Carnevali lungo la nostra penisola, che ancora oggi rappresentano un’occasione di divertimento e di attrazione anche turistica. 

Il girotondo delle maschere

E’ Gianduia torinese
Meneghino milanese.
Vien da Bergamo Arlecchino
Stenterello è fiorentino.
Veneziano è Pantalone,
con l’allegra Colombina.
Di Bologna Balanzone,
con il furbo Fagiolino.
Vien da Roma Rugantino:
Pur romano è Meo Patacca.
Siciliano Peppenappa,
di Verona Fracanappa
e Pulcinella napoletano.
Lieti e concordi si dan la mano;
vengon da luoghi tanto lontani,
ma son fratelli, sono italiani.

G. Gaida

LA COMMEDIA DELL’ARTE

La Commedia dell’Arte è nata in Italia nel XVI secolo ed è rimasta popolare sino al XVIII secolo. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma dei canovacci detti anche scenari, i primi tempi erano tenute all’aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All’estero era conosciuta come “Commedia italiana”.
La definizione di “arte”, che significava “mestiere”, veniva identificata anche con altri nomi: commedia all’improvviso, commedia a braccio o commedia degli Zanni.

La prima volta che s’incontra la definizione di Commedia dell’Arte è nel 1750 nella commedia Il teatro comico di Carlo Goldoni. L’autore veneziano parla di quegli attori che recitano “le commedie dell’arte” usando delle maschere e improvvisano le loro parti, riferendosi al coinvolgimento di attori professionisti (per la prima volta nel Teatro Occidentale abbiamo compagnie di attori professionisti, non più dunque dilettanti), ed usa la parola “arte” nell’accezione di professione, mestiere, ovvero l’insieme di quanti esercitano tale professione. Commedia dell’Arte dunque come “commedia della professione” o “dei professionisti”. In effetti in italiano il termine “arte” aveva due significati: quello di opera dell’ingegno ma anche quello di mestiere, lavoro, professione (le Corporazioni delle arti e mestieri).

Il trapasso dalla commedia rinascimentale, umanistica ed erudita recitata da attori dilettanti a quella dell’arte avviene tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo grazie ad una serie di contingenze fortunate che si susseguono intorno a quegli anni, non ultime le condizioni politiche e sociali che sconsigliavano una produzione teatrale incentrata sui contenuti, sull’impegno politico e sulla polemica sociale.

Le maschere tradizionali

Arlecchino. La sua maschera ha origine dalla contaminazione di due tradizioni: lo Zanni bergamasco da una parte, e “personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese”, dall’altra.
La carriera teatrale di Arlecchino nasce a metà del cinquecento con l’attore di origine bergamasca Alberto Naselli noto come Zan Ganassa che porta la Commedia dell’Arte in Spagna e Francia. Nel ’700 Goldoni lo introdusse nella commedia letteraria.
Abito: a pezze multicolore, maschera nera, dialetto pseudo bergamasco, astuzia, coraggio e poltroneria. Ebbe particolare fortuna nel ’700, durante l’800 la sua figura decadde per essere ripresa durante il teatro dei burattini, come protagonista di farse e di commedia per fanciulli.

Colombina. È il nome di una maschera veneziana della Commedia dell’Arte.
È la scaltra servetta fidanzata di Arlecchino. È molto maliziosa e convince Arlecchino ad esaudire ogni suo desiderio, soprattutto a comprarle tutto ciò che desidera. Nelle rappresentazioni è spesso oggetto di attenzioni da parte del padrone Pantalone, la qual cosa provoca la gelosia in Arlecchino.

Pulcinella. È una maschera napoletana della Commedia dell’Arte.
La sua creazione si deve, molto probabilmente, a Silvio Fiorillo da Capu che lo interpretò sul palcoscenico. Pulcinella indossa un camicione bianco con larghi pantaloni bianchi, ha un cinturone nero in vita, il ventre sporgente, scarpette nere, un cappuccio bianco in testa e una grossa maschera al viso che lascia scoperta sola la bocca; ha un naso ricurvo, le rughe sulla fronte e un espressione al quanto inquietante.
Egli è un servo furbo e pigro, ha una tonalità di voce stridula e acuta, cammina in maniera goffa, gesticola in modo eccessivo, tanto che quando deve mostrare la sua gioia, lo fa in maniera plateale e senza risparmiare le sue energie vitali comincia a saltellare, danzare, cantare, gridare, ecc.

Pantalone. È una maschera veneziana, rappresenta il tipico mercante vecchio, avaro e lussurioso. In seguito è stato trasformato nel saggio e buon padre di famiglia.
Veste in velluto o stoffa rossa, con calze rosse e berretto. Non abbandona mai la borsa con i suoi averi.
Il nome Pantalone deriva da “Pianta Leone”, come venivano definiti coloro che, con la scusa di conquistare nuove terre per Venezia, si sbrigavano a piantare la bandiera di San Marco su ogni pezzo di terra che trovavano. E’ chiamato il Magnifico.

Rosaura. È una tipica maschera veneziana. Figlia di Pantalone, adora chiacchierare con la sua cameriera, Colombina.
Il suo costume tradizionalmente è rappresentato da un abito blu, decorato con fiocchi e nastri, indossato senza maschera. Il ruolo di Rosaura è spesso quello della giovane innamorata. Ha i capelli biondi e spesso porta con sé un ventaglio di colore rosa.

Brighella. Maschera popolare bergamasca, deve il suo nome al suo carattere attaccabrighe, insolente e dispettoso. E’ compare di Arlecchino, entrambi bergamaschi. Brighella però ci tiene a precisare che lui é di Bergamo alta, mentre Arlecchino è di Bergamo bassa.
Brighella è un tipo di servo avventuriero munito di coltello e pronto a qualsiasi azione e intrighi, il che ha dato origine al suo nome. Viene raffigurato con giacca e pantaloni decorati con galloni verdi; ha scarpe nere con i pon pon verdi. Il mantello è bianco con due strisce verdi, la maschera e il cappello sono neri. Sa suonare e cantare tanto che è chiamato pure “Flautino”. Goldoni lo ha introdotto tra le sue maschere trasformandolo talora in servo affettuoso e disincantato.

Il Dottor Balanzone (allegoria della Giustizia) è una maschera di origine bolognese.
Uomo dalle guance rubizze, veste sempre di nero ed ha una grossa pancia; è solito gesticolare molto, ma i suoi gesti sono sempre pacchianamente autorevoli ed eloquenti. Calza una piccola maschera che ricopre solo le sopracciglia e il naso, appoggiandosi su due grandi baffi. Indossa la divisa dei professori dello Studio di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, gran cappello, giubba e mantello.
Gode di molta stima tra le altre maschere che spesso si rivolgono a lui per un parere medico, e lui non nega il suo aiuto e coglie l’occasione per fare la cosa che più gli piace: parlare ed elargire pareri di nessun valore.

Gianduja. È una maschera popolare torinese di origini astigiane. Il suo nome deriva dalla locuzione Gioan d’la douja ovvero Giovanni del boccale. Dal suo nome deriva quello della pasta gianduia e del famoso cioccolatino “Gianduiotto”.
E’ un intenditore di vini doc e la sua vera passione sono le osterie. E’ un galantuomo allegro dotato di buon senso e coraggio che ama, oltre al buon vino, anche la buona tavola.
Scaltro e arguto, ha un costume di panno color marrone, bordato di rosso, con un panciotto giallo e le calze rosse. Nella tradizione carnascialesca si affianca a quelle medioevali di Ballanzone per Bologna, Pantalone per Venezia, Pulcinella per Napoli ecc.

Meneghino. È una maschera lombarda che nasce nel Seicento. Meneghino impersona un servitore rozzo ma di buon senso che, desideroso di mantenere la sua libertà, non fugge quando deve schierarsi al fianco del suo popolo. Generoso e sbrigativo, è abile nel deridere i difetti degli aristocratici. “Domenighin” era il soprannome del servo, che la domenica accompagnava le nobildonne milanesi a messa o a passeggio. Durante l’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano nel 1848 fu scelto dai milanesi come simbolo di eroismo.
Vestito di una lunga giacca marrone, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche, ancora oggi è protagonista dei carnevali milanesi.

Stenterello. È la maschera tradizionale di Firenze. Conosciuto come l’unica maschera del Carnevale e del Teatro fiorentino. Dal naso prominente, Stenterello è il tipico personaggio fiorentino chiacchierone, pauroso ed impulsivo; ma anche saggio, ingegnoso e pronto a schierarsi dalla parte del più debole, anche se la tremarella gli mette spesso i bastoni tra le ruote. Assieme alla risposta pronta, ha sempre battute pungenti, espresse in vernacolo fiorentino, non volgare ma mite e brioso.
Indossa il tricorno nero o una lucerna con fregio, una giacca (zimarra) o giubba a falde di color azzurro chiaro o blu, sopra ad una sottoveste sgargiante, panciotto giallo canarino, dei calzoni corti neri (a volte neri e verdi), una calza di cotone rossa ed una fantasia, o due diverse tra loro ma a righe, scarpe a fibbia basse, ed una parrucca bianca con codino all’insù.

Rugantino. È una maschera del teatro romano. Questa maschera impersona un tipico personaggio romanesco, er bullo de Trastevere, svelto co’ le parole e cor cortello, il giovane arrogante e strafottente ma in fondo buono e amabile. Infatti il suo nome nasce dalla parola romanesca ruganza ovvero “arroganza”.
Il suo inventore fu Odoardo Zuccari che il 13 settembre 1848 presenta il personaggio sul primo numero di un foglio satirico.
Rugantino era vestito da sbirro, con il tempo smetterà l’abbigliamento militare e, vestiti panni civili, smusserà il suo carattere negativo per assumere un carattere più pigro e bonario che ne farà l’interprete di una Roma popolare ricca di sentimenti di solidarietà e giustizia.
La maschera tipica quindi lo vede vestito in due maniere: da sgherro, in modo appariscente vestito di rosso col cappello a due punte; oppure da povero popolano, con calzoncini logori, fascia intorno alla vita, camicia con casacca e fazzoletto al collo.

Fagiolino. Nasce nel teatro dei burattini ed ha un nome e cognome: Fagiolino Fanfani. Maschera attiva a Bologna nell’800 grazie all’opera dei maestri burattinai Filippo Cuccoli e Augusto Galli. Rappresenta un giovane bolognese, intelligente e forte di salute. E’ un chiacchierone ed è pronto a caricare di randellate chi se le merita; è ignorante anche se si crede molto istruito.
Ha il viso paffuto, sorridente e sulla guancia sinistra ha un neo. Non si ammala mai e non invecchia mai. Il suo nome sembra derivare da un bruco, che vive sui faggi e che ha nelle zampe posteriori due appendici che assomigliano a bastoncini che usa per picchiare gli altri bruchi.
Fagiolino ha un berretto da notte con un grosso fiocco, indossa una corta giacca, ha la camicia con una cravatta a farfalla e calze bianche a righe rosse.

Meo Patacca. È la maschera romana, che assieme a quella di Rugantino, rappresenta il coraggio e la spavalderia di certi tipi di Trastevere, il quartiere più popolare di Roma. Spiritoso ed insolente, Meo Patacca é il classico bullo romano, sfrontato ed attaccabrighe, esperto ed infallibile tiratore di fionda, ma in fondo, generoso e di animo aperto. Gli piace é vero fare lo spaccone e parlare in dialetto romanesco, in modo declamatorio, ma poi all’occorrenza non fugge. Anzi, quando ci scappa la rissa, si getta nella mischia e la sua fama é ben nota in Trastevere e in tutta Roma.
Il suo nome deriva dalla “patacca”, il soldo che costituiva la paga del soldato. Il suo costume è costituito da calzoni stretti al ginocchio, una giacca di velluto strapazzata e per cintura una sciarpa colorata nella quale è nascosto un pugnale. I capelli sono raccolti in una retina dalla quale sporge un ciuffo caratteristico.

Beppenappa. Fa parte di quelle maschere che nascono tra sei e settecento con la Commedia dell’arte e le sue caratteristiche, come nel caso di tutte le maschere di carattere, si sono sedimentate nei secoli.
La città d’elezione è Messina e la maschera indossata è un abito ampio di colore azzurro, con un berretto di feltro bianco o grigio sopra la calotta bianca. Tratti peculiari del carattere: golosità e pigrizia. La maschera, come Arlecchino, rappresentava nelle commedie un servitore.

Fracanapa. È una maschera che appartiene alla schiera dei vecchi. Nasce come marionetta veneta, originaria di Rovigo o di Verona (dove corrisponderebbe a Fra Canàpa, un frate piuttosto grosso, caratterizzato da un grande naso, la “cànapa” appunto).
La sua fama è dovuta tuttavia al marionettista Antonio Reccardini (1804-1876) che lo portò in scena nei primi anni dell’Ottocento. A volte servo altre padrone, a volte ricco altre povero, Fracanapa è un tipo bonario e arguto, caratterizzato da un buon carattere gioviale, da un ottimo appetito e da un amore ancora migliore per il vino.
Nell’aspetto egli appare sempre piuttosto curato, con una marsina scura e attillata, un panciotto rosso, pantaloni al ginocchio e un nero tricorno in testa. Caratteristico era anche il suo modo di parlare a scatti, scandendo le sillabe e storpiando alcune lettere, allo scopo di ottenere effetti comici.

Tartaglia. Maschera generalmente compresa nel gruppo dei vecchi, appare in numerosi scenari nella parte di uno degli Innamorati. Si ritiene sia nata nel 1630 ad opera di un certo Beltrami di Verona.
Caratterizzato da una forte miopia e da una inguaribile e pertinace balbuzie, da cui il nome, questa maschera indossa un abito verde, calze bianche, mantello verde variegato di giallo e un ampio cappello grigio.
Vario è il suo stato sociale da notaio a avvocato, da usciere a farmacista. Carlo Gozzi, infine, ferma la sua figura in uomo di stato.
Tartaglia ottenne il suo maggior successo a Napoli dove, verso la metà del Seicento, era interpretato da Carlo Merlino, seguito da Agostino Fiorilli. In epoca recente da ricordare Gianfranco Mauri in “Arlecchino servitore di due padroni” di Goldoni, per la regia di Giorgio Strehler.

Arlecchino servitore di due padroni – Piccolo Teatro Milano (1994)

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