Carlo Goldoni e il Teatro comico

CARLO GOLDONI

Nostro signore della comicità

Carlo Goldoni nasce a Venezia il 25 febbraio 1707, durante gli ultimi giorni del carnevale, un momento felicemente indicativo per il più grande autore comico italiano.
Il padre Giulio, per mantenere i figli Carlo e Gianpaolo e la moglie Margherita, si trasferisce a Roma dove trova un lavoro e il tempo per addottorarsi in medicina. Carlo Goldoni a cinque anni viene descritto “dolce, tranquillo e obbediente” come figlio, e “precoce” come scolaro, dimostrando una predilezione per la letteratura degli autori comici e una passione maniacale per il teatro, tanto che all’età di nove anni abbozza una piccola sceneggiatura per una commedia teatrale.

Il padre si laurea ed esercita la professione del medico a Perugia, ordina a Carlo di raggiungerlo, iscrivendolo alla scuola dei Gesuiti dove segue lezioni di grammatica.
Il periodo che più mortifica Carlo Goldoni, è tra gli anni 1720 e 1721 a Rimini, dove segue un corso di logica nella scuola dei Domenicani, al punto di dichiarare “una delizia e una vacanza” i tre mesi di malattia dovuta al vaiolo. Guarito, fugge dalla suddetta scuola per imbarcarsi in un battello di una compagnia teatrale comica, raggiungendo la madre Margherita a Chioggia. Anche il padre lo perdona, i genitori capiscono le esigenze del figlio, prendendo la decisione di assecondarne le predilezioni.

Dopo alcuni mesi, viene mandato al collegio “Ghisleri” di Pavia per studiare la materia di Diritto; nella città pavese Goldoni si dà alla bella vita, frequenta donne e sperpera i soldi al gioco. All’età di 18 anni, scrive una satira (andata perduta) sulle virtù e vizi delle ragazze del luogo, il collegio viene preso d’assedio da genitori e parenti delle giovani donne pavesi, il Goldoni teme per la sua incolumità fisica e ritorna a Chioggia.
Nel pieno dei vent’anni si trasferisce a Modena, causa forte esaurimento nervoso trova conforto nella religione, decidendo di farsi frate nell’ordine dei Cappuccini, tutto finisce con l’intervento del padre che lo riporta a Venezia.
Nel 1731 a Bagnacavallo, subisce un grave lutto per la morte del padre Giulio. Sulla spinta di sua madre diventa avvocato presso l’università di Padova, entrando nell’ordine forense della Serenissima, come avvocato veneziano. In questo periodo si trasferisce a Milano, dove compone un dramma musicale dal titolo “L’Amalasunta”, opera che non conosce il palco del teatro ma le fiamme del camino. In questi anni è costretto a spostarsi di continuo, causa la guerra di successione polacca, recandosi a Modena durante il viaggio si ferma a Parma, proprio in tempo per assistere alla sanguinosa battaglia di San Pietro.

Goldoni torna a Venezia e la sera del 25 novembre 1734 sul palcoscenico del “San Samuele”, viene rappresentata l’opera intitolata “Belisario”, il suo primo vero successo teatrale. Nel frattempo segue la compagnia teatrale “Imer”, nelle sue rappresentazioni a Padova, Udine, ancora Venezia e infine Genova, dove conosce e s’innamora di Nicoletta Connio, ragazza di 19 anni che porta all’altare sposandola il 23 agosto 1736.
Nel 1738, compone la prima commedia che dà l’avvio al rinnovamento radicale per il teatro comico italiano “Il Momolo Cortesan”, quindi ritorna con la moglie nella laguna dove gli viene affidata la direzione del teatro d’opera del “San Giovanni Crisostomo”, incarico che ricoprirà fino all’anno 1741.

Goldoni cambia la metodologia di recitare

Gli attori degli spettacoli comici dell’arte da circa due secoli portano sulle scene un genere farsesco, caratterizzato dalla recita improvvisata e dall’uso della maschera, solo la trama è scritta, mentre il dialogo è affidato all’inventiva sul momento degli interpreti.
Goldoni, pone un’alternativa a questa tradizione obsoleta, con una commedia di “carattere” o di “ambiente” (un’organismo scenico tratto dalla vita e ricco di sostanza umana e morale).
Gli attori fissi con le maschere, devono essere sostituiti con personaggi arricchiti di una loro personalità individuale e con le maschere deve cadere ogni recitazione “a soggetto”, a favore di una sceneggiatura scritta interamente dall’autore.
Grazie alle sue geniali deduzioni Goldoni conquista prestigiosi traguardi. Nel 1743 scrive “La donna di garbo”, la prima opera a essere scritta in tutte le sue parti.
Nel 1745 mentre è a Pisa, gli ammicca dalla laguna “L’ Arlecchino” recitato in modo perfetto dall’attore comico Sacchi (considerato il migliore attore di quel secolo), all’irresistibile invito il Goldoni risponde inviandogli la straordinaria commedia teatrale, dal titolo “Il Servitore di Due Padroni” da questo momento decide di lasciare il mestiere di avvocato, per dedicarsi interamente all’attività di poeta comico.

Dall’anno 1748 al 1753 è commediografo del teatro “Sant’Angelo” e della compagnia teatrale che porta il nome dell’ideatore chiamato Madebach.
L’ennesimo successo arriva nella sera di Santo Stefano del 1748, con la “Vedova Scaltra” interpretata dalla brava attrice e moglie del Madebach. Nei mesi a seguire si continuano a rappresentare due capolavori, dai titoli “La Putta Onorata” e “La Buona Moglie”, che portano una ventata di vita e umanità. I consensi unanimi del pubblico rivolti al Goldoni portano in coda un’innevitabile reazione d’invidia degli altri ambienti teatrali.

Alla ripresa della stagione artistica và in scena la commedia Goldoniana chiamata “Vedova”; Pietro Chiari (un nuovo autore teatrale) roso dall’invidia, rappresenta un’opera chiamata “Scuole Delle Vedove”, una velenosa parodia rivolta alle commedie di Goldoni; quest’ultimo punto nel vivo si difende facendo stampare dei manifesti di chiarificazione. Il tribunale dell’inquisizione impone la sospensione di ambedue le commedie: è l’inizio a Venezia della censura teatrale.
La censura non ferma l’ascesa del Goldoni: nella seconda stagione comica presso il “Sant’Angelo” fa uscire le rappresentazioni teatrali “Il Cavaliere e la Dama” e “La Famiglia Dell’ Antiquario”.
Sul finire del carnevale del 1750 dopo l’insuccesso “Dell’Erede Fortunata”, dal palcoscenico fa annunciare al pubblico, che per il prossimo anno comico avrebbe fornito sedici commedie nuove. Goldoni mantiene l’impegno, tra le nuove creature ci sono opere impegnate e rappresentazioni allegre, come “Il Teatro Comico”, “La Bottega del Caffè”, “Il Bugiardo” e “La Pamela”.
In questo periodo i rapporti tra il Goldoni e Madebach si guastano, mettendo fine alla loro collaborazione. Goldoni trova una nuova sistemazione al teatro “San Luca” di Venezia, mentre il Madebach si accorda con il Chiari, nemico dichiarato di Goldoni.

Nei primi cinque anni al “San Luca” Goldoni ottiene grande successo nel filone delle commedie in versi veneziani, con le opere più rappresentative, intitolate “Le Massere” e il “Campiello”. Nel 1756 a Parma riceve il diploma di “Poeta” con una pensione annua di tremila lire. Le sue opere si stampano e si rappresentano ormai in varie città d’Italia.
Goldoni lascia Venezia per andare a Roma (tra il 1758 e il 1759), rientra poi in laguna per lasciarla e trasferirsi a Bologna, dove scrive “Gli Innamorati”, segno di una netta ripresa e l’avvio della sua più grande stagione creativa.

Dal 1760 al 1762 si recitano al “San Luca” di Venezia commedie come “I Rusteghi”, “La Casa Nova”, “La Triologia della Villeggiatura”, “Sior Todero Brontolon” e “Le Baruffe Chiozzotte”.
Nella rappresentazione de “I Rusteghi”, Voltaire gli manda versi di lode, seguiti da una lettera in cui lo definisce “Figlio e Pittore della Natura”. Ma il suo successo, fa lievitare per l’ennesima volta invidia e nemici: il più accanito è Carlo Gozzi, che manda in scena una sua “Fiaba” dove vengono sbeffeggiati Carlo Goldoni e Pietro Chiari, il pubblico applaude e gode della rivalità.

Carlo Goldoni, amareggiato, nell’aprile del 1762 lascia Venezia e si trasferisce in Francia a Parigi, insieme alla moglie e al nipote Antonio, per divenire autore della “Commedie Italienne“, rimanendone deluso per la poca considerazione del teatro italiano e delle sue riforme Goldoniane.
Nel 1765 per interesse della Delfina, gli viene affidato l’incarico di maestro di lingua italiana della principessa Adelaide, figlia di Luigi XV; Goldoni lascia quindi la “Commedie Italienne” stabilendosi a Versailles.
Torna a Parigi nel 1769 con una pensione annua; nella capitale francese si lascia attrarre nuovamente dal teatro, cimentandosi in francese con le commedie di carattere “Le Bourru Bienfaisant” e “L’Avare Fastueux”.
Sono gli ultimi lampi di Goldoni che diventa cieco all’occhio sinistro, ammalato e in condizioni economiche non sempre facili. La rivoluzione francese lo tocca da vicino privandolo della pensione di corte: dopo pochi mesi trascorsi fra malattia e miseria, Carlo Goldoni muore il 6 febbraio 1793, non facendo più ritorno nella sua amata Venezia.

Tratto da: biografieonline


 

«Se avessi la bacchetta magica porterei con me lo spettatore su una nave che viaggi nel tempo fino alla sera del 5 ottobre 1750, al Teatro S. Angelo, nell’attimo in cui si apre il sipario su Il Teatro comico. Pensate quale doveva essere la tensione degli attori alle prese con uno spettacolo in cui interpretavano se stessi e l’essenza stessa del proprio destino artistico e professionale! Non avendo la bacchetta magica ho cercato di ricostruire quel clima di attesa, quel fervore che si crea in una compagnia quando c’è la sensazione di fare qualcosa di nuovo, di veramente importante, che cambierà le loro vite»

Marco Bernardi, spettacolo “Il teatro comico” alla Biennale di Venezia

 


IL TEATRO COMICO OGGI

Il teatro comico mi sta particolarmente a cuore. La necessità di esprimersi, di divertire il prossimo e farlo ridere esiste da che mondo è mondo. Il piacere della risata e quello di farsi rapire da storie fantastiche sono presenti in tutte le culture e hanno attraversato ogni epoca. Da sempre l’essere umano balla, canta, fa musica, racconta, mima o si esibisce in giochi di destrezza. L’umorismo, il divertimento, la parodia, la burla e la farsa occupano da sempre una posizione di primo piano nell’arte rappresentativa. Inoltre l’umorismo può essere il mezzo per arrivare a un fine. Spesso lo humour aiuta prestigiatori, clown e attori comici ad esprimere meglio la realtà. Una scena umoristica si fonda sulla distorsione, sulla caricatura o sulla stilizzazione di un fatto – un procedimento altamente artistico. Tuttavia a volte ho l’impressione che il teatro comico, pur essendo apprezzato e pur costituendo una gradita forma di intrattenimento, non venga messo sullo stesso piano, ad esempio del teatro tragico, da un punto di vista artistico e culturale.

Per noi commedianti l’assegnazione del premio Nobel a Dario Fo ha sicuramente segnato l’inizio di una nuova era: si è voluto onorare ufficialmente ed apertamente il lavoro di un buffone, di un comico! Oggi esistono in tutto il mondo diverse forme di teatro comico: la Commedia dell’Arte, il Kyogen in Giappone, la commedia, il cabaret, le clownerie, la comedy e la pantomima, per citarne solo alcune.
Agli inizi del ventesimo secolo, quando il cinema era agli albori e la televisione ancora non esisteva, circhi, teatri varietà e vaudeville avevano la vita più facile. È importante portare nel nuovo secolo quel che resta di questa forma di intrattenimento fresca ed ingenua messa in scena con i mezzi più semplici.

Il teatro è intrattenimento e l’intrattenimento è sempre legato alla comica perché il pubblico vuole divertirsi.

«Vorrei poi che fossimo in grado di mettere un pizzico di humour in più in tutto quello che facciamo per non dimenticare come si ride e come si fa ridere. Un dono divino concesso solo all’essere umano.»

Dimitri


L‘Anonima Magnagati è un gruppo cabarettistico in lingua veneta, fondato nel 1974 a Vicenza e da allora, ogni anno, vanta decine di spettacoli dal vivo in tutto il Veneto, tournée all’estero, programmi televisivi e decine di collaborazioni artistiche.
Tra i più conosciuti nel panorama dei gruppi teatrali veneti, promuove un teatro moderno fatto di ironia graffiante, che vede le sue radici nella tradizione del teatro dialettale veneto e della commedia dell’arte. Dal punto di vista musicale il quartetto compone ed esegue pezzi originali assieme a parodie di canzoni celebri in veneto. I temi degli spettacoli sono in genere tratti dall’attualità, continuamente incrociata da richiami alle tradizioni popolari e con una riflessione di fondo costante sull’uso della lingua veneta, seppure presentata in chiave comica.

 

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