La donna nel Rinascimento

Il tempo in cui visse Francesco Petrarca fu un’epoca ricca di fermenti culturali, di un’ansiosa ricerca di nuove verità, ma anche un momento di angosce, di timori, di scrupoli: si è stanchi del vecchio e non si è ancora creato il nuovo, e si vive fra mille incertezze. Con il Petrarca la letteratura diventa maestra di vita, e nasce la prima lezione dell’umanesimo.

L’Ascesa al monte Ventoso è una lettera dal forte valore simbolico e ricca di elementi allegorici, che Petrarca scrisse ricordando un viaggio in cui scalò il Mont Ventoux, in Provenza, in compagnia del fratello Gherardo e altri compagni.
Datata 26 aprile 1336, è il giorno del Venerdì Santo, come lo fu il 6 aprile 1327 quando incontrò e s’innamorò di Laura nella chiesa ad Avignone. Due avvenimenti che il poeta fa coincidere con la passione di Gesù Cristo. Così come Gesù dovette affrontare una salita sotto il peso della croce, così il Petrarca (l’uomo) affronta il cammino, l’ascesa, sotto il peso del suo conflitto interiore. Il fratello Gherardo in quanto frate, quindi estraneo alla “pesantezza” dei desideri terreni, procede senza difficoltà, mentre egli è costretto continuamente a fermarsi.
Le asperità del terreno rappresentano le difficoltà della vita, e la cima del monte la salvezza. Da lassù egli legge alcune parole dalle Confessioni di Sant’Agostino che lo toccano profondamente, facendogli capire la futilità delle cose umane.

“E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti e gli enormi flutti del mare, le vaste correnti dei fiumi e il giro dell’Oceano e le rotazioni degli astri,  e non si curano di se stessi“.

Una curiosità: a quei tempi non era usuale scalare montagne senza uno scopo pratico. Per questo il 26 aprile 1336 è considerata la “data di nascita dell’alpinismo” e il “Petrarca alpinista” uno dei precursori di questo sport.
(Il CAI – Club Alpino Italiano)

De vita Solitaria è un trattato di carattere religioso e morale in cui Petrarca vi esalta la solitudine, tema caro anche all’ascetismo medioevale. Ma il punto di vista con cui egli osserva la solitudine non è strettamente religioso, al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l’isolamento operoso dell’intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali.
L’isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l’unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con tali valori. Da questa sua posizione è derivata l’espressione di “umanesimo cristiano” di Petrarca.

L’UMANESIMO

conoscenza e azione

Tra la natura e la mente umana ci sono elementi in comune: la razionalità presente nella natura si rispecchia nella razionalità dell’uomo; di conseguenza l’uomo può conoscere la natura e con la tecnica, può dominarla. Questo è il grande patrimonio che la Grecia ci ha lasciato e che sta alla base di ogni civiltà.
La Grecia ha dato un contributo decisivo alla teoria; ci ha insegnato che la mente è perfettamente in grado di capire la realtà, che è logica, razionale. Ideale supremo dei più grandi filosofi greci è aspirare a conoscere.

Ma l’età moderna ci porta a un nuovo problema che riguarda l’altra metà dell’uomo: l’agire, la pratica. In mezzo, tra la Grecia e la modernità si collocano Roma e il Cristianesimo, che in questo senso hanno dato un grosso contributo. Roma ha lasciato come grande patrimonio all’umanità una grandiosa civiltà del diritto; nessun altro popolo è stato capace di coordinare i rapporti pratici tra gli uomini come il popolo romano: tutte le azioni umane, tutti i rapporti umani, sono regolati da leggi che hanno una loro coerenza, hanno un loro fondamento ragionevole.
Il Cristianesimo introduce la charitas, l’essere caritatevole, il doversi prodigare per il prossimo. Per guadagnarsi la salvezza eterna bisogna agire virtuosamente, bisogna compiere opere buone.

L’Umanesimo italiano attinge alla spiritualità francescana, che si esprime nel Cantico delle creature in cui tutta la natura è animata dalla presenza divina, siamo affratellati a tutte le cose, e non c’è un netto distacco tra l’uomo e Dio.

La cultura umanistica alla base del Rinascimento implica una forte rivendicazione della bellezza, dell’armonia della natura, che è parte dell’uomo. Che non deve allontanarsi dalla natura e dalla corporeità per realizzare se stesso, anzi si può realizzare meglio proprio tenendo presente di essere anche corpo: è anche materia e non solo anima. Inoltre nella filosofia francescana si presenta il concetto di volontà, estraneo al mondo greco, un concetto nuovo che si ritrova nell’Umanesimo civile. Il problema della pratica percorre tutta la civiltà moderna.

Estratto da: L’umanesimo italiano di Antonio Gargano

Nei suoi scritti Francesco Petrarca amava giocare con il nome di Laura. A volte lo associava a l’àura, ossia il vento leggero, la brezza, il soffio vitale. Altre volte al lauro, ossia l’alloro (laurus nobilis) pianta aromatica tipica dei paesi del Mediterraneo le cui foglie sono usate sia in cucina che per la casa.

L’alloro simboleggia la sapienza e la gloria. La dea Vittoria spesso è rappresentata nell’atto di reggere o porgere un serto d’alloro, che divenne in età imperiale attributo proprio degli Imperatori. Nel Medioevo la corona d’alloro venne utilizzata anche come simbolo di trionfo nella poesia e utilizzato per incoronare i grandi poeti.
Cingere il capo dei neolaureati con una corona d’alloro è una tradizione tipicamente italiana.

Nella mitologia greco-romana l’alloro è l’albero sacro per il dio Apollo, protettore della poesia. A lui è legato uno dei più celebri e affascinanti racconti che esplora il tema dell’amore non ricambiato, della trasformazione e della tensione tra desiderio e rifiuto: il mito di Apollo e Dafne, narrato principalmente da Ovidio nelle sue Metamorfosi.

Apollo e Dafne, di Paolo Veronese

Dafne – La leggenda racconta che il dio Apollo attratto dall’estrema bellezza della ninfa Dafne provò per lei un ardore amoroso, che però ella rifiutò fuggendo via. Apollo la inseguì, e poco prima di essere raggiunta la fanciulla supplicò gli dei, suoi genitori, di salvarla. Ed ecco ascoltata la sua preghiera, in un attimo la giovinetta si trasformò in un alloro.
Esistono varie versioni di questo mito che può essere interpretato come una battaglia tra il desiderio sessuale (Apollo) e la castità (Daphne), tra la bramosia della lussuria e la salvezza attraverso il sacrificio e la trasformazione.

Durante un viaggio, diretto a Roma in occasione del Giubileo del 1350, Francesco Petrarca decise di fermarsi qualche giorno a Firenze dove ebbe modo di conoscere Giovanni Boccaccio. Tra i due si sviluppò una profonda e duratura amicizia, Boccaccio sarà uno dei principali interlocutori di Petrarca tra il 1350 e il 1374.

 

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