Diego Velazquez

Diego Velázquez (1599-1660) pittore spagnolo, artista tra i più rappresentativi dell’epoca barocca e grande ritrattista.
Nacque a Siviglia nel 1599 in una famiglia della piccola nobiltà locale, che gli potè garantire una buona istruzione. All’età di 12 anni venne assunto come apprendista da Francisco Pacheco, pittore e uomo dotto, la cui figlia Juana diverrà sua sposa nel 1618.
Nella città andalusa dove si susseguono stili e culture profondamente diverse, egli si farà conoscere ed apprezzare per il suo attento realismo.

Nei suoi primi lavori dipinse scene di vita quotidiana come l’Acquaiolo di Siviglia del 1620, nei quali l’uso di luce e ombra e il realismo della scena mostrano la chiara influenza del Caravaggio.

Si dedicò anche a soggetti sacri e biblici. Del 1620 è anche il dipinto Cristo in casa di Marta e Maria, realizzato da Velázquez nel periodo sivigliano; si noti il gioco di rimandi del ‘dipinto nel dipinto’, incastri che erano comuni nell’arte e nella letteratura del secolo.

In un ambiente spoglio che può essere la cucina vediamo in primo piano una giovane che sta usando il mortaio, sul tavolo sono presenti alcuni ingredienti. Il suo viso è corrucciato e dalla sua espressione traspare disagio, l’arrossire delle gote rivela turbamento.
Dietro di lei un’anziana donna sembra richiamarla, ha lo sguardo fisso perso chissà dove, con la mano indica, come se stesse rammentando qualcosa.
Sullo sfondo appare un’altra scena che potrebbe essere il soggetto di un quadro, o il riflesso di uno specchio, oppure è una piccola finestra sul passato che rivela a noi che guardiamo il dipinto, quello che alla giovane l’anziana sta narrando. Il titolo del dipinto  di Velázquez ci riporta a un episodio del Vangelo, in cui Gesù è ospite a casa di Marta e Maria di Betania.

A circa tre chilometri da Gerusalemme, a ridosso del monte degli Ulivi, c’era un villaggio chiamato Betània. Qui vivevano tre amici di Gesù: Maria, Marta e il loro fratello Lazzaro.
Marta aveva spesso invitato Gesù a casa loro. In una di queste occasioni, si dava molto da fare per preparare il pranzo, perchè nulla mancasse al loro ospite.
La sorella invece se ne stava tranquilla ai piedi di Gesù. Marta allora, un po’ contrariata si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, non vedi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque si aiutarmi».
Ma Gesù le rispose dolcemente: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Invece una sola è la cosa necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che nessuno le toglierà».
Allora Marta capì che ascoltare Gesù, parlare con lui era molto più importante che preparare pranzi speciali o preoccuparsi delle faccende domestiche.

Tratto da: La Bibbia illustrata per ragazzi. Testo di Marjorie Newman, disegni di Michael Cood – San Paolo Edizioni,  1989

Il pesce e l’aglio presenti sul tavolo ci rimandano all’Antico Testamento: quando gli israeliti lasciarono l’Egitto dopo che Mosè aveva ricevuto i dieci comandamenti sul monte Sinai, preceduti dall’Arca dell’Alleanza si rimisero in cammino verso la terra promessa, ricominciando a lamentarsi. Mosè sentì gravare su di sè il carico di tutto questo popolo.

«Chi ci darà carne da mangiare? Ci viene in mente il pesce che mangiavamo in Egitto per niente, i cocomeri, i meloni, la verdura, cipolle e aglio. Ora stiamo languendo: non c’è che manna davanti ai nostri occhi».

Secondo Plinio il Vecchio l’aglio è una panacea per tantissimi mali. E il pesce in particolare, ci rimanda alla moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù per sfamare la folla che dalla città lo aveva seguito.

Prese cinque pani e due pesci, rese grazie a Dio e poi li diede ai discepoli perchè li distribuissero alla gente che aveva fatto sedere sull’erba. Erano circa cinquemila persone e tutti mangiarono a sazietà. E perchè niente andasse perduto Gesù disse ai suoi discepoli di raccogliere quello che era rimasto: ne riempirono ben dodici ceste, con grande meraviglia loro.

La brocca sul tavolo della cucina richiama l’acqua che Gesù tramutò in vino alle nozze di Cana. Una brocca con un catino è presente anche sul tavolo vicino a Gesù, simbolo della lavanda dei piedi, un gesto di ospitalità che per il popolo ebraico è molto importante.
Mentre le uova per i primi cristiani simboleggiano la vita e la rinascita di Gesù, e quindi la Pasqua.

La donna anziana con il velo compare anche in un dipinto precedente del 1618: la Vecchia che frigge le uova è in compagnia di un giovane, che è lo stesso dell’Acquaiolo di Siviglia.

Diego Velázquez a 24 anni si trasferì a Madrid dove grazie al primo ministro Conte di Olivares assunse il ruolo di pittore alla corte di re Filippo IV d’Asburgo, appassionato collezionista d’Arte.

Nel 1628 giunse a Madrid Pieter Paul Rubens, brillante pittore fiammingo in missione diplomatica che soggiornò alla corte del re spagnolo. Dalla sua frequentazione Diego Velázquez colse alcuni preziosi consigli, e accrebbe in lui il desiderio di visitare l’Italia e le opere dei grandi maestri italiani. Un viaggio che potè realizzare grazie a un finanziamento ottenuto dal sovrano.
Rientrato in patria Velázquez dipinse molti ritratti dei reali e della nobiltà, tra cui il grande ritratto equestre Filippo IV a cavallo (1634) nel quale il re compare come un grande comandante, ruolo che investirà raramente, e una serie di ritratti di nani e buffoni al servizio del re il cui fine era allietare la vita di corte.

Nel 1649 Velázquez fece ritorno in Italia, questa volta con l’incarico di acquistare opere d’arte per la collezione reale. A Venezia acquistò dipinti di Tiziano Vecellio, Tintoretto e Veronese.
A Roma realizzò il grande ritratto di Papa Innocenzo X, nato Giovan Battista Pamphilj, di cui si dice risultasse tanto vero da lasciar sbalordito il papa; rimase proprietà privata della famiglia ed è oggi esposto alla Galleria Doria Pamphilj di Roma.
Due anni più tardi ritornato a Madrid, l’artista dipinse per la maggior parte ritratti della famiglia reale.

Egli strinse un buon rapporto con il re Filippo IV, tanto che gli fu assegnato uno studio nel Real Alcázar di Madrid, dove si dice che il sovrano avesse una sua poltrona in cui amava sostare per vedere il pittore al lavoro.
Lo stesso studio farà da sfondo a Las Meninas (Le damigelle d’onore, 1656) considerato il capolavoro più geniale di Velázquez, in cui la tecnica del ‘dipinto nel dipinto’ si fa più audace coinvolgendo lo stesso spettatore che, se lo guarda con attenzione, ha l’illusione di trovarsi esso stesso dentro la scena e di scorgere alle sue spalle, volgendo il capo a destra, la coppia reale in posa. Ma tutto ciò avviene fuori campo. A entrare nel dipinto è la coppia, riflessa nello specchio dietro al pittore, come fosse un quadro nella parete a rappresentare il passato.
Non è possibile sapere ciò che sta realmente dipingendo Velázquez sulla sua tela, ma ad apparirci è egli stesso e l’infanta Margarita presente nella stanza e circondata dal suo seguito di damigelle e buffoni, come a rappresentare un futuro illuminato dalla luce, che dalla finestra in fondo qualcuno ha fatto entrare.

Margarita, la figlia primogenita della seconda moglie e cugina del re Maria Anna d’Austria, in quel tempo era l’unica erede del Regno degli Asburgo di Spagna, essendo i sei figli precedenti deceduti a causa della consanguineità dei genitori, ed essendo il futuro Carlo II di Spagna non ancora nato (ciò avverrà solo nel 1661).

L’opera destinata agli appartamenti privati del re pare sia stata ritoccata tre anni dopo, quando nel 1959 al pittore venne conferita la Croce Rossa dell’Ordine di Santiago che appare sulla sua veste nel quadro. È un ordine cavalleresco, che esiste ancora sotto la Corona spagnola, a cui erano ammessi solo quei nobili che potevano vantare “limpieza de sangre”, la purezza della propria linea di sangue.
Diego de Silva/Velázquez portando il cognome della madre che apparteneva alla classe degli hidalgo, la nobiltà minore spagnola, ne rivendicò l’appartenenza. Ma fino al 1653 in Spagna l’ascendenza nobile avveniva solo per linea paterna, mentre negli anni successivi furono apportate modifiche ai requisiti allargandoli anche alla linea materna e il pittore potè così aspirare al tanto agognato titolo cavalleresco. Ma solo un anno dopo, nel 1660 Diego Velázquez morì a Madrid.

Uno dei suoi ultimi lavori, le Filatrici (La favola di Aracne, 1657) è un dipinto in cui in primo piano ci sono cinque donne del popolo impegnate nella filatura, le quali sembrano ricomparire, ma in altre vesti, sul palco in fondo come impegnate in una rappresentazione teatrale dell’antico mito greco di Aracne (a sinistra sembra esserci uno strumento a corde appoggiato a una sedia).
In primo piano vi è la tessitrice con il velo in testa che sta azionando la ruota, la quale nello sfondo si rivela essere Atena figlia prediletta di Zeus, dea greca della sapienza, delle arti e della guerra; sempre in primo piano, la giovane che è alle sue spalle a capo chino, nello sfondo si deduce sia Aracne. Il mito di Aracne raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi narra fosse un’abilissima tessitrice tanto che arrivò a sfidare Atena nell’arte della tessitura. Ma la dea per punire la sua umana sfrontatezza la trasformò nell’animale tessitore per eccellenza: il ragno. Infine si nota la giovane in fondo sulla destra volgere lo sguardo indietro come a confermare un collegamento tra la dimensione umana e quella divina.

Velázquez ‘Il pittore dei pittori’, così ebbe a definirlo Édouard Manet.
È incredibile l’espressività che riesce a donare ai suoi personaggi, ai volti da cui traspare il pensiero, lo stato d’animo, le loro emozioni e i sentimenti che arrivano dritti all’osservatore.

 

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