IL LIME

La limetta, meglio conosciuta come lime, è un agrume piccolo, ovale o rotondo, dalla buccia sottile e dalla polpa profumatissima e molto agra. Se viene lasciato a maturare sull’albero, assume un colore giallo fino a leggermente arancio, ma solitamente i frutti vengono colti ancora verdi, quando offrono il massimo del gusto e sono più succosi. Povera di zucchero è ricca di vitamina C e di acido citrico.

Quasi sconosciuta nel Mar Mediterraneo (tranne che in Egitto), la limetta predilige climi tropicali caldi e umidi, è coltivata in Messico, nei Caraibi, nell’Africa tropicale e in India da cui veniva copiosamente esportata verso l’Inghilterra per i fabbisogni del personale imbarcato, un rimedio equivalente al limone per la prevenzione dello scorbuto. A tutt’oggi una parte dei “docks” londinesi (zone anticamente parte del Porto di Londra, ora adibite ad area commerciale e residenziale) viene chiamata Limehouse, a ricordo dei magazzini di questo frutto che all’epoca arrivava direttamente dalle colonie inglesi.

LO SCORBUTO

Lo scorbuto già citato nelle cronache egizie (1500 a.C.) e da Ippocrate nel V secolo, ebbe una particolare attenzione durante i viaggi degli esploratori europei dal 1500 al 1800.
Infatti nel 1520 quasi tutto l’equipaggio morì a causa di questa presunta malattia durante la spedizione di Ferdinando Magellano.

Nel 1747 James Lind, un medico di bordo scozzese, si trovò su una nave della Royal Navy piena zeppa di marinai ammalati di scorbuto. Fu Lind a compiere il primo studio clinico, documentando scrupolosamente i sintomi e prescrivendo diverse terapie per capire quale funzionasse meglio. La soluzione stava negli agrumi. Non fu tanto questa ad essere una scoperta epocale, i benefici del lime e del limone erano già noti da secoli, e la sua opera salvò sì diverse vite a bordo della nave, ma soprattutto egli gettò le basi per gli studi clinici moderni come li conosciamo oggi.

La limetta viene coltivata soprattutto per la produzione dell’olio essenziale che si ricava dalla buccia. L’essenza, molto simile a quella del limone e molto apprezzata nell’industria dei profumi e dei detergenti, viene impiegata principalmente in quella alimentare per la produzione di bibite analcoliche, per aromatizzare la gomma da masticare.

Il succo di limetta è molto usato in cucina, valido sostituto del limone viene aggiunto alle macedonie e ai frutti di mare, e molto spesso in combinazione con il curry.
È un ingrediente fondamentale della key lime pie, un dolce tipico della Florida fatto con tuorli d’uovo, meringa in crosta di torta.
Viene inoltre utilizzato per la preparazione di diversi cocktail, come la Caipirinha e il Mojito, e per la preparazione del grog, una bevanda alcolica composta di acqua e rum, che fu introdotto nella Royal Navy dal Vice Ammiraglio Edward Vernon il 21 agosto, 1740.
In una versione moderna nel grog vengono aggiunti succo di limone, succo di lime, cannella o zucchero. Il rum con acqua, zucchero e noce moscata è noto come Bumboo e fu popolare tra pirati e mercanti. …Ben altri ingredienti vanno a comporre il grog più volte menzionato nella serie di videogiochi Monkey Island.

La pianta viene usata anche solo a scopo ornamentale essendo un sempreverde (come tutti i citrus) e avendo, in condizioni favorevoli, una compresenza di fiori e frutti sui rami.

IL CEDRO

Il cedro è verde-giallo e assomiglia al limone, ma è più grosso, ha la buccia più spessa e polpa meno succosa. Appartiene al genere Citrus ed è assieme al pomelo e al mandarino, una delle tre specie da cui derivano tutti gli altri agrumi.

Conosciuto fin dall’antichità, fu classificato da Plinio il vecchio nella Naturalis Historia col nome di “mela assira”. A quei tempi ancora non si usava il frutto come alimento, il suo utilizzo a tale scopo si sarebbe diffuso solo due secoli più tardi. Era invece usato come repellente per gli insetti nocivi come le zanzare, in maniera analoga alla citronella.

LA CITRONELLA

La Citronella – è un’erba perenne a portamento cespuglioso, propria delle regioni temperato-caldo e tropicali del Vecchio Mondo, una graminacea affine al sorgo. È anche conosciuta con il nome inglese di lemon grass.
Ha un odore che ricorda il limone e viene largamente usata in India e in altri paesi dell’Asia come ingrediente di salse e zuppe. Viene usata in Asia e in Africa per la preparazione di tisane.
È anche apprezzata per l’estrazione dell’omonimo olio aromatico. Le candele contenenti quantità significative di quest’olio hanno la proprietà di allontanare le zanzare e per questo uso sono diffuse anche in Italia.

Il cedro è stato il primo agrume coltivato fuori dall’Asia, attualmente si coltiva in Italia e in Francia soprattutto per candirne la scorza, i famosi cedrini, che misteriosamente scompaiono dalla dispensa ogni qualvolta si vuol preparare dolcetti vari o le frittelle di carnevale 😏
Il cedro viene impiegato per la maggior parte per la produzione di olio essenziale. L’essenza ricavata dal cedro è però facilmente deteriorabile, si intorbidisce e lascia dei residui resinosi, per cui solitamente si usa corretta con l’essenza di cedrina, una varietà sviluppata proprio a questo scopo perché rimane limpida.

Il cedro giudaico o etrog viene usato dai credenti ebrei nella Festività dei Tabernacoli o Festa di Sukkot.
La Festa di Sukkot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro pellegrinaggio nel deserto essi vivevano in capanne (sukkot). La Torah ordina agli ebrei di utilizzare, per la celebrazione della festa, quattro specie di vegetali: il lulav (un ramo di palma), l’etrog (un cedro), tre rami di mirto e due rami di salice.
Il cedro viene impugnato separatamente dai rami che invece sono legati assieme con la canapa.

È una varietà coltivata in Grecia, Etiopia e soprattutto in Palestina, ma anche in Calabria nella Riviera dei cedri.
A differenza di tutti gli altri agrumi, possiede un’albedo (la parte bianca della buccia) commestibile ed anzi molto succosa. Gli steroli contenuti nell’albedo sono un ottimo rimedio contro il colesterolo.
Il frutto intero viene impiegato per la produzione di bibite analcoliche, come la cedrata Tassoni, famoso marchio italiano.

CEDRATA TASSONI

Il soft drink della Tassoni ebbe origine nel 1750 quando venne fondata una Spezieria nel centro storico di Salò, cittadina della Riviera Gardesana. Gli speziali ebbero cura di valorizzare le caratteristiche del cedro realizzando distillati moderatamente alcolici ricavati dalla buccia.
Nel 1868, dopo essere divenuta farmacia, venne acquistata dal marchese Nicola Tassoni, che nel 1884 la rivende a Paolo Amadei, il quale decide di dare il via anche alle attività di Distilleria.
Sarà il figlio Carlo dopo il 1921 a creare la Cedrata Tassoni e a investire nella pubblicità per far conoscere il suo prodotto. Lo spot della Tassoni è uno dei più longevi della tv italiana, e nell’immaginario comune è rimasto indissolubilmente legato alla voce di Mina.
Oggi la Cedral Tassoni è gestita da Michela Redini, bisnipote di Paolo Amadei, e utilizza agrumi e cedri provienienti dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Puglia.

Tra le varietà straniere c’è il cedro di Corsica, il più noto a polpa dolce.

Non va però confuso con il Cedro del Libano, che è una conifera la cui caratteristica è rappresentata da alcuni rami che assumono un portamento a “candelabro” ossia formano un angolo di 90° e salgono verso l’alto. La cima col passare del tempo si appiattisce, nelle zone d’origine arriva a 40 metri, eccezionalmente a 60 metri.
L’uomo lo utilizza sia come specie ornamentale che per il legno, di ottima qualità è apprezzato fin dall’antichità. Si dice che il Tempio di Salomone e i palazzi di Babilonia fossero costruiti con questo legno molto aromatico.
Migliaia di anni fa estesi boschi di cedro del Libano ricoprivano i pendii montuosi di tutto il Vicino Oriente, ma l’eccessivo sfruttamento commerciale (per edilizia e cantieri navali) senza alcuna politica di riforestazione, ha determinato che, ad oggi nella sua zona di origine, sopravvivono solo poche centinaia di esemplari.
È il simbolo del Libano ed è rappresentato nella sua bandiera nazionale.

LA COMBAVA

La sua origine non è stata ancora determinata con certezza, si pensa sia un ibrido tra il cedro e la limetta oppure una mutazione spontanea della limetta.
Proviene dal Sud-est Asiatico e viene tuttora coltivata in Thailandia, Vietnam, Laos e Cambogia.

La combava è un piccolo albero molto spinoso, dal fogliame folto e rigoglioso, i cui fiori sono fortemente odorosi. Il frutto è piccolo e può essere rotondo od ovale, alle volte allungato all’attaccatura come un fico. La buccia è fortemente increspata ed irregolarmente bombata, di colore verde acceso fino a verde scuro. Il gusto è estremamente agro e perciò il frutto non si può consumare fresco, ma viene usato molto in cucina.

La buccia è utilizzata come ingrediente piccante di salse e condimenti, e sottili fettine di combava accompagnano piatti di pesce.

Particolarmente apprezzate sono le foglie che costituiscono la base di molte insalate.

Dopo opportuna lavorazione, la spremuta viene adoperata nella preparazione di alcuni liquori a base di rum che si producono in Madagascar e sull’isola di Riunione, dove la combava è molto diffusa.

Si producono anche profumi dalle fresche fragranze solari tipiche degli agrumi, ma anche con uno spiccato profumo di rosa dovuto al citronellolo contenuto nella buccia. In Indonesia il succo e sottili fettine essiccate di combava si utilizzano come medicinale.

IL POMELO

Il pomelo è il più grande tra i frutti del genere citrus e ha una forma caratteristica a pera. È originario dell’Asia dove è conosciuto da più di 4000 anni, fu introdotto in Cina attorno al 100 d.C. dove si è diffuso e continua a sopravvivere, anche spontaneamente in riva ai fiumi.

Nel XVIII secolo il capitano inglese Shaddock lo introdusse in Giamaica e gli diede il proprio cognome, ancora ricordato in Liguria dove il pomelo è noto come sciaddocco. È coltivato specialmente in Thailandia, Taiwan, Giappone e nel sud dell’India, ma anche in California e soprattutto in Israele.

Il frutto ha la buccia liscia, verdina, alle volte rosata, mentre la polpa raggiunge i colori dal giallo paglierino al rosa fino al rosso. È caratterizzato dalla presenza di un’abbondante sostanza bianca spugnosa sotto la buccia (detta albedo), che come nella maggioranza degli agrumi non è commestibile.
Se il frutto è maturo il gusto è piacevole, più dolce di quello dell’arancio amaro e senza alcuna acidità.
Ogni spicchio del frutto è piuttosto grande, presenta piccoli semi e una spessa buccia facile da togliere.

Molto diffuso in Cina, dove viene consumato fresco, è impiegato anche per produrre succhi (in Israele) e per condire insalate di frutta o di legumi, oppure candito. L’industria ricava oli essenziali dalla buccia.

Il pomelo è sempre più diffuso nei supermercati europei. In Italia è possibile acquistarlo nei negozi cinesi e in alcuni supermercati.

IL POMPELMO

Il pompelmo è uno dei più grossi agrumi, dopo il pomelo. Ha fatto la sua prima apparizione nel XVIII secolo nelle Antille, si è poi diffuso rapidamente in Florida, che è attualmente il principale produttore del mondo. Oggi è coltivato in alcune regioni degli Stati Uniti, dell’Africa Meridionale, dell’America Latina, in Israele e in altri paesi del Mediterraneo, tra cui anche l’Italia.

La buccia è abbondantemente foderata dalla massa spugnosa detta albedo; poco compatto ed elastico il pompelmo spesso sembra ammaccato.

È uno dei frutti “esotici” più diffusi, si trova in ogni stagione: una fresca spremuta di pompelmo è una bevanda dissetante, ricca di vitamine, particolarmente gradevole come aperitivo grazie al suo gusto piacevolmente amaro.

In America e nei paesi anglosassoni si usa aprire il pranzo servendo un mezzo pompelmo in frutto come leggero e ottimo antipasto.

Il pompelmo rosa è una varietà la cui colorazione deriva da una mutazione spontanea del pompelmo giallo, osservata in Texas nel 1929 e stabilizzata tramite irraggiamento con neutroni lenti.

Questa qualità è risultata molto gradita al consumatore, tanto da favorire ulteriori ibridazioni soprattutto con l’arancio moro, varietà d’arancia rossa tipicamente siciliana. Sono stati raggiunti buoni risultati: il frutto sta diventando sempre più colorato e sempre più dolce, e la buccia si sta assottigliando.
Due nuove cultivar di pompelmo rosa, la Star Ruby (1970), e la derivata Rio Red (1984), entrambe vendute con il nome di Rio Star, sono state ottenute mediante esposizione a radiazioni ionizzanti.
Potrebbe succedere che in breve diventi specie autonoma di citrus, come è già successo con le clementine: quando una varietà raggiunge qualità peculiari facilmente ripetibili, mantenendo invariate le nuove caratteristiche, l’ibrido assume lo status di specie. Non dobbiamo dimenticare che, storicamente, è quanto successe addirittura all’arancio ed al limone.

Gustosi cocktails dal sapore esotico e raffinato, freschi antipasti estivi si ottengono unendo la polpa del pompelmo a spicchi o tagliata a dadini, a molti ingredienti come gamberetti, formaggio, prosciutto “legati” da una salsina delicata che completa che unisce il tutto.

Opportunamente diluito il succo di pompelmo presenta proprietà antimicotiche, antimicrobiche e antibatteriche ad ampio spettro. Va comunque consumato moderatamente, anche perchè contiene la bergamottina, che è un potente competitore e inibitore metabolico che può alterare l’assimilazione e l’efficacia di alcuni farmaci (ad es. psicolettici, statine, ciclosporine, pillola anticoncezionale). È dunque consigliabile rivolgersi a personale qualificato per aver informazioni a riguardo.

IL BERGAMOTTO

Il nome deriva dal turco bergarmudi ossia “pero del signore” probabilmente per la sua forma leggermente a pera. Il frutto è di media grandezza, color giallo intenso con una buccia liscia e sottile.
Di questo agrume non si conoscono le origini precise, una leggenda racconta che fu Cristoforo Colombo ad importarlo dalle isole Canarie, altre invece fanno riferimento alla Cina o alla Grecia.

La leggenda del moro di Spagna racconta che per 18 scudi ne vendette un ramo ai signori Valentino di Reggio (in Calabria), i quali lo innestarono su un arancio amaro in un loro possedimento nella contrada Santa Caterina (quartiere di Reggio Calabria). Nel XIV secolo risultano tracce di un agrume esclusivo del sud della Calabria, Limon pusillus calaber.
Risale al 1750 la notizia di un bergamotteto impiantato nelle vicinanze di Reggio (attuale Reggio di Calabria) da Nicola Parisi, nel fondo denominato “Giunchi“.
Coltivato da secoli il bergamotto è tuttora simbolo dell’intera zona costiera di Reggio Calabria dove in primavera l’aria è pregna del profumo di questo singolare agrume. Per ripararlo dal forte vento costiero, si usa creare una barriera di filari con fitti pini di elevata altezza. È un albero che non sopporta bene gli sbalzi e i cali di temperatura, l’eccessiva o scarsa piovosità, mentre ben sopporta il caldo.

Il bergamotto viene coltivato in tre cultivar (varietà di pianta coltivata, ottenuta con il miglioramento genetico), che si distinguono in particolare per i frutti:

  • il femminello è più produttivo, ma presenta frutti più piccoli e lisci,
  • il castagnaro è vigoroso con frutti più grossi e rugosi,
  • il fantastico è simile al femminello ma con frutti piriformi.

Il frutto intero normalmente non è messo in vendita al dettaglio perché è utilizzato prevalentemente per produrre l’essenza o per essere candito. Si possono ottenere delle spremute, tagliato a spicchi si aggiunge a delle insalate o al tè (la buccia è aromatica come quella del limone).

Il suo succo è molto amaro per la presenza di naringina e sembra essere attivo nell’abbassare il tasso di colesterolo grazie alla presenza di polifenoli. Ha un alto contenuto di acido citrico tanto che negli anni passati il suo succo veniva utilizzato come fonte di acido citrico naturale.

Dalla buccia è possibile ricavare l’olio essenziale, conosciuto ed esportato in tutto il mondo per le sue proprietà.
Dona una nota estremamente fresca alle composizioni di profumeria ed è componente essenziale dell’Acqua di Colonia e delle Acque di Toilette, primi prodotti grazie al quale il bergamotto ha avuto un uso diffuso in tutto il mondo.
Essendo un’essenza pregiata prodotta in quantità relativamente piccole è un prodotto particolarmente soggetto a contraffazioni, che consistono nel “tagliarla” aggiungendo distillati di essenze di scarsa qualità e basso costo.

LA LAVORAZIONE

Originariamente le bucce dei frutti tagliati in due e privati della polpa, venivano più volte piegate e pressate a mano su una spugna naturale che si impregnava di essenza. Quindi veniva strizzata e l’essenza lasciata decantare in un contenitore di coccio (concolina).
Successivamente si utilizzarono presse di legno e nel 1844 fu ideata la “Macchina Calabrese” da Nicola Barillà, una macchina pelatrice che garantiva una resa elevata in tempi brevi e un’essenza di migliore qualità.

Dalla tradizione nasce l’arte di creare preziosi souvenir con la buccia di bergamotto. Il frutto svuotato interamente della polpa, lasciato asciugare al sole e delicatamente rivoltato (così che la buccia si trovi all’interno), risulta morbido e modellabile secondo l’utilizzo che se ne vuol fare: piccoli cofanetti decorati, rose che adornano le terracotte, singolari zampogne, le Calandrey, le famose scarpette del pastore cucite meticolosamente a mano e le antiche tabacchiere usate per aromatizzare il tabacco da fiuto quando era un atto di squisita gentilezza offrire ‘na presa de tabaco!

In passato gli psoraleni contenuti nell’estratto da olio bergamotto sono stati usati negli acceleratori d’abbronzatura e nei filtri solari. Ma per effetto dei raggi UV che determinano un aumento della loro reattività, si è appurato che gli psoraleni possono danneggiare il DNA.
Queste sostanze sono note per essere fotocancerogene dal 1959, ma sono state bandite dai filtri solari solo dopo il 1995 (negli USA), seguiti a ruota da altri stati. Gli psoraleni attualmente vengono impiegati nel trattamento di forme gravi di psoriasi, micosi fungoide, dermatite atopica, alopecia areata di ambito dermatologico.

La scorza di bergamotto, se opportunamente trattata, ad esempio messa in salamoia e poi unita al succo, può essere utilizzata per aromatizzare primi e secondi piatti, ma anche dolci come una delicata torta bianca e cremosa che viene chiamata Nosside.
Presumibilmente dedicata ai soavi versi di Nosside, la più grande poetessa della Magna Grecia, nata a Locri Epizephyrii sulla costa ionica reggina.

Nulla è più dolce dell’amore
ogni altra felicità è secondaria

Altri dolci ricavati dal bergamotto sono le caramelle e le scorzette candite.

L’aroma dell’olio di bergamotto è utilizzato per aromatizzare il tè, nella variante denominata Earl Grey, o per ricavarne un profumato e raffinato sorbetto.

La buccia intera messa a macerare in alcool etilico, costituisce la base del liquore denominato bergamino o bergamello. Si usa anche per aromatizzare la grappa. L’elisir al bergamotto, detto anche Amarotto, a bassa percentuale alcolica, è un ottimo digestivo.

Il succo ricavato dal bergamotto maturo (giallo) è usato, a volte e in piccole quantità, dall’industria dei succhi di frutta per la sua nota amara.

Un bergamotto intero nel frigorifero, raschiandone la buccia con una forchetta periodicamente ogni due settimane, può essere utile per eliminare i cattivi odori; basta qualche goccia di essenza nella vaschetta dei caloriferi o nella bacinella del liquido per lavare i pavimenti per aromatizzare per alcuni giorni gli ambienti.

IL CHINOTTO

Il chinotto deve il suo nome alla Cina, luogo da cui sarebbe stato importato verso la fine del ‘500 o all’inizio del ‘600 da un livornese o savonese. Ma finora non è giunta notizia di coltivazioni di chinotto nei paesi asiatici.
Secondo alcuni ricercatori invece la pianta sarebbe originaria del Mar Mediterraneo dove si sarebbe sviluppata a seguito di una mutazione gemmaria dell’arancio amaro. È diffusa in Liguria, Toscana, Sicilia e Calabria, sporadicamente anche sulla Costa Azzurra francese.

Unico tra i citrus, il chinotto è privo di spine, i suoi fiori sono piccole zagare bianche che crescono sia in gruppi alle estremità dei rami, sia pure con singoli fiori vicini allo stelo, ciò rende la pianta particolarmente ornamentale.

I frutti piccoli e schiacciati ai poli quando sono maturi diventano arancioni, hanno un succo molto amaro e acido. Possono rimanere a lungo sulla pianta, si dice anche fino a due anni. La pianta teme il freddo.
Tradizionalmente il chinotto viene utilizzato per produrre confetture, canditi e sciroppi.

Durante la Belle Èpoche (fine 1800-1918) i frutti immaturi opportunamente trattati e sciroppati in soluzioni zucccherine, venivano consumati insieme a bevande alcoliche, come vini all’assenzio, serviti come aperitivi.

Il succo di chinotto è presente in molte bevande digestive e in amari, ma soprattutto nell’omonima bevanda.
Naturalmente tra le varie marche occorre fare attenzione all’etichetta: se cita parole come “al gusto di”, “aroma di”, del chinotto, nel senso di agrume, molto probabilmente non c’è nemmeno l’ombra.

Il Chinotto di Savona è Presidio di Slow Food. Dato il rischio di estinzione della pianta, dal 2014 il Comune di Quiliano ha avviato un’operazione di piantumazione estensiva presso il Parco di San Pietro in Carpignano.

SLOW FOOD

È un movimento culturale internazionale che opera sotto forma di un’associazione senza scopo di lucro, nato in Italia nel 1986 a Bra in provincia di Cuneo con il nome di Arci Gola, emanazione della più ampia associazione denominata ARCI (Associazione Ricreativa Culturale Italiana).
Si pone come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto, e tutto il mondo dell’enogastronomia, innanzitutto come un piacere. Fondata da Carlo Petrini e pensata come risposta al dilagare del fast food, del cibo spazzatura e delle abitudini frenetiche, non solo alimentari, della vita moderna.
Slow Food studia, difende, e divulga, le tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni parte del mondo, si è impegnata per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura massiva, le manipolazioni genetiche.

Nel 1989 all’Opéra-Comique di Parigi, nasce ufficialmente il Movimento internazionale per la Difesa e il Diritto al Piacere, il cui Manifesto è sottoscritto e condiviso da 15 paesi di tutto il mondo che inizia con queste parole:

«Questo nostro secolo, nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita.
La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la vita veloce, che sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case, ci rinchiude a nutrirci nei fast food.
Ma l’uomo sapiens deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che può ridurlo a una specie in via d’estinzione. Perciò, contro la follia universale della “fast life”, bisogna scegliere la difesa del tranquillo piacere materiale.
Contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di un’adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento.
Iniziamo proprio a tavola con lo Slow Food, contro l’appiattimento del fast food riscopriamo la ricchezza e gli aromi delle cucine locali…»

tratto dal Manifesto dello slow food

Proprio per l’obiettivo primario di promuovere l’educazione gastronomica e la cultura del cibo, Slow Food dà vita a una nutrita serie di progetti, come quello dei presidi.

Presìdi di Slow Food

Il progetto Presìdi di Slow Food nasce nel 1999 come naturale evoluzione dell’Arca del Gusto per il recupero e la salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica minacciate dall’agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall’omologazione.

Arca del Gusto

L’“Arca del Gusto” nasce nel 1996, in occasione del primo Salone del Gusto torinese. Un anno dopo vengono definiti gli obiettivi e stilato un Manifesto, nel 1999 nasce la Commissione Scientifica dell’Arca Italiana che individua le categorie dei prodotti e i criteri di selezione, e nel 2002 quella internazionale.
L’Arca del Gusto viaggia per il mondo e raccoglie i prodotti che appartengono alla cultura, alla storia e alle tradizioni di tutto il pianeta. L’Arca invita tutti a fare qualcosa, a segnalare, a raccontare, a far riscoprire questi prodotti, specie se c’è il rischio che possano scomparire.

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