Gerusalemme nel 587 a.C  venne distrutta dal re babilonese Nabucodonosor II, il Tempio fu bruciato e gli ebrei vennero fatti schiavi e condotti in Babilonia.
L’Esilio babilonese diede il via alla diaspora, ovvero alla dispersione del popolo ebraico nel mondo.

BABILONIA

Babilonia detta anche Babele, era una città della Mesopotamia antica, situata sull’Eufrate, il suo nome significa «la Porta degli Dei», conosciuta nell’antichità con il nome di Tintir, ossia “Bosco di vita”.
Fu capitale di un potente impero, raggiungendo il massimo del suo splendore con il re Hammurabi (secolo XVIII a.C) noto per aver unificato la bassa Mesopotamia facendo di Babilonia il centro di una rete di alleanze con le città-stato fondate dai sumeri nella regione.

LA MESOPOTAMIA

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La Mesopotamia è una regione del Vicino Oriente, parte della cosiddetta Mezzaluna Fertile, il cui nome stesso (dal greco μέσος = centrale, che sta in mezzo, e ποταμός = fiume) la indica come una terra che sta tra due fiumi: il Tigri e l’Eufrate.

La regione fu abitata fin dai tempi remotissimi, qui si svilupparono antiche civiltà a cui si devono importanti scoperte e invenzioni: come i Sumeri che furono tra i primi a inventare la scrittura, i Babilonesi che hanno ideato uno dei primi codici di leggi della storia, il Codice di Hammurabi, e gli Assiri che hanno fondato un vasto impero. Inoltre, essendo il Tigre e l’Eufrate due fiumi soggetti ad una portata variabile e a improvvise e disastrose inondazioni, la loro imprevedibilità fu un importante stimolo per la costruzione di opere di irrigazione e di regolazione delle acque.

Nel 500 a.C. circa la Mesopotamia venne conquistata dall’Impero persiano e nei secoli si trovò a far parte di vasti domini, come quello seleucide, sasanide, arabo e ottomano. Attualmente essa comprende l’Iraq, che nel 656 venne conquistato dagli arabi i quali vi introdussero l’Islam, e parte della Siria, della Turchia e dell’Iran.

 

Il re Hammurabi viene ricordato soprattutto per aver promulgato una raccolta di leggi nota come Codice di Hammurabi, la cui stele originaria è conservata al Museo del Louvre a Parigi, e rappresenta uno dei primi esempi di leggi scritte nella storia, riportando così la giustizia nella sfera di competenze reali e sottraendola ai templi.
Egli sostenne inoltre l’agricoltura tramite il potenziamento di una estesa ed efficiente rete di canali che rese fertili le terre, assicurando un mezzo di sostentamento agli strati sociali più deboli.

Nel susseguirsi di numerose dinastie, Babilonia perse d’importanza finchè nel 732 a.C. venne conquistata dall’Impero assiro e sotto tale dominio rimarrà per circa un secolo in costante stato di rivolta, finchè la capitale venne completamente distrutta: le sue mura, i templi e i palazzi furono rasi al suolo e ciò fu interpretato come un segno di punizione divina.

Una volta ricostruita la città vecchia, fu nuovamente assediata ma ritornò ad essere indipendente nel 626 a.C. con la rivolta dei babilonesi contro gli Assiri, guidata da Nabopolassar che divenne re di Babilonia.
Pochi anni dopo riuscì a conquistare e distruggere la splendida capitale assira Ninive, importante snodo per le rotte commerciali del tempo e ponte fra l’Oriente e l’Occidente, segnando la fine dell’Impero assiro. Una volta sconfitti anche gli alleati egiziani, Babilonia tornò ad essere il maggior Impero mediorientale.
Con Nabucodonosor II, figlio e successore al trono di Nabopolassar (604 a.C.), Babilonia divenne una delle più splendide città del mondo antico. Furono ricostruiti i giardini imperiali, compresa l’Etemenanki, la principale ziqqurat della città.

Le ziqqurat erano torri templari di origine sumerica molto diffuse in Mesopotamia, costruite a gradini, con  piattaforme culturali sovrapposte, sulla sommità vi era un sacello (“recinto sacro”) a cui si accedeva con una gradinata esterna.
Rappresentava una ‘struttura di comunicazione’ tra cielo e terra, in stretta consonanza con il simbolismo cosmico di tutta l’architettura sacra mesopotamica; di qui il carattere di ‘centro’ e di ‘asse’ del mondo secondo un simbolismo di estensione quasi universale.
Le ziqqurat potrebbero aver ispirato il mito della Torre di Babele.

LA TORRE DI BABELE

Dopo il diluvio, i figli e le nuore di Noè ebbero dei figli e questi a loro volta altri figli e così via, finchè la famiglia di Noè, ormai molto vecchio, era diventata numerosissima.
I gruppi familiari cominciarono ad allontanarsi, ma parlavano ancora la stessa lingua. Si diressero verso oriente in cerca di un posto dove stabilirsi e arrivarono in una pianura nel paese di Sennaar, dove si fermarono.
Avevano scoperto come fare i mattoni dall’argilla e decisero di erigere una splendida città con una altissima torre al centro. Una torre così alta da arrivare fino al cielo. Una torre che avrebbe aiutato a restare uniti e mostrato a tutti quanto importante fosse la loro nazione.

Torre di Babele, dipinto
di Pieter Bruegel del 1563

Perciò si misero all’opera e tutti davano una mano, e la torre cominciò presto a crescere. Allora Dio venne a vedere quello che stavano facendo e capì che stavano diventando arroganti e superbi. Lo avevano estromesso dalla loro vita e ora cercavano di raggiungere il cielo con la loro opera. Dio sapeva che non ci sarebbero mai riusciti e presto sarebbero diventati peggiori degli uomini prima del diluvio.

Un mattino la gente venne a lavorare alla torre e si accorse di non capire quello che dicevano gli altri. Dio aveva confuso le loro lingue.
Dapprima furono stupiti, poi s’infuriarono, e infine ebbero paura. Per quanto gridassero non riuscivano a farsi capire e a capire gli altri. Il lavoro alla torre cessò.
Un po’ di tempo dopo, qualcuno si accorse che altre persone parlavano la stessa lingua, perciò si unirono formando dei gruppi e separandosi dagli altri.
Gli uomini erano stati dispersi sulla terra, ognuno secondo la propria lingua, senza però che nessuno subisse alcun danno.
La torre, mai più completata, fu chiamata Torre di Babele. Babele, infatti, in ebraico significa “confusione”.

Tratto da: “La Bibbia illustrata per ragazzi”, Testo di Marjorie Newman, disegni di Michael Cood – San Paolo Edizioni,  1989

 

Durante il regno di Nabucodonosor II fu ricostruita anche una delle otto porte che circondavano il perimetro di Babilonia: la Porta di Ishtar, la più spettacolare, che in parte è stata recuperata con i materiali trovati durante gli scavi dell’archeologo tedesco Robert Koldewey, reso famoso dalle scoperte relative all’antica città di Babilonia le cui rovine sono situate nell’attuale Iraq.
Dal 1930 la Porta di Ishtar si trova al Pergamonmuseum, uno dei più importanti musei archeologici della Germania e del mondo, sito nell’Isola dei musei a Berlino. Il museo prende il nome dall’antica città ellenistica di Pergamo in Anatolia (oggi in Turchia), da cui provengono la maggior parte delle opere esposte.

Ishtar era la gran madre di tutti, simboleggiava colei che dava calore, fertilità e sicurezza all’uomo. Ella faceva parte di una trinità: con Marduk, il padre di tutti, e Nabu, figlio di Marduk, il quale era molto vicino all’uomo. Poichè i babilonesi avevano una religione politeista, accanto a questa triade c’erano altre divinità.
Ogni anno a Babilonia si celebrava la festa del Nuovo Anno, segno di rinascita e di purificazione che avveniva con l’aiuto di Ishtar, Nabu era colui che accompagnava la processione.
Il mito della rinascita è sempre presente nelle religioni orientali. Ishtar richiama il mito fenicio di Balaat, presso i sumeri era venerata come Innin, presso gli Egizi come Iside.

Si ritiene che Nabucodonosor intorno al 590 a.C. abbia fatto costruire i leggendari Giardini pensili di Babilonia, considerati una delle Sette meraviglie del mondo antico, anche se la tradizione attribuisce la loro realizzazione alla regina Semiramide.
È la leggendaria regina assira le cui gesta sono raccontate in numerose opere liriche, tra cui il melodramma tragico di Gioachino Rossini Semiramide. Tratto dalla Tragédie de Sémiramis di Voltaire, debuttò al Teatro la Fenice di Venezia nel 1823 con Isabella Colbran nel ruolo della protagonista. L’opera è l’ultima che Rossini compose espressamente per palcoscenici italiani.
La posizione dei giardini pensili non è stata mai identificata e alcuni storici mettono in dubbio che i giardini siano veramente esistiti.

Il re Nabucodonosor II nel 587 a.C. condusse il suo popolo alla conquista di Gerusalemme: i babilonesi saccheggiarono la città e distrussero il Tempio di Salomone, gran parte del popolo ebraico fu deportato in Babilonia.

Babilonia venne così identificata come luogo del Paganesimo, dell’idolatria, dei vizi, delle Leggi scritte dall’Uomo, contrapposta a Gerusalemme identificata come luogo Celeste, della pace, delle virtù, delle Leggi divine. Divenne una metafora che contrappone l’Occidente, materialista che si fa guidare dalla testa, all’Oriente, più spirituale e mistico che si fa guidare dal cuore.

Nel 538 a.C. Ciro il Grande, re di Persia, conquistò Babilonia e annettendola al proprio impero ne divenne il nuovo re. Egli emise un editto che consentiva agli Ebrei di fare ritorno in Israele e di ricostruire il tempio di Gerusalemme (che fu poi distrutto dai romani nel 70 della nostra era).
In questo modo l’intero Medio Oriente e la regione fenicio-palestinese, entrarono a far parte dell’immenso Impero Persiano, che il sovrano seppe mantenere integro attraverso una politica avveduta, fondata sul conferire libertà ai popoli sottomessi e sul rispetto delle loro usanze.

Sorprendentemente la conoscenza delle grandi culture della Mesopotamia è storia relativamente recente. All’inizio del XVIII si rivelò un rinnovato interesse per questa terra in parte dovuto alla spedizione francese in Egitto guidata da Napoleone Bonaparte (1798) che incentivò lo studio e la ricerca storica e archeologica, e in parte grazie alla traduzione della celebre raccolta favolistica araba de Le Mille e una notte (Alf lailah wa lailah) composta da differenti autori.

LE MILLE E UNA NOTTE

Le novelle orientali de Le Mille e una notte in origine venivano tramandate oralmente, cominciarono ad essere trascritte intorno al X secolo e vi si riconoscono elementi arabi, egiziani, persiani e persino indiani, anche se si ricorda l’indubbio debito contratto con l’opera persiana intitolata Hazār-afsāna (هزارافسانه, che significa “I mille racconti”).
Si ritiene che nel 1500 il manoscritto fosse già esistente, tradotto e diffuso in Occidente, in particolare nel settecento con la traduzione di Antoine Galland, che apportò aggiunte e adattamenti personali. Innumerevoli traduzioni sono state fatte nel tempo dando diverse interpretazioni, nei testi l’erotismo in alcuni casi è stato censurato, mentre in altre versioni è stato arricchito di note e appendici.

Shahrazād è la protagonista della storia che fa da cornice, contenendo tutte le altre favole. Si racconta che il re Shāhrīyār, sultano della Persia e dell’India in seguito al tradimento di una delle sue mogli si persuase dall’idea che tutte le donne fossero perfide. Dopo averla mandata a morte, decise di passare ogni notte con una fanciulla dei suoi sudditi, per poi farla giustiziare l’indomani.
Ma il Gran Vizir, incaricato di fornirgli la vittima non trovò più altri che la sua stessa figliuola, la bella e saggia Shahrazād, la quale con l’aiuto della sorella minore Dinarzād escogitò uno stratagemma. Le venne permesso ogni sera di raccontare al re una storia, rimandando il finale al giorno seguente, ma naturalmente la storia non finiva perchè una nuova storia si inseriva in quella precedente come anelli di una lunga collana, o si incastravano l’una nell’altra come in un sistema di scatole cinesi. E così per mille e una notte, alla fine il re, innamoratosi di lei, le rese salva la vita.

L’immagine, a volte fantastica, che dell’Oriente ci offrono le novelle de Le Mille e una notte, risulta deformata ed è quella attraverso cui l’Occidente stesso ha più conosciuto, e talvolta conosce tuttora, il mondo orientale musulmano.
Così per Shahrazàd, mentre per il mondo arabo è simbolo della forza dell’intelligenza, del fascino della parola, del potere di seduzione, abile artefice della propria salvezza e di quella delle altre donne, nel mondo occidentale viene immaginata come l’odalisca sensuale e passiva che si sacrifica, molto gettonata nella letteratura europea, nelle gallerie d’arte, nei palcoscenici e nei balletti.

In Italia una traduzione assai accurata de Le Mille e una notte è stata approntata dal grande arabista Francesco Gabrieli per la casa editrice torinese Einaudi, condotta sui manoscritti arabi avvalendosi di traduttori autorevoli e competenti in lingua e letteratura araba.
L’espediente del racconto nel racconto de Le mille e una notte, da alcuni viene paragonato a quello del teatro nel teatro che giunge attraverso Shakespeare fino a Pirandello. Un tipo di narrazione introdotto in Europa nel 1300 da Giovanni Boccaccio, dove la narrazione “interna” serve in molti casi a chiarire le posizioni dei protagonisti nel suo Decamerone.

Alcune novelle della raccolta e la struttura a incastro costituiscono lo sviluppo narrativo de Il fiore delle Mille e una notte, un film girato dal poeta, regista e sceneggiatore Pier Paolo Pasolini, uscito nel 1974.
È il terzo e conclusivo capitolo della cosiddetta “Trilogia della vita” dopo Il Decameron (1971) e I racconti di Canterbury (1972) con cui Pasolini, giornalista e narratore di storie, vuol celebrare l’esaltazione della vita e dell’essere umano.

L’idea nacque già alla fine degli anni sessanta, quando in Italia la borghesia condannava il sesso come atto osceno, la sessualità era tabù, finendo quasi per sprofondare di nuovo nell’ottica che vi era nel Medioevo.

 

Durante il XIX secolo numerosi furono i viaggi intrapresi per studiare le grandi civiltà mesopotamiche, dagli scavi emersero numerosi reperti archeologici, ma subirono un arresto nel XX secolo a causa della Seconda guerra mondiale e nella prima e seconda Guerra del golfo, durante l’ultima delle quali si verificò uno spietato saccheggio dei siti da parte dei tombaroli, pur restando un’immensa quantità di reperti non ancora catalogati che riguardano l’assiriologia.

Salomone e le dodici tribù d’Israele

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