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Un tempo durante le sfilate di carrozze, tipiche di molte città, si usava gettare sulla folla mascherata granoturco ed arance, fiori, gusci d’uovo ripieni di essenze profumate, monete.
A partire dal XVI secolo, utilizzando i frutti della pianta del coriandolo rivestiti di zucchero, si iniziarono a produrre dei confettini profumati, fatti apposta per essere lanciati dall’alto dei carri mascherati o da balconi e finestre.
Questa usanza, piuttosto costosa, cadde in disuso. I confetti bianchi vennero gradualmente sostituiti da piccole pallottole, di identico aspetto, ma fatte di gesso.
IL CORIANDOLO
La pianta del coriandolo, nome scientifico Coriandrum sativum, è una pianta erbacea annuale conosciuta anche con il nome di Cilantro ed appartiene alla famiglia delle Apiecee/Ombrellifere.
La parola latina coriandrum deriva dal greco e significa “somigliante alla cimice”, questo perché i frutti acerbi e le foglie del coriandolo emanano un odore sgradevole che richiama quello delle cimici.
La pianta è originaria dell’Oriente, ha un fusto eretto e presenta piccoli fiori bianchi. Le parti utilizzate sono soprattutto i frutti che crescono ad inizio estate.
Pare che a Milano nel XIX secolo si cominciasse a tirare qualcosa di diverso: minuscoli dischetti di carta bianca che al minimo refolo di vento si sollevavano in aria, come se una nevicata ricoprisse i carri che sfilavano.
Narra la leggenda che la geniale trovata fosse dell’ingegner Enrico Mangili, che aveva pensato di usare i dischetti di scarto dei fogli bucherellati che si usavano come lettiere per i bachi da seta.
Presto la folla li cominciò a chiamare con il nome con cui ancora oggi li conosciamo: coriandoli.
I coriandoli cominciarono ad essere prodotti a livello industriale e non più come materiale di scarto, utilizzando anche carta colorata.
LA MAGGIA DER CARNEVALE
‘Sti giorni matti, oggi come ieri,
la gente, travestita e impiastricciata,
scegne pé strada e có ‘na caciarata
scanza l’impicci e sfratta li penzieri.
Tutti incarcati, in mezzo a la sfilata
Arlecchini e Pierrotte e bucanieri
e Purcinella e dame e cavalieri
balleno su ‘na musica sfrenata.
Guarda si che maggìa cià Carnevale;
puro si è finto è senza ipocrisia:
t’abbasta ammascheratte p’esse uguale.
Ma “Re Pupazzo”, poi, sbaracca presto;
cala er sipario, sfuma l’alegria
e torni a un monno farso e disonesto!
Giuseppe Caporuscioti
La ricetta
FRITTELLE VENETE
Ingredienti:
600 gr. farina bianca
250 gr. di zucchero
150 gr. di burro
200 gr. di uva sultanina
1 litro di latte
12 uova
mezzo bicchiere di grappa
1 buccia di limone grattugiata
sale
Preparazione:
Fai bollire insieme al latte, il burro, lo zucchero e la buccia di limone grattugiata.
Togli dal fuoco e versaci tutta la farina setacciata. Mescola energicamente per 5 minuti. Rimetti la pentola sul fuoco e mescola ancora per 2-3 minuti.
A questo punto versa l’impasto in una terrina fredda e, continuando a mescolare, lascia raffreddare completamente.
Allora aggiungi le uova, una alla volta, incorporandole bene e alla fine, unisci l’uva passa e il sale.
Lascia riposare l’impasto per alcune ore prima di incominciare a friggere (ideale sarebbe prepararlo con un giorno di anticipo) e aggiungi la grappa solo quando l’olio per la frittura è già sul fuoco.
Le frittelle vanno cotte in una padella capace, poche per volta, versate col cucchiaio e col dito, e devono galleggiare sull’olio per prendere un bel colore omogeneo.
Le xè fritole coi fiochi. Desso a Carnevale le se fa anca ogni domenega se ghe xè boche e stomeghi boni che ghe fa festa. ‘Na volta le se faseva solo el zoba grasso…e miga tuti podeva farle.
(Sono frittelle con i fiocchi. Adesso a Carnevale si fanno anche ogni domenica se ci sono bocche e stomaci buoni che fanno loro la festa. Una volta si facevano solo il giovedì grasso…e mica tutti potevano farle).
Tratto da: La ricetta della nonna – antologia di ricette ricostruite dagli scolari e dagli studenti delle Province di Padova e Rovigo (Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1982)
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