Il pellerossa nel presepe


 

Il pellerossa nel presepe

Il pellerossa con le piume in testa
e con l’ascia di guerra in pugno stretta,
come è finito tra le statuine
del presepe, pastori e pecorine,
e l’asinello, e i maghi sul cammello,
e le stelle ben disposte,
e la vecchina delle caldarroste?
Non è il tuo posto, via, Toro seduto:
torna presto di dove sei venuto.
Ma l’indiano non sente. O fa l’indiano.
Ce lo lasciamo, dite, fa lo stesso?
O darà noia agli angeli di gesso?
Forse è venuto fin qua,
ha fatto tanto viaggio,
perché ha sentito il messaggio:
pace agli uomini di buona volontà.

di Gianni Rodari

 

Le origini del presepe

La cultura religiosa del presepe di Natale

L’origine del presepe è da ricercarsi nelle pagine del Vangelo, o meglio nella loro interpretazione.
San Luca riferisce, che Maria diede alla luce suo figlio e che, dopo averlo fasciato, lo pose in una mangiatoia. Da qui si dedusse che Gesù fosse nato in una “mangiatoia”, e poiché in Oriente le grotte naturali servivano da rifugio ai viandanti e da stalla agli animali, si iniziò a formare l’idea che Gesù fosse nato in una grotta.
La prima descrizione, vera e propria, del luogo dove nacque Gesù, la diede comunque san Girolamo, il quale, nel 404, descrisse la grotta del Salvatore con la famosa mangiatoia, scavata nella roccia e supportata da piedi di legno. Nella grotta di Betlemme, che è ancora oggi possibile visitare, la mangiatoia di pietra venne rivestita di lastre di metallo prezioso forate, affinché i fedeli potessero vederla e toccarla, ma non portarla via. Le reliquie, presunte, della mangiatoia sono oggi conservate a Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore.

La rappresentazione del presepe, ossia la riproduzione a tre dimensioni della nascita di Cristo, che si fa nella case e nelle chiese tra Natale e l’Epifania, ha invece un’origine più tarda.
Il primo presepe con personaggi viventi ad essere rappresentato fu quello di San Francesco a Greccio, vicino Rieti, nel Natale del 1223. Dopo questo primo evento, i frati francescani e domenicani, promossero la costruzione di presepi, non solo in tutta l’Italia, ma anche nel resto dell’Europa centrale. Questi presepi erano talvolta permanenti, oppure costituiti da figurine mobili, in legno, terracotta o altri materiali.

Il più antico presepe italiano, tutt’oggi conservato, è quello dell’oratorio del Presepio sotto la Cappella Sistina, in Santa Maria Maggiore, a Roma. Risale al 1280, fu scolpito da Arnolfo di Cambio, ed è quasi intatto. A questo, successero molti illustri presepi scolpiti dai più grandi artisti di tutti tempi.
Ma fu soprattutto a Genova ed a Napoli, tra il Seicento ed il Settecento, che il presepe divenne una vera e propria forma d’arte. Ed oltre alle figure della Madonna, di san Giuseppe, di Gesù bambino e del bue e l’asinello, si arricchì di innumerevoli elementi decorativi.

Angeli, pastori e agnelli, i re Magi a cavallo, e poi anche gente comune, mandriani, botteghe, taverne, mercati, serenate e mille altre statuine, dalle pose ed espressioni più varie.
I presepi viventi esistono ancora, e vengono realizzati in molte località con personaggi reali in costume. Tra i più famosi, quello di Rivisondoli, in Abruzzo, e quello di Revine, in Veneto.
Ogni anno a Natale, l’Angelicum di Milano tiene un’esposizione dei presepi provenienti da tutto il mondo, ed esistono numerose associazioni di amici del presepio.

di Justine Bellavita

La storia del presepe

«Papà, quest’anno il no­stro presepe sarà bellissimo! La capanna è grande come una chiesa e la pecorella arrivata per prima aspetta di sentir suo­nare lo zampognaro. Io vorrei che assieme al bue e all’asinello ci fossero an­che i leoni, le tigri e gli aquilot­ti.»
«Noi non li abbiamo, ma ci potrebbero anche stare, si fa­rebbero buona compagnia, nel presepe non c’è violenza e vici­no al pettirosso si può mettere il gatto, accanto all’agnellino il lupo, il mondo del presepe è un mondo di pace».

«Papà, ci manca anche “l’angelo della gloria”, l’anno scorso si è rotto… e senz’ange­lo chi lo dice ai pastori che è nato Gesù?» «L’angelo lo porterà il nonno assieme al cielo stellato, che metteremo dietro alla ca­panna; porterà anche la come­ta, che fa strada ai re Magi che vengono dall’Oriente.» «Io vorrei fare un laghet­to piccolo piccolo, e metterci dentro i pesciolini rossi che ho in camera.»
«I pesci rossi non stanno bene nel presepe, perché hanno bisogno di cure e poi si muo­vono, essendo vivi, mentre il presepe è fisso come una foto­grafia. Vuole richiamare quell’attimo in cui, secondo la tradizione, il tempo si è fermato per lo stupore. E fu un grande silenzio su tutta la terra, perché a Betlemme era nato Gesù: un Dio bambino.»
«Papà, questo è scritto nel Vangelo
«No, questo lo dice un’antica tradizione. Il Vange­lo di Luca dice solo che Maria, la mamma di Gesù, e Giuseppe suo sposo erano a Betlemme quando giunse per lei il tempo di partorire e diede alla luce il suo figlio primoge­nito. Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, per­ché per loro non c’era posto nell’albergo. In quella stessa regione si trovavano dei pasto­ri: vegliavano all’aperto e di notte facevano la guardia al lo­ro gregge”. Un angelo si pre­sentò loro avvolto di luce e an­nunciò che era nato un bambi­no straordinario, che chiamò Messia e Signore».

«Altri angeli, volando in cielo, cantavano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”»
«L’asinello e il bue ci so­no nel Vangelo?»
«Sono nominati, ma non nel racconto degli avvenimenti di Betlemme, un’antica profezia di Isaia aveva parlato di questi due animali domestici, così laboriosi e pacifici. La tradizione dei primi cristiani li vuole vicino alla grotta assieme alle pecorelle e ai pastori.»
«Papà, è arrivato il nonno, ha portato “l’angelo della gloria”. Ma la mamma ci sta chiamando a tavola: il pranzo è pronto! Nonno, dopo pranzo ci racconti la storia del presepe? Ci parli dei re Magi?…»
«Va bene, va bene, ma solo più tardi».

«Tanti e tanti anni fa i cri­stiani, per sentire più intensa­mente la festa del Natale e vi­verla con maggiore religiosità, presero a sceneggiare quelle pa­gine di Vangelo dove si raccon­tano i fatti riguardanti la nasci­ta di Gesù. Dalla semplice lettura del Vangelo si passò così alla sacra rappresentazione, con perso­naggi veri e talvolta anche ani­mali veri; i costumi indossati erano simili a quelli illustrati nei mosaici delle chiese e nei bassorilievi dei sarcofagi; il te­sto sacro veniva recitato e can­tato come a teatro, anche se con uno spirito diverso. Il ri­sultato in qualche caso fu così eccezionale, che molta gente proveniente da altri paesi o rio­ni della stessa città vollero ve­derlo. Ci furono molte repli­che e se ne parlò a lungo.

Qualcuno pensò di perpe­tuare il Natale per tutto l’anno e scolpì in legno o in marmo i personaggi di Betlemme. A Ro­ma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, ancor oggi si può ammirare un prezioso esempio di presepe in marmo del Milleduecento. Le statue, ad altezza naturale, sono di Arnolfo di Cambio, vi troviamo la Ma­donna col Bambino sulle gi­nocchia, san Giuseppe, il bue e l’asinello; davanti alla Madon­na c’è uno dei re Magi prostra­to in adorazione, mentre gli al­tri due, in piedi, offrono i loro doni. Ma il presepe così come lo conosciamo noi, con la grotta al centro e tutti gli uomini che vanno verso il Bambino, fu in­ventato da Francesco di Assisi, il santo ottimista amante della natura, che predicava alle ron­dini e salutava cortesemente le pecore e gli agnelli. Francesco ci ha lasciato nel presepe un mondo piccolo e ideale, che l’uomo può costruire con le sue mani ma deve inventare ogni anno, senza venir meno alle piccole leggi del ricordo e del simbolo: altrimenti il prese­pe non porta più un messaggio e diventa solo un gioco.»

«Leggiamo nelle cronache del tempo che Francesco, qualche tempo prima di intonare il suo Cantico delle creature in cui, prestando voce agli elementi, loda Dio per fratello Sole e fratello Vento, per sorella Acqua e sorella luna, per fratello Fuoco e sorella morte, inventò a Greccio, vicino a Rieti, il primo presepe. Francesco era famoso in tutta la cristianità per la vita che conduceva: da quando si era spogliato dei suoi abiti davanti al vescovo per ridarli al genitore, molti giovani avevano lasciato beni e professione per seguirlo nel suo ideale di povertà. Egli parlava del Vangelo con tale entusiasmo che la gente e persino gli uccelli lo ascoltavano attenti.
Nell’anno 1210 era stato a Roma da papa Onorio III e gli aveva chiesto l’approvazione della sua Regola di vita con i fratelli, in povertà assoluta, predicando il Vangelo nella semplicità. Il papa aveva elogiato il suo nuovo modo di essere cristiano e gli aveva permesso di costituire una famiglia religiosa.

Mentre tutti pensavano alla guerra e a vendicare torti veri o presunti egli, “armato” del perdono e della parola di Gesù, nel 1219 partì crociato in Oriente, fu ricevuto dal sultano al Malik al Kamil e potè visitare in pace i luoghi santi della vita del Signore. Il ricordo più intenso di questo viaggio fu la visita alla grotta di Betlemme ove il Signore volle nascere nella povertà. Un giorno un nobiluomo di nome Giovanni, incontrando Francesco, gli chiese cosa doveva fare per seguire le vie del Signore. Francesco gli disse di prepararsi e preparare il Natale. Allora quel tale fece costruire una stalla, vi fece portare del fieno e condurre un bove e un asino. Poi arrivò dicembre… La notte di Natale del 1223 molti pastori e conta­dini, artigiani e povera gente si avviarono verso la grotta che Giovanni da Greccio aveva preparato per Francesco. Alcuni avevano portato doni per farne omaggio al Bambino e dividerli con i più poveri. Francesco disse di volere celebrare un rito nuovo, più intenso e partecipato, per questo aveva chiesto il permesso al papa. Inviò un sacerdote, che su un altare improvvisato celebrò la Messa. Francesco, attorniato dai suoi frati, cantò il Vangelo, egli stava davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Dopo il canto del Vangelo egli disse: “Fratelli questa è la festa delle feste. Oggi Dio si fa piccolo infante e succhia un seno di donna”. La sua commozione è tale che si sente egli stesso un bambino e comincia a balbettare, come fanno appunto i bambini. Allora fu visto “dentro la mangiatoia un bellissimo bam­bino addormentato che il beato Francesco, stringendo con am­bedue le braccia, sembrava de­stare dal sonno”. Fra i testi­moni del miracolo molti erano personaggi degni di fede e que­sto contribuì a divulgare la no­tizia in tutto il Lazio, l’Umbria e la Toscana fino a Genova e Napoli: ovunque ci fosse un convento e ovunque si festeg­giasse il Natale».

«Da quel miracolo molti trassero benefici spirituali e corporali: alcuni si convertirono e di­ventarono più buoni, altri presero il fieno della mangiatoia di Greccio e lo usarono come medici­na contro i malanni degli uomini e delle bestie; una donna, travagliata da un parto difficile, tro­vò forza e pace… nacque felicemente un bambino e fu festa per tutta la casa. Tutto il paese sapeva di questi prodigi e teneva memoria di quella notte santa, quando un Bam­bino era apparso a Francesco, che aveva voluto rico­struire l’ambiente del primo Natale in un bosco del­l’Appennino.

La vita riprese serenamente nei conventi dove abitavano gli amici di Francesco, nei casolari dei contadini e nelle città dove egli andava predicando la pace fra le fazioni avverse e le famiglie ostili. Un giorno di dicembre un frate molto timorato di Dio chiese a Francesco se anche a Natale rimaneva l’obbligo di non mangiare carne, dato che quell’anno cadeva di venerdì. Francesco, con ferma dolcezza, lo apostrofò: “Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambinello”. Questa è festa grande, diceva, e raccomandava che anche agli amici animali quel giorno fosse dato cibo in abbondanza e che il bue e l’asinello avessero una doppia razione di biada. Il suo insegnamento venne poi raccolto dai valli­giani e dai contadini: spesso le fanciulle delle contrade dove Francesco era passato spargevano al vento e per le strade granaglie e frumento, perché le allodole e i petti­rossi, gli scriccioli e le tortore selvatiche non avessero a soffrire per mancanza di cibo.

Questa è la storia vera del presepe, e adesso andiamo a stendere il cielo con la stella cometa, a mettere la neve sugli alberi e le montagne, a imbiancare la città, a far volare l’angelo della gloria tra le stelle lucenti.»
«Nonno, ma perché quest’anno l’angelo reca una scritta strana? E’ la solita scritta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”, solo che è in inglese, in russo, in arabo e in cinese.»
«Ma tu, nonno, sai leggere il cinese?»
«No, e nemmeno il russo e l’ara­bo. Ma Gesù è amico di tutti i bambi­ni del mondo e parla di pace in ogni lingua e paese».

Tratto da: preghiereagesuemaria

 

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