San Pietro e Paolo: il dubbio e la certezza

Me lo ricordavo
quel rito, in tutti questi anni,
la vigilia della festa degli Apostoli San Pietro e Paolo.
Si rimaneva ogni volta affascinati
dall’ampia brocca
riempita d’acqua, e gli albumi
scivolarvi dentro.
E poi portata fuori, sul terrazzo
fra piante e fiori
ci avrebbe pensato la rugiada del mattino,
diceva nostra madre,
«mette tutto apposto lei».
E  come per magia
le vele apparivano il giorno dopo
issate sulla barca di Pietro.
Non tutti gli anni accadeva però
a volte occorreva un po’ di fantasia per vederle,
ma da bambini l’immaginazione non manca mai,
e tutto appare possibile,
anche l’incredibile.

Leda

Molte leggende sono legate alla tradizione della barca di San Pietro, alcune servivano ad alimentare le anime timorate di Dio, altre come presagio per il bello o il brutto tempo, come pronostico del prossimo raccolto e le ciliegie, che dal giorno dopo fanno il verme.
Un tempo si mescolava paura, superstizione e religione; con la conoscenza di oggi non si dovrebbe fare più, non è necessario.
Ci son così tante certezze… forse troppe.

La festività dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, come il Corpus Domini, fu uno dei giorni festivi soppressi con la Legge n.54 del 5 marzo 1977.

Gesù saputo della morte di Giovanni Battista salì sul monte, solo, a pregare. Venne la sera ed egli se ne stava ancora solo lassù. I discepoli lo attendevano sulla barca che distava di qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.
Verso la fine della notte Gesù andò verso di loro camminando sul mare e ciò turbò i discepoli che dissero: “È un fantasma” e si misero a gridare dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.
Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”

Quando nel calendario incontriamo la festa dei Santi Pietro e Paolo, di immediato ci viene da pensare a un’unità, come se i due fossero una persona sola. Entrambi venerati lo stesso giorno, spesso iconograficamente raffigurati l’uno accanto all’altro, anche visivamente ci danno l’idea di due persone molto affini, soprattutto nell’agiografia (letteratura sui santi).
È sufficiente entrare in Piazza San Pietro a Roma e guardare le due statue che, ai piedi della scalinata d’accesso alla Basilica, chiudono su due lati differenti il colonnato del Bernini: sembrano proprio due colonne, due baluardi invincibili a difesa della fede, uno con le chiavi del portone di casa e l’altro armato di spada per difenderlo. Due santi tanto assimilati dalla devozione popolare, da essere ritenuti simili tra di loro. Come un po’ i santi in genere, che a noi paiono tutti quanti simili tra di loro in quanto miti, pii, testimoni perfetti ed eroi della fede.
Ma chi ha mai detto che nella Chiesa i santi sono tutti simili? Chi mai ha pensato che due santi che ricordiamo nello stesso giorno e con la medesima, doverosa intensità e solennità, abbiano vissuto la fede in maniera simile? Chi se la sente di sostenere che non esistono modi diversi per dire e vivere la stessa fede? Si può anche pensare che la fede cristiana sia una sola, e che in quanto tale debba essere vissuta in un solo modo: per carità, è pure lecito pensare così. Ma chi pensa questo di Pietro e di Paolo, proprio non li conosce. Non conosce il Pietro delle sicurezze e il Paolo delle sfide; non sa chi sia (pur distinguendoli) il Pietro con le chiavi e il Paolo con la spada. Non sa che uno è pietra di fondamento, e che l’altro ha gettato pietre fino alla morte su Stefano, santo come lui. Non sa che Pietro è tradizione, e Paolo frontiera. Che uno è certezza e dogma, e l’altro è ricerca e innovazione. Che uno è casa, l’altro è strada; uno è governo, l’altro è missione. Diversi, profondamente diversi tra di loro: eppure, entrambi necessari, nel panorama della fede cristiana.
Uno fedele alla tradizione e alla continuità, l’altro fedele al nuovo e al diverso.
Ciò che conta, allora, antichi o nuovi che siamo, è spiegare le vele, terminare la corsa, combattere la buona battaglia.

Tratto da “Tra novità e tradizione” di Don Alberto Brignoli, 2014

A tutti e due viene cambiato il nome: Simone sarà chiamato Pietro, Saulo sarà chiamato Paolo e tutti e due daranno la vita nel martirio avvenuto a Roma. Due santi, potremmo dire, che non stanno mai fermi. Uomini come noi, con tante debolezze, paure, capaci di tradimenti, ma che hanno piena fiducia in Gesù e Gesù si fida di loro.

Paolo, fariseo convinto, fanatico, persecutore dei cristiani, collaboratore – per la sua giovane età – al martirio di Stefano, si lascerà cambiare il cuore e la vita dall’incontro con Gesù sulla strada di Damasco.
Pietro, un pescatore e uno dei dodici apostoli, pieno di dubbi  disse a Gesù che non l’avrebbe abbandonato mai e poco dopo di fronte ad una serva ebbe paura e per ben tre volte rinnegò Gesù e giurò di non averlo mai visto.

San Pietro diviene esempio di amore e fedeltà
San Paolo modello di forza e umiltà

Paolo era un uomo che non stava cercando niente nella sua vita, era fedele all’ebraismo e molto convinto delle sue certezze.

Racconto:
La nave da guerra

Una nave da guerra pattugliava un settore particolarmente pericoloso del Mediterraneo. C’era tensione nell’aria. La visibilità era scarsa, con banchi di nebbia, così il capitano era rimasto sul ponte a sorvegliare le varie attività dell’equipaggio.
Poco dopo l’imbrunire, l’uomo di vedetta sul ponte annunciò.
“Luce a tribordo!”.
“E’ ferma o si allontana?”, gridò il capitano.
“E’ ferma, capitano”, rispose la vedetta. Questo significava che la nave da guerra era in pericolosa rotta di collisione con quella nave.
Il capitano ordinò: “Segnala a quella nave che siamo in rotta di collisione e consiglio di correggere la rotta di 20 gradi”.
Di rimando giunse questo messaggio: “È consigliabile che siate voi a correggere la rotta di 20 gradi”.
Il capitano disse: “Trasmetti: io sono un capitano, correggete la rotta di 20 gradi!”
E dall’altra nave: “Io sono un marinaio di seconda classe, fareste meglio a correggere la rotta di 20 gradi”.
Il capitano ormai furente: “Trasmetti – abbaiò – sono una nave da guerra: correggete la rotta di 20 gradi”.
La risposta fu semplice: “Io sono un faro”.
La nave da guerra cambiò rotta.

Capita a molti di diventare rigidi, di guardare alla perfezione, di desiderare e desiderare e desiderare senza godere di niente, non se ne ha il tempo. Si rincorrono miraggi e illusioni, ci si complica la vita, a volte anche irrimediabilmente, e non riusciamo a vedere e a capire che tutto quello che ci serve l’abbiamo già intorno e dentro di noi.

E adesso tocca a me – Vasco Rossi (2008)

E adesso?
E’ questo che si chiede Vasco: una volta raggiunto il proprio obiettivo, una volta annullate le proprie illusioni, una volta compresa la realtà nella sua crudezza, senza sovrastrutture, cosa resta?
Cosa resta se tutto ciò che rende dorato il mondo è stato a poco a poco cancellato? Cosa resta se il velo che ricopre le cose è stato sollevato e sotto non c’è proprio nulla?
Forse non ci sono risposte nella canzone e forse non ci sono neppure nel video.
Ma il senso della canzone è nella domanda stessa, non tanto nei tentativi di risposta che si possono inventare. Arrivare a porsi la fatidica domanda “e adesso che tocca a me?” equivale ad aver compiuto un percorso, non solo di crescita ma anche di confronto e di superamento della realtà per spostarsi ad un piano più oggettivo.
Vasco gira per una abitazione spoglia, guardandosi allo specchio in un video estremamente minimalista e anche sotto certi punti di vista anche molto intimo.
C’è un vago senso di disagio, di fronte alla maturità raggiunta: ci si guarda allo specchio alla ricerca di un segno di un qualcosa, ma l’unica immagine che viene restituita è quella che raffigura il tempo che passa.
Ma adesso che non c’è più Topo Gigio? (simbolo dell’innocenza e dell’infanzia)
Cosa ce ne facciamo della Svizzera? (il simbolo dello stato perfetto e sicuro)

di Idea77

 

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