Il topo dei fumetti – Gianni Rodari

Un topolino dei fumetti, stanco di abitare tra le pagine di un giornale e desideroso di cambiare il sapore della carta con quello del formaggio, spiccò un bel salto e si trovò nel mondo dei topi di carne e d’ossa.
Squash!” esclamò subito, sentendo odor di gatto.
“Come ha detto?” bisbigliarono gli altri topi, messi in soggezione da quella strana parola.
Sploom, bang, gulp!” disse il topolino, che parlava solo la lingua dei fumetti.
“Dev’essere turco”, osservò un vecchio topo di bastimento, che prima di andare in pensione era stato in servizio nel Mediterraneo. E si provò a rivolgergli la parola in turco. Il topolino lo guardò con meraviglia e disse:
Ziip, fiish, bronk”.
“Non è turco”, concluse il topo navigatore.
“Allora cos’è?”
“Vattelapesca”.
Così lo chiamarono Vattelapesca e lo tennero un po’ come lo scemo del villaggio.
“Vattelapesca”, gli domandavano, “ti piace di più il parmigiano o il groviera?”
Spliiit, grong, ziziziir”, rispondeva il topo dei fumetti.
“Buona notte”, ridevano gli altri. I più piccoli, poi, gli tiravano la coda apposta per sentirlo protestare in quella buffa maniera: “Zoong, splash, squarr!
Una volta andarono a caccia in un mulino, pieno di sacchi di farina bianca e gialla. I topi affondarono i denti in quella manna e masticavano a cottimo, facendo: crik, crik, crik, come tutti i topi quando masticano. Ma il topo dei fumetti faceva: “Crek, screk, schererek”.
“Impara almeno a mangiare come le persone educate”, borbottò il topo navigatore.
“Se fossimo su un bastimento saresti già stato buttato a mare. Ti rendi conto o no che fai un rumore disgustoso?”
Crengh”, disse il topo dei fumetti, e tornò a infilarsi in un sacco di granturco.
Il navigatore, allora, fece un segno agli altri, e quatti quatti se la filarono, abbandonando lo straniero al suo destino, sicuri che non avrebbe mai ritrovato la strada di casa.
Per un po’ il topolino continuò a masticare. Quando finalmente si accorse di essere rimasto solo, era già troppo buio per cercare la strada e decise di passare la notte al mulino. Stava per addormentarsi, quand’ecco nel buio accendersi due semafori gialli, ecco il fruscio sinistro di quattro zampe il cacciatore. Un gatto!“
Squash!” disse il topolino, con un brivido.“
Gragrragnau!” rispose il gatto. Cielo, era un gatto dei fumetti! La tribù dei gatti veri lo aveva cacciato perchè non riusciva a fare miao come si deve.
I due derelitti si abbracciarono, giurandosi eterna amicizia e passarono tutta la notte a conversare nella strana lingua dei fumetti. Si capivano a meraviglia.

di Gianni RodariFavole al telefono, Einaudi 1962

IL FORMAGGIO

Una leggenda racconta che a creare il primo formaggio fu un mercante arabo, che usava trasportare il latte in sacche ricavate dallo stomaco di pecora. Un giorno il mercante si accorse che il latte nella sacca aveva assunto un aspetto diverso, si era cioè separata una parte bianca solida dal restante liquido, e si accorse che questa aveva un sapore gradevole. Nasceva così per l’uomo la possibilità di utilizzare un nuovo alimento.


Pastore con un cesto di formaggi in un mosaico bizantino del V secolo

L’arte casearia è stata certamente tra le prime esercitate dall’uomo. I Greci ne facevano inventore il tessalo Aristeo, guardiano degli armenti olimpici, che per adempiere alla sua delicata missione aveva avuto in dono dalle ninfe il segreto della fabbricazione di quello che era un cibo riservato agli dei.
È invece documento certo, il cosiddetto “fregio della latteria“, bassorilievo sumerico del III millennio a.C., nel quale sono rappresentate le operazioni principali della caseificazione.
Preparazione e consumo divennero abituali soprattutto fra le popolazioni  nomadi dedite alla pastorizia; di qui si diffusero nell’ambiente greco, d’Asia Minore, etrusco e poi romano. Presso i Greci il formaggio trovò la sua consacrazione definitiva, anche se prodotto quasi esclusivamente con latte ovino e caprino (il latte di vacca era giudicato poco sano).

Il formaggio compariva a tavola in diverse varietà e in grandi quantità, come antipasto, come dessert e come condimento di cucina. C’erano i freschi, quelli da grattugia, quelli conservati nel vino o in salsa di miele, verdi (al timo, alle pigne verdi o con nocciole verdi pestate, ecc., come racconta nel De re rustica Columella), affumicati ecc. I Romani possedevano già  una economia casearia ben sviluppata.
Ma non solo Columella, anche Catone nel De Agricoltura e Plinio Il Vecchio nel Naturalis rerum Historia hanno scritto pagine molto interessanti sull’attività casearia nell’antica Roma e da cui apprendiamo che il formaggio, fatto con latte di capra o di pecora, era un genere primario nell’alimentazione popolare.

“UNA MONTAGNA DI PARMIGIANO GRATTUGIATO…”

L’incontro-scontro fra il mondo greco-romano e quello cosiddetto barbarico, nelle sue successive calate in Italia, porterà all’incrocio delle rispettive tecniche casearie e, con l’estensione progressiva del pascolo e la conseguente deforestazione europea, all’affermarsi lento e costante, fino a essere dominante, del formaggio vaccino rispetto a quello ovino-caprino.
Nell’anno 812 Carlo Magno con un editto ritenne necessario regolamentare il mercato lattiero europeo, indicando le prescrizioni necessarie per gli approvvigionamenti e le disposizioni igieniche molto evolute per quel tempo.

Intorno all’anno 1100 in Europa assunse determinante importanza in questo campo l’attività dei monasteri, i monaci contribuirono a passare dalla fase artigianale a quella organizzata dei primi caseifici. Sull’onda dell’emulazione degli ottimi formaggi siciliani allora in circolazione, nel periodo medievale si diffonde e si afferma la produzione di varianti regionali in tutta Italia. Ed è nella pianura padana che, poco dopo il 1200, nasce una vera industria casearia “moderna”, in cui il bestiame è allevato allo scopo preciso di dar latte per formaggi.
Il Grana – parmigiano e anche lodigiano – entrerà presto in concorrenza con i già celebri formaggi prodotti nei conventi francesi (di Nimes, Brie, Champagne, e soprattutto dei Vosgi dove, dal V secolo, si faceva il morbido e saporito Munster – appunto monastero).
Ed entrava ben presto nella fantasia popolare (in un’epoca in cui tirar la cinghia era la regola) come sinonimo di opulenza e sibaritico godimento: per corbellare Calandrino – in una famosa novella del Decameron di Boccaccio – il suo interlocutore gli dipinge Bengodi come paese dove la gente sta su “una montagna di parmigiano grattugiato (..) niuna cosa facevano che fare maccheroni e ravioli e cuocergli in brodo di cappone…”. Di lì a poco – ce ne parlano documenti amministrativi e una novella del Sacchetti a metà Trecento – appare anche il Caciocavallo.

In seguito, decine e centinaia di formaggi sono nati sino ai giorni nostri in accordo con il raffinamento delle tecniche di caseificazione e le diverse caratteristiche (acqua, aria, erba, costumi regionali), seguendo le modifiche del gusto e le abitudini alimentari.

Da un punto di vista alimentare il formaggio deve essere considerato un vero e proprio alimento. Negli ultimi anni è diventato un alimento tra i più diffusi e consumati, basta pensare alle differenti qualità che si trovano in commercio e ai negozi specializzati sorti sul nostro territorio. Le ragioni di un così rilevante successo e di consensi sempre più ampi sono facilmente intuibili: il formaggio è pratico da servire, saporito e vario nei gusti, meno caro dei secondi tradizionali e cioè carne e pesce.
Malgrado il formaggio faccia quasi quotidianamente la sua comparsa sulle nostre tavole, non sempre siamo in grado di riconoscere una specie dall’altra e forse ben poco sappiamo sulle varie fasi della sua produzione: cominciamo pertanto con il vedere come nasce.

Il formaggio ha ormai una storia di 5000-6000 anni,
e come ogni vecchio nobile che si rispetti,
la sua nascita si perde nelle nebbie della mitologia.

Il formaggio costituisce il più vecchio artificio
che l’uomo abbia escogitato per utilizzare
il latte eccedente il consumo diretto.

La materia prima di questo alimento è costituita dal latte che può essere di mucca (sicuramente il più usato), di capra e pecora e di bufala; è prevalentemente utilizzato intero ma trovano impiego anche il latte scremato e quello centrifugato: nel primo caso si ottengono i cosiddetti formaggi grassi, con il secondo tipo di latte i formaggi semigrassi e con l’ultimo i formaggi magri; a questi si affiancano i formaggi arricchiti con panna di cui il più famoso è certamente il mascarpone.

LA LAVORAZIONE

Come per il latte anche per il formaggio esiste il pericolo di contaminazione da parte dei batteri, tuttavia vengono impiegati procedimenti a caldo o a freddo che tendono a distruggere i batteri pericolosi. Sono comunque da tenere presenti alcune precauzioni igieniche nella preparazione di tutti i formaggi e in particolare di quelli freschi. Il problema si pone soprattutto riguardo ai formaggi prodotti artigianalmente, in quanto quelli industriali sono sempre controllati e non presentano inconvenienti dal punto di vista igienico.

Le fasi di lavorazione alle quali il latte viene sottoposto differiscono secondo il tipo di formaggio che si desidera ottenere.
In linea di massima il primo processo è la coagulazione della caseina (proteina del latte) con formazione della cagliata; per ottenerla si può sfruttare l’acidità del latte lasciato maturare in presenza di un particolare microrganismo.
La cagliata viene poi separata dal siero (con il siero di latte si può preparare in seguito la ricotta) e viene agglomerata.
Si passa quindi a successivi stadi della lavorazione che prevedono, a seconda della varietà, la rottura del coagulo, lo sgocciolamento, la pressatura e formatura e infine la maturazione e l’eventuale stagionatura.

STANDARDIZZAZIONE  MA ANCHE RECUPERO ARTIGIANALE

La pastorizzazione del latte (gli studi di Pasteur sulla fermentazione lattea si situano tra il 1857 e il 1863) per i formaggi a pasta molle, le colture selezionate di fermenti lattici e sieroinnesti, il controllo delle “curve di acidificazione” nel ciclo produttivo, la climatizzazione degli ambienti hanno stabilizzato – e standardizzato – la qualità “media” della produzione, riducendo lo scarto e abbreviando le stagionature. La trasformazione-moltiplicazione produttiva è stata accompagnata – con interazione reciproca – da progressive modifiche del gusto e delle tendenze di consumo.
Negli ultimi anni il consumatore si è via via orientato verso un prodotto dalle caratteristiche meno “pronunciate”: i formaggi freschi prevalgono così su quelli da grattugia, cala il saporoso pecorino, i formaggi dolci sconfiggono i piccanti, alle paste dure sono preferite le molli e, anche queste ultime, di pasta sempre più morbida e possibilmente bianca.
Per tacere della proliferazione dei formaggi fusi – anodini prodotti adatti alla ristorazione corsara di panini, tramezzini, ecc. –, sembra essersi imposto a livello di massa il gusto di un sapore tenue, delicato, poco caratterizzato. Formaggi che non soffrono particolarmente ad essere mangiati senza pane (e la dieta è salva), rapidamente digeribili (il tempo per “nutrirsi” è sempre meno), olfattivamente meno invadenti rispetto agli altri cibi da conservare in frigorifero (chi ha più cantine e dispense?). Questa omogeneizzazione ha per converso prodotto, in strati crescenti di consumatori, una riscoperta e un ritorno ai prodotti delle tradizioni locali che un artigianato, spesso di altissimo livello, confortato dalla progressiva espansione del consumo “affluente”, si sforza con innegabile successo di mantenere vivi.

IL FORMAGGIO LEGALE

Per la legge italiana può chiamarsi formaggio o cacio” il prodotto che si ricava dal latte intero, parzialmente o totalmente scremato, o dalla panna, in seguito a “coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e sale da cucina” (A. Rossi, 1985). Molte e diverse sono le possibilità di lavorazione del latte: dunque molte sono anche le varietà di formaggi, classificabili secondo criteri diversi secondo le caratteristiche che si prendono in esame.

CLASSIFICAZIONE E COMPOSIZIONE CHIMICA

Perciò gli esperti preferiscono attenersi alla classificazione che tiene conto di tre diversi parametri della caseificazione:

Temperatura di cottura della cagliata: vengono definiti formaggi crudi (temperatura meno di 30°), semicotti (fino a 48°), cotti (sopra i 48°).
Tipo (e tempo) di fermentazione del latte: se il latte sosta prima della lavorazione si ottiene un latte ad acidità di fermentazione, altrimenti si ha un latte ad acidità naturale.
• Tempo di maturazione del formaggio: formaggi a maturazione rapida se inferiore a 30 giorni; maturazione media sino a un mese; maturazione lenta oltre i 6 mesi.

La composizione chimica dei formaggi varia notevolmente secondo il tipo di latte impiegato (intero o scremato), la lavorazione, la stagionatura, ecc.
Il Valore nutritivo nell’alimentazione è legato alla presenza di proteine (essenzialmente la caseina), calcio e fosfato (di cui il formaggio è il principale dispensatore), grasso e vitamine liposolubili (vit: A, E, D, F, e provitamina carotene). Vitamine idrosolubili, del gruppo B, e vitamina C sono presenti in piccola quantità.
Latte e formaggio, inoltre, contengono concentrazioni relativamente elevate di tutti gli aminoacidi essenziali (indispensabili per la sintesi delle proteine specifiche degli organi, di tutti gli enzimi e di alcuni ormoni).
Elevato anche il potere calorico, legato sia alla quantità di sostanza proteica che, ovviamente, alla percentuale di grasso.

LA CONSERVAZIONE

Terminate le operazioni di caseificazione il formaggio subisce ulteriori modifiche, continua cioè in un certo senso a “vivere”, al punto che per mantenere (o raggiungere con la stagionatura) le proprie caratteristiche organolettiche ottimali, assume grande importanza la conservazione nei luoghi e nelle condizioni ambientali più adatte.
La soluzione migliore sarebbe di disporre di una cantina o di una dispensa, un luogo fresco e ventilato senza odori estranei, dove i formaggi siano conservati alla temperatura e umidità adatte. In mancanza di ciò, si raccomanda di conservare i formaggi nel loro involucro originale collocandoli nella parte più bassa del frigorifero che non scende mai al di sotto dei 6°C.

PREZIOSO INGREDIENTE IN CUCINA

Il formaggio trova svariate possibilità d’impiego in cucina, alcune squisite ricette non avrebbero ragione d’essere senza l’aiuto di questo prezioso ingrediente. È sufficiente pensare a pastasciutte, pasta in brodo, pasta al forno, sformati e riso.
Nella prima infanzia questo alimento gioca un ruolo molto importante per l’apporto di calcio, ma anche per abituare gradualmente il bambino ai diversi sapori e alla diversa consistenza dei cibi, durante lo svezzamento il formaggino aggiunto al brodo vegetale o alla crema di riso è un’ottima alternativa alla carne o al pesce.

Il formaggio non esaurisce certo il suo ruolo nei primi piatti: le verdure gratinate perderebbero molto del loro aspetto appetitoso senza l’aggiunta del formaggio; determinati formaggi, tagliati a pezzetti, sono particolarmente adatti per essere uniti alle insalate; inoltre la carne farcita di formaggio è squisita basti pensare alla classica valdostana, alla ricotta nei ripieni e al parmigiano reggiano nei polpettoni; con le uova poi il formaggio recita un duetto classico: frittate, stracciatelle, fondute; ci sono infine le torte salate e i dolci a base di formaggio, tipici dei paesi anglosassoni.
La ricotta del resto è ampiamente usata anche in Italia: chi non ha mai gustato la cassata, i cannoli alla siciliana o la torta di ricotta del trentino?

Testi di riferimento:
Tratto da: I tuoi menù – Idea Donna, I.G.D.A. Novara 1987
Tratto da: Io in cucina – Marshall Cavendish, Mepe 1988

CATEGORIE DI FORMAGGI

 

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