Va, pensiero, sull’ali dorate è uno dei cori più noti della storia dell’Opera, collocato nella parte terza del Nabucco di Giuseppe Verdi (1842), cantato dagli Ebrei prigionieri in Babilonia.
Il poeta Temistocle Solera, librettista italiano che collaborò con Verdi, scrisse i versi ispirandosi al salmo 137, (Sui fiumi di Babilonia) che evoca la tragedia vissuta dal popolo ebraico durante la distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 586 a.C., e il successivo e conseguente esilio babilonese. Inizia con la frase:
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!».
Gerusalemme sorgeva sul Monte Sion e nel 587 a.e.v. venne distrutta dal re babilonese Nabucodonosor. Il Tempio che Salomone aveva fatto costruire venne bruciato e gli ebrei esiliati in Babilonia, dando il via alla diaspora, ovvero alla dispersione del popolo ebraico nel mondo.
Il periodo dell’Esilio fu di importanza fondamentale per la religione ebraica. Privati del culto del Tempio ormai distrutto, i sacerdoti giudei e gli intellettuali deportati assieme ad essi, elaborarono una versione della loro religione molto innovativa (meno legata al rituale del culto e maggiormente legata ai valori interiori e spirituali), tale da permetterle di sopravvivere alla catastrofe ed anzi da uscirne rafforzata.
Va’ pensiero, sull’ali dorate;
Va, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano tepide e molli
L’aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
Di Sïonne le torri atterrate…
Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati,
Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
Traggi un suono di crudo lamento,
O t’ispiri il Signore un concento
Che ne infonda al patire virtù!
Le principali particolarità lessicali di Va pensiero riguardano la presenza di termini aulici, come voleva la prassi di prosa e poesia ottocentesca. In particolare: clivi, olezzano, membranza, favella, fatidici, traggi, concento. Nonché i nomi propri Sionne e Solima, dove Sionne indica la fortezza di Gerusalemme, situata sul monte Sion, mentre Solima deriva dall’antica denominazione greca della città (Ἱεροσόλυμα, Hierosólyma), anche se c’è un’opinione minoritaria che sostiene che “Solima” sia una forma poetica di “Shlomo“, cioè Salomone, ai cui fati (cioè profezie, Salomone era il “re saggio” per eccellenza) si farebbe riferimento.
Alcune note:
– Il coro è stato interpretato come una metafora della condizione dell’Italia, assoggettata all’epoca al dominio austriaco.
– Viene intonato al concerto di Capodanno dal teatro La Fenice di Venezia, come penultimo pezzo, prima del Libiamo ne’ lieti calici, altro celebre brano dei melodrammi verdiani.
– È stato adottato anche dagli esuli istriani, fiumani e dalmati come inno del loro esodo dalle terre perdute dopo il secondo conflitto mondiale.
– Il cantante Zucchero l’ha reinterpretata in una versione bilingue italiano-inglese, con le parole modificate in più parti.
– Al funerale di Giuseppe Verdi, per le vie di Milano, la gente intonò il «Va, pensiero» in cori spontanei.