I trucchi sono molto usati a Venezia durante il Carnevale, può essere un modo per partecipare alla festa senza impegnarsi nell’acquisto di maschere e costumi.
Ai bambini, ma anche agli adulti, piace giocare a trasformarsi, diventare l’eroe preferito e identificarsi con gli ideali che rappresenta, o diventare una fata o magari una strega, immedesimarsi in un animale, interpretare un personaggio dei cartoni animati…
Travestimento e trucco sono attività di gioco che hanno forti implicazioni emotive e psicologiche, importanti per l’affermazione del sè, della propria identità, il bambino impara ad accettare meglio i cambiamenti e a comprendere che seppure il volto con il trucco cambia, la persona rimane sempre la stessa.
Se il bambino è piccolo è preferibile la prima volta truccarlo e truccarsi davanti allo specchio in modo che si renda conto del graduale cambiamento, e far sentire la propria voce così avrà la conferma che è la stessa persona che con un trucco… di magia, ha solo cambiato il proprio aspetto.
Non tutti i bambini gradiscono essere truccati o travestirsi e non bisogna forzarli.
Il bambino in questo gioco vive una serie di emozioni che traspaiono sul suo viso: da curioso a ironico, a sorpreso, a volte dà anche dei consigli, in altre si spancia dalle risate, c’è anche chi invece rimane perplesso a lungo o scoppia a piangere per poi tranquillizzarsi una volta tolto il trucco. È un gioco davvero molto coinvolgente e a volte aiuta ad affrontare alcune paure.
Vedi anche: Molto più di un clown
Dite: «E’ faticoso frequentare bambini»
Avete ragione!
Poi aggiungete: «Perché bisogna mettersi al loro livello,
abbassarsi, inchinarsi, farsi piccoli».
Ora avete torto. Non è questo che più stanca.
E’ piuttosto il fatto di essere obbligati a innalzarsi fino
all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.
Janusz Korczak
La storia del trucco
La prima evidenza archeologica dell’uso dei cosmetici è stata individuata nell’Antico Egitto attorno al 4000 a.C. Il trucco sugli occhi era in uso in tutta l’area della Mesopotamia e del mare Mediterraneo, come dimostrano le statuette dei Sumeri scoperte nell’antica città di Ur, con gli occhi pesantemente orlati di nero. Anche gli Antichi Greci e gli Antichi Romani facevano uso di cosmetici. In particolare gli antichi romani ed egiziani usavano cosmetici contenente un elemento tossico come il mercurio.
Nel XIX secolo la regina Vittoria definì il trucco una maleducazione. Veniva considerato come qualcosa di volgare e usato solo da attori e prostitute.
Dalla Seconda guerra mondiale in poi la diffusione dei cosmetici si fece capillare in tutto il mondo occidentale, anche se vennero proibiti nella Germania Nazista.
In Giappone le geishe usavano un rossetto fatto con petali di cartamo o zafferanone schiacciato, ed anche per dipingersi le sopracciglia, il taglio degli occhi e il bordo delle labbra.
Nel paese del Sol Levante le geishe usano per fondotinta anche confezioni di Bintsuke, una versione più leggera di una pomata utilizzata dai lottatori di sumo per ungersi i capelli. Pasta bianca e polvere per colorare il volto, e la schiena; rosso per definire il contorno degli occhi e il naso. Tintura nera per colorare i denti durante la cerimonia di iniziazione delle apprendiste geishe, chiamate maiko.
Attualmente, l’industria cosmetica è dominata da un ristretto numero di multinazionali nate all’inizio del XX secolo e per lo più situate in Francia e negli Stati Uniti e, in misura minore, Germania e Giappone.
Il trucco del corpo o body painting
Quest’arte affonda le sue radici nelle usanze di popoli tribali Africani, Indiani e centro Americani: la mancanza di fonti scritte rende impossibile sapere con certezza da quanto tempo questi popoli utilizzano il body painting.
Una tra le più antiche popolazioni sono gli aborigeni Australiani: dal 60.000 a.C. queste tribù dipingono il loro corpo e si fanno cicatrici. L’uomo primitivo, nel 30.000 a.C., dipingeva allo stesso modo sia lui che le caverne, prima di rituali religiosi o propiziatori (per la caccia).
Gli Egizi ricorrevano alla pittura corporea sia per i defunti sia per i vivi, le stesse tecniche venivano utilizzate dai Sumeri nel 500 a.C. che dipingevano il volto con piombo bianco e rosso vermiglio.
In Giappone il body painting a partire dal 550 d.C., a seconda della zona del corpo interessata, distingueva classi sociali diverse.
In Africa gli ornamenti “corporali” sono sempre stati un segno di distinzione, un simbolo di appartenenza ad una determinata tribù, oppure del ricoprire una particolare carica occupata nell’ambito del clan. Lo scopo principale del piercing, come dei tatuaggi, delle pitture corporali e delle decorazioni temporanee, era quello di differenziare i ruoli all’interno della tribù, regolare i rapporti tra i vari individui sia nel quotidiano sia durante le cerimonie, rendendo subito visibile le principali informazioni inerenti ciascun individuo.
L’iniziazione all’età adulta era un passaggio fondamentale che accomunava tutte le società tribali e segnava il passaggio dall’infanzia legata agli istinti originari, all’età adulta in cui dovrebbe essere presente un controllo sulle emozioni.
Generalmente le pratiche corporali iniziatiche venivano portate all’estremo (limatura dei denti, infibulazione, circoncisione, tatuaggi marchiati a fuoco) per rendere l’individuo psicologicamente più forte, e per ottenere quindi riconoscimento e stima da parte di tutto il Clan, a simboleggiare la vittoria dello spirito sul dolore fisico.
LA RICETTA di CARNEVALE
I galani (crostoli veneti)
Ingredienti: per 6-7 persone
1 kg farina bianca
300 gr di zucchero
100 gr. di burro
1 bustina di lievito vanigliato
4 uova
1 bicchierino di grappa
il succo di un limone o un’arancia
1 pizzico di sale
Preparazione:
In una terrina mescola la farina allo zucchero.
Unisci le 4 uova intere e il burro fuso.
Aggiungi il sale, la grappa, il lievito e il succo di limone (puoi grattugiare la scorza e usare anche quella).
Lavora energicamente l’impasto in modo da ottenerlo abbastanza sodo, ma altrettanto soffice. Nel caso risultasse troppo morbido, aggiungi un po’ di farina e, in caso contrario, qualche cucchiaiata di latte.
Tira la pasta così ottenuta con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia molto sottile. Taglia la sfoglia a rombi o a rettangoli, grandi a piacere.
Incidi il centro si ogni crostolo con due taglietti paralleli e friggili, due o tre alla volta, in olio bollente.
Falli asciugare appoggiandoli su una carta assorbente e poi sistemali con delicatezza su una bel piatto grande e, a mano a mano che la pila dei crostoli cresce, spolverizzali con zucchero a velo.
Un modo semplice per appurare la giusta temperatura dell’olio: immergere nell’olio l’estremità del manico di un cucchiaio di legno, se attorno si formano subito delle bollicine è in temperatura per friggere.
‘Na volta i se friseva sempre col struto e alora se vedeva le parone de casa che le spalancava le finestre dela cusina fin che le friseva. El profumo se spandeva par tuta la contrada e… de sicuro qualche amigo, o conosente, ghe vegneva in mente de andare a saludare… proprio quela sera là.
(Una volta si friggevano sempre con lo strutto e allora si vedevano le padrone di casa spalancare le finestre della cucina finchè friggevano. Il profumo si spandeva per tutta la via e… di sicuro qualche amico, o conoscente, gli veniva in mente di andare a salutare… proprio quella sera là.)
Tratto da: La ricetta della nonna – antologia di ricette ricostruite dagli scolari e dagli studenti delle Province di Padova e Rovigo (Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1982)
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