La follia è una condizione umana. Legge Basaglia.

 

«La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla».

Franco Basaglia

Franco Basaglia, celebre psichiatra e neurologo veneziano, nacque l’11 marzo del 1924. E’ considerato il fondatore della moderna concezione della salute mentale. Di sicuro, la disciplina psichiatrica in Italia subì con lui dei rivoluzionamenti tali da essere ancora influenzata dai suoi studi. A lui si deve la Legge 180, anche detta “Legge Basaglia”, che trasformò il vecchio ordinamento degli ospedali psichiatrici in Italia, promuovendo notevoli passi avanti nel trattamento del malato di mente, nella cura dei suoi disagi, e nel rispetto per la sua persona.

Si dice che i migliori psichiatri (come i migliori psicologi) siano in genere persone affette loro stesse da turbe intellettive e morali, tormentati da traumi infantili o stress nervosi dell’età adulta, come pare sia stato Freud, e molti altri famosissimi luminari del settore. Questo almeno è quel che il pregiudizio popolare o la leggenda metropolitana ci hanno impartito. In ogni caso, per Franco Basaglia non fu così.

Mezzano di tre figli in una famiglia piuttosto agiata, Franco Basaglia si laureò all’età di 25 anni, nel 1949, presso l’Università di Padova dopo aver frequentato il liceo classico della sua città. Nel 1953 si specializzò in “Malattie nervose e mentali” presso la facoltà della clinica neuropsichiatrica di Padova. Quello fu anche l’anno fortunato del suo matrimonio: sposa Franca Ongaro, madre dei suoi due figli, con cui avrà un legame non solo sentimentale ma anche intellettuale. Infatti sua moglie è coautrice con lui di vari libri sulla psichiatria moderna. Politicamente di tendenza liberale, militò con il partito Sinistra Indipendente tra i cui membri sedette in Parlamento sempre a partire dal 1953: davvero un anno di svolta nella sua già piuttosto serena vita.

Divenne docente in psichiatria dal 1958, e questa fu l’unica nota, se non dolente, un po’ più marcatamente difficile della sua vita: tra i colleghi non fu universalmente apprezzato, ed anzi le sue tesi innovative che oggi definiremmo dettate da una mentalità “sempre dalla parte del paziente” furono giudicate spudoratamente rivoluzionarie e perfino assurde da molti accademici. Sia politicamente che scientificamente troppo progressista per l’ambito nel quale si muoveva, e soprattutto per il periodo, decise dunque nel 1961 di lasciare l’insegnamento, e si trasferì con la famiglia a Gorizia dove aveva ottenuto la direzione dell’ospedale psichiatrico.

Vero e proprio manicomio vecchio stile, la clinica psichiatrica di Gorizia non gli diede vita facile. Ma la tenacia con cui si dedicò all’ambita trasformazione dei metodi di cura riuscì a portarlo all’eliminazione della pratica dell’elettroshock sui pazienti (terapia elettroconvulsivante). Inoltre promosse un nuovo tipo di approccio tra malato e personale ospedaliero: più vicino, ed anzi più attento allo scambio umano dato dal dialogo e dal sostegno morale, piuttosto che alla mera cura farmacologica e professionale. Dall’esperienza in quel manicomio scaturì l’idea per uno dei suoi più celebri libri: “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, edito nel 1967.

Dopo esser stato per alcuni anni direttore anche dell’ospedale di Colorno ed in seguito di quello di Trieste, Basaglia fondò un Movimento chiamato Psichiatria Democratica, che prende spunto dalla corrente di pensiero dell’“antipsichiatria”, già diffusa in Gran Bretagna. Infatti il movimento, che diffuse questa tendenza in Italia per la prima volta nacque nel 1973, mentre nel Regno Unito era dai moti del 1968 che si era fatta strada questa linea interpretativa dal sapore rivoluzionario rispetto a tutta la medicina psichiatrica degli anni precedenti.

Franco Basaglia morì nella sua amata città sull’acqua, Venezia, il 29 agosto del 1980 all’età di 56 anni a causa di un tumore al cervello.

Il suo approccio alla cura della malattia mentale è correttamente definito fenomenologico-esistenziale, in netta contrapposizione a quello positivistico della medicina tradizionale. All’epoca non andavano certo per la maggiore le idee portate avanti da Franco Basaglia e pochi altri precursori del suo tempo, ma proprio per questo oggi lo ricordiamo come uno dei più importanti pionieri della psichiatria moderna.

Tratto da: biografieonline.it


La ragione per la quale molte di queste persone erano dovute andare in ospedale, tanto tempo prima, era stata una conseguenza dell’insopportabilità della vita sociale. Il manicomio non faceva altro che catturare persone indesiderabili e contenerle nell’istituzione, in una specie di morte civile. Questa è ancora la terapia dei manicomi.

Franco Basaglia

I ragazzi “difficili”

Come faccio a sapere che malattia ha una persona legata in un letto di contenzione da 15 anni? Come faccio a sapere di che cosa soffre un individuo a cui sono stati tolti, oltre ai suoi abiti, tutti gli oggetti personali, in cui poter rintracciare una pallida memoria di sé?

E che dire di quanti, in occasione di una crisi, venivano immersi in un bagno d’acqua gelata, o sottoposti a elettroshock? Erano queste alcune domande che Franco Basaglia si era posto quando, escluso dalla carriera universitaria per le sue idee non proprio in linea con la psichiatria vigente, giunse a Gorizia a dirigere il manicomio di quella città.

La chiusura dei manicomi era, negli intenti dello psichiatra veneziano, solo un primo passo verso una rivisitazione dei rapporti sociali a partire dalla “clinica”, la quale, per tranquillizzare la società, non aveva trovato di meglio che incaricare la psichiatria a fornire le giustificazioni scientifiche che rendessero ovvia e da tutti condivisa la reclusione dei folli entro mura ben cintate.

Entro queste mura Basaglia, prima della follia, incontrò la miseria, l’indigenza, il degrado, l’emarginazione, l’abbandono, la spersonalizzazione, a cui la follia non di rado si imparenta. Infatti la follia dei ricchi non si esprime con la “segregazione”, ma tutt’al più con l’“interdizione”, qualora intacchi gli interessi patrimoniali. E allora non è che per controllare e contenere questa miseria non s’è trovato modo migliore che renderla muta come “miseria” e farla parlare solo come “malattia”?

Se la clinica ha messo il suo sapere al servizio di una società che non vuole occuparsi dei suoi disagi, non è il caso di tentare l’operazione opposta, ossia l’accettazione da parte della società di quella figura, da sempre inquietante, che è la follia, dal momento che, scrive Basaglia:

“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, per tradurre la ‘follia’ in ‘malattia’ allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere che è poi quella di far diventare razionale l’irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in manicomio smette di essere ‘folle’ per trasformarsi in ‘malato’. Diventa razionale in quanto malato”.

Accettando la condizione di parità tra medico e paziente Basaglia scopre che, restituendo al folle la sua soggettività, questi diventa un uomo con cui si può entrare in relazione. Scopre che il folle ha bisogno non solo delle cure per la malattia, ma anche di un rapporto umano con chi lo cura, di risposte reali per il suo essere, di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche il medico che lo cura ha bisogno. Insomma, dice Basaglia: “Il malato non è solamente un malato, ma un uomo con tutte le sue necessità”.

L’utopia di Basaglia di fare della clinica un laboratorio per rendere “umane” e non “oggettivanti” le relazioni tra gli uomini, attraverso la creazione di servizi di salute mentale diffusi sul territorio, residenze comunitarie, gruppi di convivenza, con la partecipazione di maestri, educatori, accompagnatori, attori motivati, oggi sembra in procinto di naufragare e fallire. Anche se l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che nel 2003 ha definito la legge Basaglia che ha chiuso i manicomi come “uno dei pochi eventi innovativi nel campo della psichiatria su scala mondiale”, ci informa che un giovane su cinque in Occidente soffre di disturbi mentali, che nel 2020 i disturbi neuropsichiatrici cresceranno in una misura superiore al 50 per cento, divenendo una delle cinque principali cause di malattia, di disabilità e di morte. Che facciamo? Mettiamo tutti in manicomio o facciamo recuperare loro quel rapporto col mondo che il manicomio preclude definitivamente e i servizi di salute mentale, così come sono oggi, non garantiscono, per incuria, trascuratezza, indifferenza, per la paura che la società ha della diversità che ospita nelle figure degli immigrati, dei tossici, dei senzatetto, degli emarginati?

Questo Basaglia lo temeva e perciò, un anno prima di morire scrisse:

“Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e più chiusi di prima, io non lo so, ma a ogni modo noi abbiamo dimostrato che si può assistere la persona folle in un altro modo, e la testimonianza è fondamentale. Noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo ‘vincere’, perché è il potere che vince sempre. Noi possiamo al massimo ‘convincere’. Nel momento in cui convinciamo, vinciamo, cioè determiniamo una situazione da cui sarà più difficile tornare indietro”.

di Umberto Galimberti

“L’abolizione del ricovero coatto aprirebbe un’epoca diversa ed è corrispondente al pensiero di Basaglia. Il problema essenziale è la costrizione. Non è possibile accettare l’idea, idea completamente sbagliata, che una persona possa essere aiutata costringendola a sottoporsi ai trattamenti. Una persona a livello psicologico può essere aiutata: in primo luogo se lo chiede e in secondo luogo se è d’accordo con la persona a cui chiede aiuto“.

Giorgio Antonucci


LA SALUTE MENTALE

Disturbi del pensiero, dell’emotività e del comportamento sono provocati da complesse interazioni tra fattori fisici, psicologici, sociali, culturali ed ereditari, e possono tradursi in malattia mentale, che spesso viene considerata meno reale o codificata rispetto a una malattia fisica.

I disturbi della personalità

I disturbi della personalità sono caratterizzati da modi di percepire, reagire e relazionarsi rigidi e non adattivi, tali da provocare sofferenza soggettiva e/o nell’ambiente circostante.
Ciascuno di noi possiede modalità caratteristiche di percepire e rapportarsi agli altri e agli eventi: sono i tratti della personalità.
Per esempio c’è chi reagisce a una situazione problematica cercando l’aiuto del prossimo, altri invece preferiscono affrontare da soli le difficoltà; alcuni minimizzano i problemi, altri li amplificano. Tuttavia a prescindere dalle diverse abitudini, in genere si tenta un approccio alternativo qualora il primo non abbia dato effetti positivi.
Al contrario, in caso di disturbi della personalità, vengono messe in atto le medesime strategie in modo rigido anche quando queste sono inadeguate, si è inconsapevoli dell’inadeguatezza dei propri schemi mentali o atteggiamenti per cui non si ricorre al medico di propria iniziativa, se non quando i sintomi diventano preoccupanti.

Il cigno nero
Amnesia
Paure e nevrosi

 

 

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