LA DESTALINIZZAZIONE

Leader dell’Unione sovietica è Nikita Chruščёv (1953) che diede inizio al processo di destalinizzazione e alla fine del culto di Stalin. Nel 1956 furono rivelati pubblicamente i crimini da lui compiuti, ciò capovolse drasticamente il giudizio dei comunisti su Stalin, non è che ne fossero completamente all’oscuro, ma non si volle darvi credito. Furono smantellati i gulag, liberati molti prigionieri politici, riabilitate le vittime delle epurazioni e ristabilita la “legalità socialista” accanto a un clima più aperto e tollerante sul terreno culturale (stagione del “disgelo”).
In Unione Sovietica l’atteggiamento di Chruščëv non mancò di contraddizioni dovendo tener conto delle pressioni interne degli stalinisti. Così quando l’Ungheria, attraverso una rivolta democratica, avanzò l’intento di uscire dal Patto di Varsavia, egli diede il via all’invasione della stessa. Tre giorni dopo i carri armati entrarono nel territorio ungherese e un’eroica resistenza fu repressa nel sangue dall’Armata rossa (1956).
Chruščёv dovette affrontare anche uno dei momenti peggiori nelle relazioni USA-URSS: la crisi dei missili di Cuba.

L’ISOLA DI CUBA

Cuba con la rivoluzione del 1959, durante la quale si creò il mito di Che Ghevara, si liberò dalla dittatura di Batista che aveva fatto di Cuba la capitale del gioco d’azzardo e della prostituzione, intrecciando affari con la mafia americana che trafficava con il rum, la cocaina, l’eroina, scommesse, automobili di lusso. Gruppi finanziari entrarono negli spazi chiave dell’economia cubana trasformando affari illeciti in attività legali.

Il leader rivoluzionario Fidel Castro attuò un radicale cambiamento sociale ed economico con impronta socialista. Una riforma agraria espropriò i latifondi e riunì in cooperative le piccole aziende, nazionalizzando l’industria, cosicchè le imprese statunitensi persero le raffinerie di zucchero.
Il Presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower rispose con un embargo sulle esportazioni. Seguì il fallito tentativo da parte di esuli cubani e di mercenari di invadere l’isola, ricordato come lo sbarco nella baia dei Porci (1961). Nel frattempo alla presidenza degli Stati Uniti si era insediato John Fitzgerald Kennedy.
Di conseguenza vi fu un avvicinamento tra Cuba e l’Unione Sovietica, e un dispiegamento difensivo di missili nucleari sovietici sull’isola. L’elevata tensione raggiunta tra le due potenze per giorni tenne il mondo sull’orlo della guerra atomica.

Fu Papa Giovanni XXIII, il Papa buono, che alla Radio vaticana trasmise un messaggio «a tutti gli uomini di buona volontà» e seppe toccare nella sua semplicità e umiltà, le corde più profonde dell’animo umano. Con un appello accorato supplicò i Capi di Stato ad agire in direzione della pace cercando di trovare un accordo.
In quei giorni vi fu una mediazione della diplomazia vaticana per tramite del governo italiano presieduto dal democristiano Amintore Fanfani, che non è ancora stata resa pubblica. Sta di fatto che neanche 48 ore dopo il radiomessaggio Nikita Chruščёv fece giungere una proposta a Washington e la crisi rientrò.

L’episodio di Cuba fu ispiratore l’anno successivo (1963) dell’enciclica Pacem in Terris in cui papa Giovanni XXIII ricorda che all’immobilismo c’è sempre una “terza via”, quella del dialogo e del buon senso. Richiamò l’attenzione sul valore dell’uomo come singolo individuo dotato di intelligenza e di volontà libera, soggetto di diritti e doveri universali, inviolabili, inalienabili, e in quanto tale non può annientarsi al cospetto dei sistemi, siano essi capitalistici o socialisti.
Già durate la Seconda Guerra Mondiale Angelo Roncalli si era prodigato a favore degli ebrei in fuga dagli stati europei occupati dai nazisti. Con l’occupazione tedesca dell’Ungheria e l’inizio delle deportazioni e delle esecuzioni di massa con le camere a gas (rapide e senza possibilità di salvezza), migliaia di ebrei riuscirono a varcare il confine dell’Ungheria e a rifugiarsi in Bulgaria. Il Nunzio Apostolico Roncalli informato del fatto approfittò delle sue prerogative diplomatiche e intercesse presso il Re Boris, affinchè non rimandasse indietro i profughi come gli era stato ordinato; provvide a inviare, agli ebrei ungheresi, falsi certificati di battesimo e di immigrazione per la Palestina, dove infine giunsero. Il suo intervento si estese a favore degli ebrei di Slovacchia e Bulgaria e si moltiplicò per molte altre vittime del nazismo.

La politica di coesistenza relativamente pacifica col campo occidentale di Chruščёv, suscitò le critiche di Mao Tse-tung e del Partito comunista cinese, dando avvio al dissidio cino-sovietico degli anni ’60.

IL SESSANTOTTO

Il sessantotto fu un evento mondiale, un fermento che coinvolse molti paesi tra i più sviluppati; le lotte e i movimenti sessantottini si fondarono su tematiche universali, come il superamento di una vecchia cultura e di un sistema basato su antichi privilegi e pregiudizi. Si rimisero in discussione concetti come la libertà di scelta, la libertà sessuale, la condizione della donna e delle minoranze, la condizione della scuola e dell’università, le condizioni di vita degli operai e dei lavoratori in genere, una nuova identità politica che superasse le divisioni tra ceti, estremismi e lotte di potere.

Dal 1964 alla guida dell’Unione Sovietica c’è Leonid Brežnev, che appesantì l’apparato burocratico e sviluppò i rapporti internazionali mantenendo un clima di distensione. Almeno fino al 1968, quando intervenne in Cecoslovacchia, per porre fine alla Primavera di Praga.

LA PRIMAVERA DI PRAGA

La Cecoslovacchia nacque nel 1918 dalla disgregazione dell’Impero austro-ungarico e comprendeva la Boemia, la Moravia e la Slovacchia. Erano le zone più industrializzate dell’ex Impero, seppur con differenti livelli anche culturali, unite da un comune desiderio di indipendenza. Nel 1919 divenne una delle dieci nazioni più industrializzate al mondo, l’unico stato dell’Europa centrale ad aver adottato una democrazia parlamentare.
Finchè non divenne obiettivo di Hitler, il quale volle annettere la regione dei Sudeti di lingua tedesca (Pangermanesimo). La Gran Bretagna e la Francia, alleati della Cecoslovacchia, cedettero a tale richiesta nel tentativo di scongiurare una guerra. Con la mediazione di Mussolini fu raggiunto l’Accordo di Monaco (1938) in seguito al quale la Cecoslovacchia fu smembrata. Tornò a ricostituirsi, pur cedendo alcuni territori, durante la Seconda Guerra mondiale quando liberata dall’Armata Rossa e con al governo il Partito Comunista Cecoslovacco (KSČ), entrò sotto l’influenza dell’Unione Sovietica (1947). Seguì una pulizia etnica con l’espulsione della popolazione tedesca e di quella ungherese in cambio del rientro di quella slovacca. L’influenza di Stalin portò alla presa di potere da parte del comunismo (1948) e la Cecoslovacchia entrò a far parte del Patto di Varsavia.

Tra il 1967-1968 una nuova leadership nel partito iniziò tardivamente il processo di destalinizzazione e la Cecoslovacchia visse una stagione riformista, nota col nome di Primavera di Praga, sotto la guida di Alexander Dubček che adottò un “Socialismo dal volto umano” concedendo una maggiore libertà politica, di stampa e di espressione. Vi era anche l’intenzione di dividere la Cecoslovacchia in due nazioni distinte: Repubblica ceca e Repubblica slovacca. Tutto ciò fu percepito dalla dirigenza sovietica come una grave minaccia all’egemonia dell’URSS sui paesi del blocco orientale, e tenuto conto che geograficamente la Cecoslovacchia era esattamente al centro dello schieramento difensivo del Patto di Varsavia, temette anche per la sua stessa sicurezza.

Di conseguenza l’URSS con le truppe di alcuni paesi membri del Patto di Varsavia, procede all’invasione del paese (1968). Per il reale rischio di scatenare un confronto nucleare, i paesi occidentali non poterono far altro che protestare verbalmente e accogliere l’ondata di rifugiati che migrarono dopo l’occupazione.
Si potè tornare alla democrazia nel 1989 con la cosiddetta Rivoluzione di velluto, una protesta pacifica iniziata a Praga dai movimenti studenteschi, a cui si unirono movimenti civili slovacchi e cechi guidati da Václav Havel, che poi divenne Presidente della Cecoslovacchia. In seguito si dimise quando, dopo lunghe discussioni, il Parlamento Federale decise di suddividere il paese tra la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Nel 1993 la Cecoslovacchia cessò così di esistere.