Il confronto fra la religione islamica e
le civilizzazioni laiche e cristiane.

Una fede in Dio condivisa da tre religioni

Due studiosi, due uomini di fede e di profonda onestà intellettuale, Tariq Ramadan e Jacques Neirynck, affrontano con vivacità e immediatezza e le grandi questioni connesse alla presenza in Europa di alcuni milioni di musulmani.

L’unità fondamentale delle tre religioni monoteiste.

JACQUES NEIRYNCK: Preparando questi incontri mi è parso che ciò che unisce ebrei, cristiani e musulmani sia molto più forte di ciò che li separa. E ciò che li unisce è la fede in un solo Dio. Ma la cattiva conoscenza reciproca costituisce la regola piuttosto che l’eccezione.

A titolo d’esempio quasi caricaturale, il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992 sotto l’egida del Vaticano, è un grosso volume di settecento pagine dove si trovano riferimenti al giudaismo, all’ateismo, al materialismo ma nessuno all’islam che è semplicemente ignorato, come se questa non fosse la religione più diffusa nel mondo dopo il cristianesimo, come se non ci fosse alcun legame storico tra le due religioni. Non c’è neppure una sola citazione del Corano o del nome di Muhammad. Inutile ricordare che l’atteggiamento reciproco non è vero e che l’islam ha una grande venerazione per la persona di Gesù, abbondantemente citato nel Corano.

All’inizio, il Dio unico sorge in seno alla liberazione dal politeismo, rappresentato dalle religioni tribali animiste che esistevano in Medio Oriente e che sono state soppiantate dai tre grandi monoteismi. L’affermazione di un Dio trascendente ed unico merita oggigiorno di essere ripetuta di fronte agli idoli moderni, che non sono più piccole divinità animiste, rurali e folkloriche, ma che si chiamano soldi, tecnologia, competizione, velocità, moda, redditività.

Lei è d’accordo su questo punto di partenza?

TARIQ RAMADAN: La ringrazio per aver posto i termini del dibattito e del dialogo sul terreno delle basi fondamentali. Credo che, in effetti, rispetto a tutti gli eccessi che si possono constatare nel mondo d’oggi, ed in particolare rispetto all’Islam, si abbia l’obbligo di ritornare ai principi fondamentali. Uno studio approfondito di ciò che è l’Islam nella sua formulazione primaria, nella sua traduzione letterale, nel fatto di essere sottomissione al Dio unico, ci permette di ritrovare il respiro di tutti i monoteismi. La rivelazione coranica si presenta come l’unione e la realizzazione di tutti i monoteismi delle genti del Libro (ebrei nella persona di Mosè e cristiani nella persona di Gesù), riconosciute dalla tradizione coranica. Considerare questa dimensione della fede evidenzia ciò che ci unisce, per quanto riguarda la presenza del Creatore e la visione del mondo che ne deriva, ma allo stesso modo ciò che concerne la percezione della responsabilità umana di fronte al mondo e di fronte agli uomini. E’ il nocciolo intangibile di tutti i monoteismi. Andrei ancora oltre affermando che è il tronco comune di tutte le spiritualità viventi e attive che donano dignità all’uomo nella sua intimità e/o nella sua fede.

J.N.: Prima di procedere bisognerebbe forse mettersi d’accordo su che cos’è la fede. Vorrei citare una definizione che proviene tra l’altro da un teologo cristiano, Hans Kung: “Per gli ebrei, i cristiani ed i musulmani aver fede significa che l’uomo qui ed ora, con tutto ciò che è, con tutte le risorse del suo spirito, s’impegna in modo incondizionato e si affida totalmente a Dio ed alla Sua parola“. I musulmani possono aderire a questa definizione?

T.R.: Le parole di Hans Kung corrispondono esattamente al respiro della fede ed al suo impegno davanti al Creatore. La fede non è semplicemente un sentimento vago, è un sentimento che è nutrito da una necessità nei confronti di Dio. Noi siamo dunque, su questo punto, in completa armonia.

J.N.: Potremmo ora entrare più profondamente nell’argomento ricordando che questo Dio unico al quale credono tutte le genti del Libro – con questo termine intendiamo tutti i figli d’Abramo: ebrei, cristiani e musulmani- non è il dio dei filosofi.

Non è il dio che scopre Platone, per esempio, al termine di una riflessione filosofica. Il dio dei filosofi è un principio, una metafora, un postulato, tutto quello che si vuole ma non una Persona.

Blaise Pascal ha fatto molto bene la distinzione nel suo celebre Memoriale dove dice: “Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe − non dei filosofi e dei sapienti“. Questo incontro di un Dio vivente e personale ha segnato Pascal, filosofo e matematico, al punto che aveva cucito un pezzo di carta recante questo testo nel suo vestito. Un musulmano preferirebbe forse questa variante: “Il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Ismaele“, ma a parte questo dettaglio, la formulazione dovrebbe essere accettabile.

Ciò che hanno in comune le tre grandi religioni monoteiste è che si rivolgono ad un Dio storico, un Dio che ha preso le Sue responsabilità nella storia, che si è manifestato attraverso i Suoi diversi profeti. Non è il risultato di una elaborazione intellettuale da parte di persone sapienti, non è il tappabuchi delle nostre ignoranze scientifiche, egli “ è ”e basta. Non è inventato dall’uomo, Egli va verso l’uomo e Gli si manifesta. L’uomo scopre Dio nella misura in cui gli si rivela. E’ Dio che per primo gli va incontro.

T.R.: In quanto musulmano la formulazione pascaliana del Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe mi va perfettamente bene ed essa compare proprio così nel Corano. Per ciò che riguarda la distinzione tra il dio dei filosofi ed il fatto della rivelazione, essa è assolutamente appropriata e traduce perfettamente l’approccio islamico. Per il musulmano la rivelazione è fondamentale. Dio Si manifesta e Si presenta all’uomo tramite il Libro rivelato. La fede inizia o piuttosto si scopre attraverso l’atto della rivelazione e tutti i Libri, secondo la tradizione musulmana, fanno parte del ciclo della profezia, una rivelazione che Dio decide di fare in un momento della storia degli uomini per orientarne le responsabilità.

Le divergenze fra le tre religioni monoteiste

J.N. Poiché abbiamo scoperto i punti di convergenza, occupiamoci ora dei punti di divergenza. All’interno di ciascuna delle tre religioni, c’è un punto di disaccordo, un’idea sulla quale i fedeli si irritano: a loro pare che rinunciarvi corrisponda a perdere la propria identità. E questa idea è assolutamente inaccettabile per le altre due religioni.

Per il giudaismo, la particolarità è costituita dall’affermazione che il popolo d’Israele è un popolo eletto. Dio si rivela attraverso una discendenza umana ed il resto dell’umanità è escluso da questa rivelazione. Ciò non vuol dire che i non-ebrei siano dannati o perduti, ma resta il fatto che un goy non può diventare ebreo. La conversione di un non-ebreo al giudaismo è un’impresa estremamente difficile. Del resto, gli ebrei non hanno mai cercato di fare un’attività missionaria di una certa portata anche se ci sono state delle conversioni isolate.

Il concetto di popolo eletto, di legame privilegiato tra Dio ed un gruppo umano non è ovviamente accettabile per gli altri, gli esclusi dall’Alleanza. Certamente non per l’islam che raggruppa arabi e persiani, tuareg e sudanesi, indiani e indonesiani, turchi e albanesi, poiché ci sono anche musulmani europei. L’esclusività di un popolo eletto è ancor meno accettabile per i cristiani, visto che il cristianesimo è nato da un movimento di conversione in cui pagani greci, romani e celti hanno aderito almeno in parte alla tradizione giudaica. I cristiani si sono appropriati del monoteismo di Israele affermando che essi compivano la promessa fatta ai profeti e che Gesù di Nazareth era il Messia che Israele continuava ad attendere.

Se consideriamo la fede cristiana, scopriamo anche qui un punto centrale che costituisce un argomento di disaccordo. Dio incarnato nella persona di Gesù è un concetto inassimilabile ed inaccettabile per le altre due religioni. Dio incarnato in un uomo è una bestemmia per gli ebrei, bestemmia per la quale Gesù è stato denunciato agli occupanti romani che l’hanno condannato e messo a morte. Ed è una bestemmia anche per un musulmano: Gesù di Nazareth è un profeta ma non di natura divina.

Se cerchiamo il punto centrale dell’islam che costituisce il pomo della discordia con cristiani ed ebrei, ho l’impressione che esso ruoti intorno al posto preminente che ha il Corano, parola testuale di Dio, alla quale nulla si può togliere o aggiungere. Sarebbe questo, a suo avviso, il punto sul quale lei, in quanto musulmano, non transigerebbe? Il punto sul quale lei si sentirebbe il più diverso rispetto agli altri credenti nel Dio d’Abramo…

T.R.: Aggiungerei, comunque, che c’è un concetto che, per i musulmani, costituisce un problema: mi riferisco al peccato originale, che ha un legame diretto con la concezione dell’uomo e con la rappresentazione della persona di Gesù nella tradizione cristiana. La questione è fondamentale perché entra in conflitto con il principio dell’innocenza, il cuore della concezione islamica dell’uomo: da innocente, l’uomo diventa responsabile; non si considera colpevole dell’errore di un altro, in particolare di quello d’Adamo…

Mi è capitato qualche volta, durante le discussioni che ho avuto con amici cristiani, di sentirmi punto sul vivo al culmine di un dibattito molto interessante. Cioè ad un certo punto, la critica cosiddetta “moderna e scientifica” che si vorrebbe io facessi al testo, presupporrebbe che rinnegassi uno degli elementi fondamentali della mia fede, quello di credere che il testo coranico sia rivelato e che sia la parola di Dio.

Il che non significa – ed è quello che cerco sempre di spiegare – che s’impone una lettura statica e letterale. Al contrario, la Parola rivelata esige una lettura ed una comprensione continuamente rinnovata attraverso i secoli. Il testo resta comunque il riferimento nel senso che necessariamente orienta e circoscrive la lettura. Ripeto, questa non è statica ed ecco perché ogni secolo ci sono nuovi commenti del Corano: uno, due, tre o anche più ma non si arriva a riconsiderare lo statuto della parola rivelata. Questo, per proseguire, mi spinge anche a parlare delle interpretazioni che ho avuto modo di sentire da un buon numero di cristiani e che li portano ad affermare: nel cristianesimo, l’incarnazione è avvenuta nell’uomo; nell’islam, l’incarnazione è avvenuta nel Libro. Lo stato di libro nell’islam non ha nulla a che vedere con lo stato dell’incarnazione di Gesù nel cristianesimo. E’ meglio non confondere i riferimenti, anche se si ammette che il modo in cui viene considerato il Corano può creare qualche problema nel dibattito interreligioso.

Testo completo: Il confronto fra la religione islamica e le civilizzazioni laiche e cristiane.

Una società multietnica e multiculturale.

Un passato di cui vengono enfatizzate solo le fasi di scontro e di rapina e un’allarmismo mediatico tanto fittizio quanto ingiusto pesano come macigni sul presente di coloro che in Europa si trovano a dover convivere con l’islam quotidiano di uomini e donne, in buona parte immigrati, che lo rivendicano come identificazione culturale e spirituale.
Il dibattito attraversa ormai tutta la società europea a partire da paesi come Francia e Germania, che per primi si sono confrontati, e talvolta scontrati, con il fenomeno.
Snobbata fino alla metà degli anni ’80 dai grandi flussi migratori, buona ultima anche l’Italia e gli italiani hanno cominciato ad interrogarsi sul loro futuro nella società vieppiù multietnica e multiculturale.
La specificità del caso Italia, con la presenza del Vaticano sul suo territorio e del cattolicesimo nel vissuto collettivo degli italiani, ha dato vita, tra i cristiani a due fenomeni contrastanti: da un lato prassi di grande apertura e reale sostegno a favore delle situazioni e dei soggetti più demuniti o a rischio, dall’altro diffidenza, sindrome di invasione, alte grida a favore di una maggiore purezza culturale e spirituale anche selezionando i candidati all’immigrazione.
Sul versante islamico, tramontata (o quasi) la teoria che tutto quello che non è territorio islamico sia territorio di guerra, è iniziata una profonda riflessione, sulla maniera di essere musulmani nelle società laiche dell’Occidente, sempre più considerate come territori di testimonianza e di partecipazione.
Sgombrando il campo da molti equivoci e malintesi, questo libro vuole dare un contributo al dibattito e al progresso di quella conoscenza reciproca che deve tradursi in arricchimento, rispetto e speranza di armonica convivenza nel futuro.

Recensione al libro:

Titolo: Possiamo vivere con l’Islam?
Autori: Jacques Neirynck e Tariq Ramadan:
Editore: ” Al Hikma”- Imperia per la traduzione italiana
Anno: Prima edizione italiana ottobre 2000 / shaban 1421
Titolo originale: ” Peut-on vivre avec l’ Islam”
Édition FAVRE SA 1999 Lausanne, Suisse

Gli autori:

Tariq Ramadan insegna filosofia (in un liceo di Ginevra) e islamologia (all’Università di Friburgo).
Figlio di Said Ramadan, pioniere dell’organizzazione islamica in Europa e nipote di Hassan al Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani, è l’ideale anello di congiunzione tra la grande tradizione islamica araba e la nuova realtà dell’Islam in Europa.
Partecipa come esperto ai lavori di alcune commissioni del Parlamento Europeo ed è l’autore, tra l’altro, di una storia della rinascita islamica durante gli ultimi due secoli (Aux source du renouveau musulman).
Il suo Essere un musulmano europeo, di prossima pubblicazione anche in Italia,è la prima organica riflessione sulla condizione del musulmano in Europa.

Jacques Neirynck , insegnante, ricercatore, giornalista e scrittore è autore di diversi libri, tra cui Le Manuscrit du Saint Sépulcre e si è particolarmente interessato alle problematiche relative alla fede e alla cultura cristiana.

«Molte religioni dicono ai propri seguaci:
“Il mondo è corrotto, ma puoi fuggire da esso”.
L’islam diceva ai suoi seguaci:
“Il mondo è corrotto, ma puoi cambiarlo”»

Tamim Ansary, Un destino parallelo, 2009