La personalità è la struttura psicologica complessiva dell’individuo: il suo modo di pensare e di esprimersi, i suoi atteggiamenti e le sue azioni, i suoi interessi e la sua visione della vita.
Tra l’altro essa include ciò che chiamiamo temperamento: le reazioni emotive, gli umori, le energie, tipici della persona, come pure ciò che nella vecchia terminologia veniva chiamato carattere: le vedute morali e la condotta della persona.
I fattori che entrano in gioco nello sviluppo della personalità sono numerosi e complessi ed è questa la ragione per cui non esistono due esseri viventi uguali, neppure tra fratelli o gemelli.
Tra questi fattori, i più importanti si possono raccogliere in due grandi categorie:
- i fattori innati, costituzionali
- i fattori acquisiti, dovuti all’apprendimento e alle esperienze della vita.
Già nell’era antica si riteneva che una determinata struttura corporea portasse a un tipo particolare di personalità e si pensava, di conseguenza, di riuscire a giudicare la personalità di un individuo osservando le sue caratteristiche fisiche. Al giorno d’oggi si è portati a ritenere che il fattore costituzionale, per quanto possa avere un’influenza, sia meno importante di quanto sostenuto in passato. Si è visto infatti, che sono della massima importanza le esperienze personali avute con gli altri nell’ambito della famiglia e della società, della quale la famiglia è rappresentante.
Le determinanti innate della personalità
Il fatto di associare una particolare costituzione corporea a ben definite caratteristiche della personalità ha antichissime radici. Il famoso medico greco Ippocrate (V secolo a.C.) formulò una classificazione che influenzò tutta la medicina successiva per parecchi secoli. Essa dava la massima importanza al prevalere di uno dei quattro elementi, o “umori”, fondamentali dell’organismo:
– la bile nera, che prevalendo sugli altri umori avrebbe dato luogo al “tipo melanconico”,
– il sangue, al “tipo sanguigno”,
– la bile gialla, al “tipo collerico”,
– il flegma, al “tipo flemmatico”.
Il pittore tedesco Albrecht Dürer (1471-1528) nel suo doppio dipinto “I Quattro Apostoli” (1526) conservato nell’Alte Pinakothek di Monaco di Baviera, ha raffigurato questi quattro tipi classici e ha identificato (dal primo a sinistra):
- il tipo melanconico in San Giovanni Evangelista – è magro, di colorito olivastro, pessimista, poco socievole, amante degli studi;
- il tipo sanguigno in San Pietro – è pingue ed acceso in volto, di umore lieto, spensierato ed attivo;
- il tipo collerico in san Paolo – è grande e con pelle giallastra, intelligente, facile all’ira ed audace;
- il tipo flemmatico in San Marco – è grasso e pallido, pigro, tranquillo e costante nei sentimenti.
Secondo le teorie più recenti l’influenza degli agenti biologici come la costituzione fisica, i fattori ereditari, genetici è limitata e indiretta.
Per quanto riguarda i fattori ereditari occorre ribadire un dato generale della massima importanza: quanto viene ereditato non è quella determinata personalità con tratti e modelli di comportamento ben precisi e caratteristici, è invece una predisposizione a svilupparsi secondo talune direttive che possono manifestarsi così presto, da essere chiaro che non sono frutto dell’apprendimento. Si è osservato per esempio che i neonati possono essere molto attivi, poco attivi o quieti e in genere ciò corrisponde con l’attività motoria durante la vita intrauterina.
Su questa predisposizione innata agiranno poi fattori ambientali.
In primo luogo va ricordata la grande importanza delle reazioni degli adulti di fronte al comportamento del bambino: così un bambino precoce potrà indurre i genitori ad essere fiduciosi e incoraggianti, esponendolo ad un numero maggiore di occasioni, permettendo le sue esplorazioni, stimolandolo sempre più e ad aspettarsi qualcosa di “buono”. Ciò si rifletterà sul bambino, la grande ricchezza di esperienze potrà portare a una maggiore padronanza del mondo ed un conseguente maggior senso di fiducia nelle proprie capacità.
Invece un bambino quieto e poco attivo può risvegliare nei genitori un atteggiamento iperprotettivo, con il continuarsi di uno stretto rapporto di dipendenza che riduce considerevolmente le opportunità di apprendere risposte nuove.
Altrettanto importante è l’atteggiamento degli adulti nei confronti delle attività del bambino: è ovvio che coloro che saranno tolleranti e sereni avranno un atteggiamento ben diverso da coloro che sono insofferenti o autoritari, o eccessivamente preoccupati per i pericoli a cui il bambino può andare incontro, per cui questi ultimi tenderanno a inibirlo.
Pertanto si può affermare che i fattori innati possono anche non influenzare direttamente lo sviluppo della personalità, pur tuttavia possono influenzare le reazioni delle persone che vengono a contatto con il bambino e questo può riflettersi sulla sua personalità che viene a formarsi.
Le determinanti famigliari e sociali della personalità
Può apparire strano che la natura dell’ambiente nel quale vive il bambino piccolo possa avere una sua influenza, poichè egli percepisce in modo impreciso, ha un controllo relativo del suo corpo, non ragiona e non ha certo un’idea di ciò che avverrà. Eppure l’osservazione e la ricerca sperimentale hanno dimostrato in modo irrefutabile l’enorme importanza dell’ambiente fin dai primi momenti di vita.
FASI DI SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ NELL’UOMO
IL PRIMO ANNO DI VITA
Alla nascita il bambino è in una condizione di assoluta impotenza e dipendenza dagli altri, e gli schemi istintivi che egli adopera sono legati alla richiesta di nutrimento e al tempo stesso di calore, rassicurazione e protezione. Egli non riesce a distinguere tra il “sé” e un “qualcosa al di fuori di sè”, la fonte di nutrimento e la realtà esterna sono dentro di sè, in funzione dei suoi bisogni. Il suo comportamento è definito orale: egli vive e ama con la bocca.
È in questa fase che avviene la prima grande esperienza sociale della sua vita, pertanto è fondamentale che il neonato sia curato adeguatamente nei suoi bisogni. Egli ben presto impara a cercare e ad avvicinare la persona che si prende cura di lui ogni volta che ha fame o si trova in una condizione di disagio; in altre parole, egli impara a confidare in essa e, per generalizzazione, negli altri.
Il suo atteggiamento futuro nei riguardi del mondo tenderà ad essere generoso e pieno di fiducia.
Non a caso lo psicanalista ERIK ERIKSON ha dato a questo primo periodo dello sviluppo della personalità il nome di fase della fiducia:
«La ripetuta esperienza di avere fame, vedere il cibo, riceverlo e sentirsi meglio, ristorato, assicura il bambino che il mondo è un posto del quale ci si può fidare»
In caso contrario, se la prima esperienza sociale è negativa determinerà un eterno e impellente bisogno di avere e di possedere, senza la capacità di rimandare la soddisfazione:
«Ogni ritardo nel prendere o nell’avere è infatti vissuto come una perdita definitiva» RENZO CANESTRARI.
IL SECONDO ANNO DI VITA
Il bambino acquisisce molte nuove capacità motorie, arricchisce sempre più il suo linguaggio e prende maggior coscienza di sè come essere indipendente.
Cominciare a camminare è un avvenimento molto importante perchè fa sì che i suoi rapporti con il mondo cambino radicalmente, egli è in grado da solo di esercitare sull’ambiente un controllo maggiore. Aumentando la possibilità di esplorare si trova a dover affrontare sempre più frequenti frustrazioni dovute all’aumento delle restrizioni (divieti, proibizioni) in alcuni casi necessarie per la sua sicurezza.
I primi passi perciò rappresentano non solo un progresso nello sviluppo motorio, sono anche passi verso l’indipendenza.
Una più ampia libertà di movimento, una maggior fiducia in se stesso e la tendenza ad essere spontaneo e creativo, gli permetterà di affrontare molte situazioni nuove e di provare nuove soluzioni per risolvere i problemi, favorendo oltremodo lo sviluppo del senso di fiducia in se stesso e dell’autonomia.
L’altro avvenimento molto importante nel secondo anno di vita è l’educazione degli sfinteri che rappresenta il primo atto di responsabilità sociale perché da un lato gli viene chiesto di comportarsi in un determinato modo, e dall’altro impara che il “tenere” o il “lasciare andare” è sotto il suo controllo, dipende da lui.
Il concetto di sporco: per il bambino feci e urine non sono “cose sporche”, ma sono cose sue, che appartengono al suo corpo, gli viene chiesto di imparare a controllarle e può non capire il perché. Il fatto che il bambino collabori quindi, è una sua scelta e lo farà per gratificare l’adulto ed essere gratificato a sua volta.
È decisamente controproducente anticipare prima dei due anni questa richiesta perché per il bambino, non essendo in grado di farlo, sarà solo fonte di frustrazione, come per l’adulto, le cui aspettative se sono eccessive possono diventare inopportune ed essere causa di conflitti, poi difficili da dipanare. È una fase molto delicata, graduale (il controllo degli sfinteri durante la notte sarà acquisito solo in un secondo momento) e diversa da bambino a bambino, che richiede pazienza e fiducia da parte dell’adulto.
Imparare a camminare e l’educazione degli sfinteri formano la base di quella che ERIKSON chiama fase dell’autonomia.
La sempre maggiore presa di conoscenza di sé e della propria indipendenza da parte del bambino riguarda anche tutto il suo comportamento: in genere si manifesta un periodo di negativismo, con la risposta “no” a qualunque cosa gli sia chiesta, impara a dare per ottenere gratificazione, diventa sempre più forte la sua curiosità e motivazione ad apprendere.
DAI DUE AI SEI ANNI DI VITA
In questo periodo la figura paterna che in genere prima non aveva un ruolo ben definito, viene progressivamente ad affermarsi e assume un particolare rilievo. Il bambino crescendo quindi viene ad avere rapporti sempre più numerosi e complessi che avranno delle influenze sulla sua personalità
Freud riconosce in questo periodo la fase edipica: se il bambino dipende ancora molto dalla madre e sente in modo molto forte il bisogno del suo amore, può insorgere un conflitto con il padre che viene considerato un intruso e un rivale, e ciò gli causa frustrazione, che viene ad aumentare se è ruolo del padre porre limiti, divieti e punizioni. Queste reazioni possono avvenire anche nei confronti di fratelli e sorelle e compaiono in modo più o meno manifesto nei bambini intorno ai tre anni.
Tuttavia il bambino avverte pure amore per il padre, desiderio di protezione e ammirazione per ciò che egli rappresenta, pertanto quella del bambino è una tipica condizione di conflitto e di ambivalenza che potrà essere mitigata dal nascente desiderio di imitarlo.
La soluzione positiva al conflitto edipico infatti avviene attraverso il processo di identificazione con la figura paterna, che coincide con la presa di coscienza della differenziazione sessuale che porterà il bambino a meglio identificarsi con le persone del proprio sesso. La figura di riferimento diviene quindi un modello da seguire, da imitare, ciò lo aiuterà ad assumere un modello più critico e più concretamente suo nell’età dell’adolescenza.
Anche in questo periodo di vita che ERIKSON chiama fase dell’iniziativa, è sempre l’ambiente famigliare che può favorire o contrastare lo sviluppo adeguato e armonico del bambino salvaguardandone la spontaneità.
Quando le qualità basilari della persona come la fiducia, l’autonomia e l’iniziativa si sono concretizzate nel suo carattere, il bambino può considerarsi pronto ad affrontare un mondo più vasto e del tutto nuovo, come il mondo della scuola.
Egli naturalmente, specie agli inizi, tenderà a comportarsi a scuola come si è sempre comportato in famiglia, con il modo di fare e di reagire che gli è abituale; nello stesso tempo però impara a lavorare assieme agli altri bambini e all’insegnante, ad andare d’accordo con essi e a confrontarsi con essi, diventando sempre più consapevole delle proprie capacità rispetto a nuove situazioni, nuovi problemi da risolvere e a un confronto con le capacità dei coetanei.
Le stimolazioni, gli incoraggiamenti, l’appoggio e l’amore dei genitori sono fondamentali in questo periodo e la famiglia continua ad avere un’enorme importanza nello sviluppo della personalità, ma non rappresenta più per il bambino l’unica fonte principale di informazioni, di attività, di atteggiamenti e di valori, l’unico posto dove trova dei modelli per il suo processo di identificazione.
Per la prima volta un adulto estraneo all’ambiente famigliare, l’insegnante, ha un ruolo di primo piano nella vita del bambino; i coetanei inoltre, vengono ad assumere sempre maggiore importanza, l’attaccamento agli amici si fa più pronunciato, le attività e gli scambi nel gruppo sociale si fanno sempre meglio organizzate, e il bambino trascorre molto tempo fuori casa.
Infine i grandi mass-media (giornaletti, libri, televisione, radio, cinema e oggi anche internet) entrano con sempre maggiore forza nella sua vita venendo ad avere un ruolo di grande rilievo.
Si può quindi dire che con l’allargarsi del mondo del bambino, egli troverà un numero sempre maggiore di modelli con i quali identificarsi. In un suo saggio sulla personalità SAPPENFIELD scrive:
«In definitiva, la personalità si costruisce sulla base di una lunga serie di identificazioni; sotto certi aspetti la persona sarà simile a ognuno degli insegnanti che ha ammirato o rispettato, degli eroi che ha incontrato nei racconti, nelle biografie, nei film, ecc.; sotto altri aspetti, ancora, sarà simile ai sacerdoti, ai medici o alle persone di rilievo della sua comunità. Dato che la sua personalità è prodotta da tante fonti diverse, sarà un’organizzazione complessa e unica».
Testo di riferimento: Psicologia di Mario Farnè, Giuliana Giovanelli – Signorelli, Milano 1970