Fin dalle prime settimane di vita sono presenti quei riflessi innati (pupillare, palpebrale, della fonazione, suzione e prensione) che permettono al bambino di stabilire i primi rapporti con l’ambiente. Infatti basta collocare un oggetto vicino alle labbra del bambino, anche di poche settimane, perchè cominci subito a succhiare, o nella sua mano perchè vi serri le dita attorno; basta che provochiamo delle sensazioni gradevoli perchè si abbia una manifestazione fonetica.
Secondo la teoria dell’intelligenza di Jean Piaget questa fase corrisponde alla Reazione circolare primaria.

Tali meccanismi non sono però efficaci fin dal primo giorno di vita in quanto i primi adattamenti comportano un esercizio dei meccanismi stessi. Infatti un neonato anche se ha il capezzolo vicino alla bocca non comincia subito a succhiare, e la distinzione del seno e delle sensazioni che si accompagnano alla suzione sono frutto di apprendimenti successivi.
È solo dal secondo mese in poi che si nota un differenziarsi delle manifestazioni del neonato, si notano ora i primi tentativi di coordinazione tra suzione e prensione, fra prensione e visione: il bambino che prima prendeva l’oggetto con la mano e poi portava alla bocca la mano succhiando indifferentemente questa o quello, diventa capace di prendere gli oggetti per portarli (loro e non la mano) alla bocca.
E così mentre la mano era prima essa oggetto di osservazione fine a se stessa per i movimenti che provocava, poi diventa interessante come mezzo per portare un altro oggetto e infine decade anche da questa funzione, passando in primo piano l’interesse per l’oggetto che viene portato, sia pure dalla mano, alla visione.
Secondo Jean Piaget questa fase corrisponde alla Reazione circolare secondaria.

In questo periodo comincia progressivamente anche il processo di costruzione dell’oggetto, cioè di una realtà che esiste indipendentemente dalle sensazioni personali che essa provoca.
Mentre nelle prime settimane di vita un oggetto che scompare dalla vista viene immediatamente dimenticato, durante il secondo mese di vita continua ad essere atteso dopo la sua scomparsa anche se non si nota alcuna attività per farlo ricomparire: il bambino, ad esempio, continua a guardare dalla parte da cui è uscita la madre, senza però richiamare la sua attenzione, e quindi senza tentare di provocare il suo ritorno in qualche modo.
Così lo spazio non è ancora per lui qualcosa di unitario, ma esistono tanti spazi corrispondenti al luogo in cui si colloca l’azione e cioè uno spazio orale (rapporto bocca-oggetti), uno spazio visivo (rapporto fra la sua posizione e gli oggetti che guarda), uno spazio uditivo (corrispondente al luogo in cui si trovano i suoni) e così via per quelli tattile e cinestesico (di movimento).
Il bambino non è ancora capace di collegare fra loro gli avvenimenti: essi si succedono gli uni agli altri, ma non ha ancora scoperta l’esistenza di un nesso causale (voce della mamma → comparsa della mamma) e il tempo per lui si esaurisce in una serie di avvenimenti considerati però a se stanti e non succedentisi in un rapporto di prima e dopo. Non vi è ancora cioè relazione spaziale, temporale, causale.

È solo con il terzo mese che si cominciano ad osservare dei comportamenti con sempre più il carattere di intenzionalità, cioè quel processo che si realizza solo quando esiste la distinzione fra scopo finale che ci si propone di raggiungere e mezzi per raggiungerlo: ad esempio, il bambino tira il cordoncino della culla per far muovere gli oggetti che vi sono appesi.
Contemporaneamente si ha un’evoluzione nella percezione degli oggetti, dello spazio, di successione temporale. Il bambino infatti comincia a rendersi conto che l’oggetto permane anche quando è temporaneamente assente dal campo percettivo: allora tenta di raggiungerlo superando degli ostacoli che lo coprono parzialmente. Dall’ottavo mese in poi egli cerca e ritrova un oggetto nascosto, a condizione però che gli spostamenti e l’atto di nasconderlo siano visibili.
È in grado di percepire lo spazio nelle dimensioni del “vicino“ (spazio in cui può raggiungere l’oggetto) e “lontano” (spazio in cui gli oggetti non sono da lui raggiungibili).
Quando comincia a muoversi, anche a carponi, il suo spazio si allarga ed egli diventa capace non solo di rapportare la distanza degli oggetti a sè, ma anche di considerare quella fra un oggetto e l’altro. Sa ritrovare gli oggetti scomparsi dalla sua vista, sa riconoscere la loro posizione e assumere l’orientamento più adeguato per afferrarli. La sua manipolazione degli oggetti progredisce nell’osservazione delle parti riguardo il sopra e sotto, dentro e fuori, separati e uniti.

Occorre però giungere oltre l’anno e mezzo perchè il bambino sia capace di rappresentazione, cioè di anticipazione mentale al fine di raggiungere determinati risultati.
A questo riguardo JEAN PIAGET osservò che sua figlia mentre a sedici mesi cercava ripetutamente di prendere una palla che stava sotto il cuscino mettendosi sopra al cuscino stesso e tentando di sollevarlo, verso i due anni era capace di ritrovare una matita nascosta in una scatola di fiammiferi, coperta da un berretto che a sua volta era coperto da un panno, togliendo prima il panno, poi il berretto, poi infine aprendo la scatola.
Parallela all’evoluzione della percezione spaziale, sta la comprensione della casualità. Il bambino si rende conto che c’è un rapporto tra la mano dell’adulto e l’oggetto che si muove, ma non ha ancora capito che l’oggetto si muove perchè è la mano che provoca il movimento, per cui crede che basti agitare la mano (e tenta di farlo) anche senza toccare l’oggetto, perchè questo si muova.
Successivamente invece stabilisce egli stesso il rapporto fra l’adulto e l’oggetto: se l’adulto ad esempio smette di produrre un suono piacevole tamburellando con le dita sul lettino, il bambino riporta la mano in posizione adeguata contro il letto sollecitando l’adulto a ripetere l’operazione.
Arriva anche a rendersi conto che esistono delle cause che operano in maniera indipendente da lui: ad esempio mette nelle mani dell’adulto la scatola che non riesce ad aprire.

Anche la percezione del tempo ha un’evoluzione: dalla consapevolezza del “prima” (tira la cordicella) e del “dopo” (guarda se l’oggetto si muove), a quella di una serie temporale composta di diversi elementi successivi.
Ci vorranno però due anni perchè lo sviluppo del bambino giunga globalmente a permettergli di orientarsi nei confronti di una realtà che è percettivamente presente, ma anche, fatto molto più importante, a prevedere (cioè ad anticipare con la rappresentazione) le caratteristiche che tale realtà potrà assumere in un futuro, sia pure molto prossimo. Ha acquisito così la funzione simbolica.
Secondo PIAGET il bambino ha superato i primi sei stadi dell’intelligenza senso-motoria, fase che corrisponde alla Reazione circolare terziaria.

Le caratteristiche della percezione infantile

Appare chiaro che lo sviluppo della percezione nel bambino relativamente agli elementi del suo mondo percettivo e se stesso, secondo le dimensioni spaziali, temporali e causali avviene a poco a poco attraverso passaggi successivi.
Il mondo del bambino pertanto non consiste semplicemente in una versione più piccola, meno complicata di quello dell’adulto, ma in una realtà con caratteristiche sue peculiari che si trasformano attraverso graduali cambiamenti. È chiaro che lo studio obiettivo delle caratteristiche con cui tale mondo si presenta al bambino, non potendo usufruire del linguaggio (se non in un secondo tempo), si può basare unicamente sullo studio del comportamento del bambino di fronte ai vari stimoli.

Il carattere sincretico e globale: la percezione del tutto e delle parti.

La principale differenza fra l’attività percettiva del bambino e quella dell’adulto sta nel fatto che il bambino è portato a interessarsi solo alle principali caratteristiche di una data cosa, non badando ai dettagli. Ciò comporta che certe parti della realtà sono colte solo nel loro insieme, o viceversa viene messo a fuoco un solo limitato aspetto della realtà stessa, lasciando in ombra gli altri aspetti o caratteristiche diventando questo, rappresentativo del tutto (sincretismo).
Questa tendenza a considerare le situazioni globalmente, ha come conseguenza il fatto che gli oggetti diventano così parte del contesto in cui si trovano più frequentemente e le qualità che li caratterizzano non si differenziano da altre qualità non essenziali: ad esempio il bambino abituato a vedere la mamma  vestita con semplicità in casa, può non riconoscerla se gli si mostra con un cappello, elegantemente vestita per uscire; oppure potrebbe non riconoscere il papà che mette un paio di occhiali quando in genere non li porta o viceversa si presenti senza quando invece è solito portarli.
Così la figlia di PIAGET, come egli stesso racconta, a poco più di un anno vide il padre in giardino e sorrise salutandolo, ma alla domanda della madre: «dov’è papà?» voltò il capo verso la finestra dello studio dove in genere lo vedeva al lavoro.
In effetti la capacità di astrarre un oggetto da un contesto è il prodotto di un lungo processo di apprendimento. Inizialmente, ad esempio, il bambino ci mette molto più dell’adulto a ritrovare un piccolo oggetto che è stato camuffato, nascondendolo con una più grande figura complessa.

Il sincretismo può anche esprimersi nel mettere a fuoco un solo elemento trascurando tutto il resto della figura e anzi, interpretare questa in base a quell’unico elemento: ad esempio l’immagine di una bambina con un grande fiocco in testa può essere interpretata come “babau”, per l’identificazione del nastro con le orecchie di un cane e per successiva interpretazione del tutto come “cane”, indipendentemente dagli altri dettagli presenti e articolati che formano il volto della bambina. È chiaro che in questi casi il bambino non coglie i tratti essenziali del tutto, ma alcune qualità in esso preminenti.

Riguardo la realtà percettiva visiva, le caratteristiche della percezione infantile nei suoi aspetti preminenti sono:

  • la percezione del colore Fin dalla primissima età il bambino è capace di discriminare l’uno dall’altro diversi colori e la sensibilità al colore progredisce col tempo. A due anni il bambino è capace di sovrapporre i colori che variano d’intensità, capacità che affina verso i 6 anni.

  • la percezione della forma – Si è già visto come il bambino piccolo manca della capacità di percepire la forma con precisione nei suoi dettagli, e come questa capacità venga maturando con l’esperienza e l’apprendimento. Infatti il bambino tra i 6 e i 16 mesi è in grado di imparare a scegliere fra due blocchi di forma diversa, le difficoltà ovviamente sono maggiori quanto più le forme sono simili (ad es. forma sferica e forma ovale). A due anni è capace di riconoscere una forma anche se viene modificato il suo orientamento, o la sua grandezza o la sua continuità. Verso i quattro anni è capace di tali distinzioni anche su forme piatte (tagliate in cartone) invece che tridimensionali. Forse è a questo punto che si può parlare di vera percezione dei caratteri di una forma, mentre prima si trattava più di discriminazione tra forme diverse.

In presenza sia dell’aspetto formale sia dell’aspetto cromatico, sembra che la preminenza percettiva dell’uno e dell’altro dipenda dal materiale usato: ponendo il bambino (dai 3 ai 6 anni) di fronte a delle forme per lui non significative poste in un contesto che non stimola il suo interesse, egli tende a compiere una scelta sulla base del colore; se invece si trova di fronte a forme geometriche dello stesso colore ma di forma diversa, allora la scelta tende ad avvenire secondo la forma, anche nei bambini di appena due anni.
Oltre alla forma e al colore delle figure, un fattore fondamentale nell’organizzarsi delle percezioni è l’orientamento delle figure nello spazio. La capacità di distinzione dell’orientamento o posizione spaziale di una figura assume un ruolo rilevante soprattutto quando il bambino comincia a leggere, cioè quando diventa per lui necessario saper discriminare ad esempio, p da q, b da d, ecc.

  • la percezione dello spazio – Le misure della distanza, della lunghezza, dell’ampiezza, ecc. dei singoli oggetti sono complicate dal fatto che le dimensioni spaziali sono nella realtà fra loro interdipendenti: la distanza infatti è un “indice” della dimensione o misura reale di un oggetto, ma la dimensione o misura di un oggetto è anche un indice della sua distanza.
    A questo reciproco rapporto, si è già visto, è legato il fenomeno della costanza percettiva.
    Le differenze di dimensioni vengono percepite prima delle differenze di forma. A quattro anni i bambini sanno riconoscere le distanze fra gli oggetti e fra se stessi e gli oggetti in modo preciso come gli adulti; mentre precocissima è la capacità di distinzione della profondità, che si è potuta accertare nel bambino non ancora capace di camminare.

Costanza percettiva. In quale grado dimensioni di spazio, forma e colore degli oggetti sono interdipendenti anche nella percezione del bambino?
Un bambino di sei mesi sa distinguere fra un oggetto posto a lui vicino ed un altro tre volte più grande posto a una distanza tripla: egli si protende verso il più vicino.
Altresì a distanze maggiori i bambini più grandi percepiscono gli oggetti molto più piccoli delle loro dimensioni reali. Solo verso i dieci anni si raggiungono risultati quasi perfetti sul fenomeno della costanza percettiva.
Si è rilevato che la costanza di grandezza, come la costanza del colore e della forma, non sono presenti nello stesso grado nei bambini delle diverse età, ma si sviluppano gradualmente, probabilmente sia in funzione dei processi di maturazione che di una maggiore esperienza degli oggetti e dei loro rapporti.

Il carattere fisiognomico-dinamico (riconoscitivo)

Nei primi anni di vita il bambino è particolarmente sensibile alle relazioni emotive che intercorrono fra lui e le persone che lo circondano, tanto che l’espressione sorridente assume particolare importanza nello stabilire un rapporto, così come la qualità fisiognomiche (visive e tattili) sono le più valide allo stabilizzarsi di un reale rapporto affettivo.

La percezione delle qualità espressive del volto umano, che è stata chiamata anche percezione sociale, è stata oggetto di molti studi. Uno dei più completi è quello di R.A. SPITZ e WOLF K.M. (1946) che si poneva lo scopo di determinare le posizioni dello stimolo necessario per provocare il sorriso.
Proponendo diverse situazioni in cui si assumevano varie espressioni, oppure maschere o marionette,  fu possibile dimostrare che le risposte motorie al sorriso nei primi sei mesi di vita, si hanno purchè il modello sia posto di fronte, se invece è messo di profilo il bambino non sorride più indifferentemente, ma solo a certe persone.

A differenza degli adulti, il bambino poi classifica anche oggetti inanimati secondo quelle caratteristiche emotive che in genere si realizzano nei rapporti sociali: così un oggetto a punta diventa “cattivo”, assume cioè una particolare espressività.
Ciò si collega a quello che viene chiamato il pensiero animistico per cui gli oggetti fisici sono considerati come dotati di vita con sentimenti e intenzioni: «il fuoco è cattivo», «il filo fa fatica a sostenere il lampadario», «la luna ci corre dietro».
Tale carattere percettivo si può ritrovare anche in noi adulti, ma mentre noi anche se rileviamo negli oggetti delle caratteristiche espressive le controlliamo considerandole come fatti soggettivi, dipendenti da noi stessi, il bambino si lascia dominare da esse in quanto non riesce ancora a distinguere le caratteristiche differenziali tra sè e gli oggetti.

*Testo di riferimento: Psicologia di Mario Farnè, Giuliana Giovanelli – Signorelli, Milano 1970


L’attenzione e la percezione sono strumenti che l’uomo ha a disposizione per ricevere informazioni dal mondo circostante e per elaborarle in modo da realizzare una vera e propria conoscenza, che nella nostra specie è lo strumento decisivo per l’adattamento naturale e sociale.

Sono due processi che stanno alla base dello sviluppo cognitivo, una costruzione graduale e laboriosa che porta all’acquisizione della capacità simbolica e della capacità di ragionamento propri del pensiero umano, capacità che affondano le loro radici nella percezione che consente all’uomo, da neonato inconsapevole e dotato solo di alcuni riflessi innati,  di divenire un essere adulto pensante e cosciente.


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