Il “Notturno” di Alcmane

Dormono i vertici dei monti e i baratri,
le balze e le forre;
e le creature della terra bruna,
e le fiere che ai monti s’acquattano, e gli sciami,
e i cetacei nel fondo del mare lucente.
Dormono le famiglie degli uccelli
fermo palpito d’ali.

Traduzione dai lirici Greci di F.M.

La poesia citata nel film Mediterraneo è il notturno più famoso di tutta la letteratura greca arcaica, quello di Alcmane. Un poeta che introdusse nella bellicosa e ancora poco letterata Sparta una vena poetica, in cui forse traspariva una visione della vita languida e un po’ voluttuosa che il poeta portava con sé dalla sua patria nella lontana Lidia. Protagonisti del notturno di Alcmane non sono uomini e dèi, bensì gli elementi della natura: la descrizione si distende in una enumerazione che sembra nascere da una contemplazione assorta e incantata. L’atteggiamento del poeta è quello dello stupore e della contemplazione della natura addormentata in cui  l’uomo sembra non avere parte. In Omero spesso la quiete notturna si contrappone all’angoscia di un singolo o di un gruppo ristretto di persone, nel notturno di Alcmane gli spunti omerici sono rielaborati in termini diversi. L’atteggiamento di contemplazione quasi estatica con cui Alcmane descrive la quiete della notte s’inquadra in una visione positiva che l’uomo antico ha della notte: diversi indizi portano a questa conclusione, e soprattutto il fatto che la notte sia spesso designata come εὐφρόνη, la benevola, una parola che ricorre, neppure troppo raramente, nella lingua della poesia. La bellezza del frammento è pari alle difficoltà interpretative che ha creato agli studiosi.

Estratto da: Nel mondo greco

Alcmane, frammento n° 58

Alcmane, greco nato in Lidia, operò a Sparta intorno alla fine del VII sec a.C; scrittore, musicista, istruttore di cori femminili, realizzò una produzione anticamente suddivisa in sei tomi comprendenti inni, ipochemi, peana, parteni e canti eroici. Di Alcmane ci sono rimasti soltanto 120 frammenti, e quello sopra riportato, tramandato da Apollonio Sofista, è il n° 58; personalmente considero questa quieta e ad un  tempo vigorosa descrizione del riposo notturno, infarcita di echi dell’epos omerico, una delle più alte vette di lirismo mai raggiunte.

di Marco Cavina


 

“La cultura dell’Europa è nata dall’incontro
tra Gerusalemme, Atene e Roma”

Papa Benedetto XVI

 


IL POPE

Il Pope, così viene denominato il prete della Chiesa Cristiana Ortodossa, può essere ordinato anche se è sposato (o più precisamente, è consentito ai sacerdoti che si siano sposati prima dell’ordinazione di continuare in questo stato), a differenza dei vescovi e dei monaci, che devono essere celibi. L’uso di portare la barba, secondo la prescrizione del libro del Levitino ai sacerdoti ebrei, è universalmente rispettato.

CHIESA CRISTIANO ORTODOSSA

La Chiesa Cristiana Ortodossa è una delle Chiese del Cristianesimo. Gli ortodossi, presenti soprattutto nell’Europa orientale, sono organizzati in Chiese autonome, anche se hanno due grandi riferimenti: la Chiesa ortodossa greca e la Chiesa ortodossa russa.

Nel 1054 con lo Scisma d’Oriente si verificò una rottura dei rapporti fra il Cristianesimo d’Oriente, cioè fra il Patriarcato di Costantinopoli di lingua e rito greco, e la Chiesa romana, di lingua e rito latino.

Rapporti che papa Giovanni XXIII tentò di recuperare avviando un dialogo di apertura fra la Chiesa cattolica e quella ortodossa, che il patriarca di Costantinopoli Atenagora accolse con favore. La volontà di dialogo all’interno della Chiesa cattolica con le diverse confessioni cristiane fu propria anche del successore papa Paolo VI che giunse nel 1965 alla revoca delle scomuniche intercorse nel 1054 tra Roma e Costantinopoli e successivamente di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Le Chiese Ortodosse si differenziano per diversi aspetti: esse seguono il calendario giuliano, in uso nella chiesa universale fino al 1582, dopo di che papa Gregorio XIII con una riforma introdusse il calendario gregoriano che fu adottato dai paesi cattolici e via via dalla maggior parte dei paesi del mondo occidentale. Ciò determina delle discrepanze circa le date di celebrazione delle festività. Inoltre gli ortodossi non riconoscono i dogmi (verità di fede) introdotti fin dal Concilio di Nicea (325) e si differenziano anche dal punto di vista teologico e liturgico.


IL CAFFÈ TURCO

Devi lasciar depositare il fondo,
bisogna saper aspettare.
Sentire il profumo e aspettare,
questo è il piacere

Prende il nome di caffè turco una tipologia di preparazione del caffè diffusa in Turchia, nella penisola balcanica e nei paesi arabi. Si prepara facendo bollire dell’acqua in un particolare bricco dalla forma allungata (“ibrik“, solitamente in ottone). Quando l’acqua bolle, si toglie dal fuoco si aggiunge il caffè macinato finemente. A seconda delle varie tradizioni e località, possono essere aggiunte alcune spezie (opzionali) come il cardamomo.
Il caffè così preparato assume una consistenza “sciropposa” e necessita di qualche minuto di decantazione per far depositare il sedimento sul fondo delle tazzine. Questo stesso sedimento assume forme particolari; queste vengono interpretate nella pratica mantica tipicamente turca (o delle zone influenzate dai turchi, come i Balcani) della lettura dei fondi di caffè (caffeomanzia).

Ora questa bevanda ha anche il suo primo museo, dove i visitatori possono apprendere come prepararla nella maniera più corretta possibile, ottenendo anche un attestato. L’istituzione è stata creata presso il Museo delle arti turche e islamiche di Istanbul.

La località scelta da Salvatores dove ambientare il film è l’isola di Megisti, oggi Castelrosso.

MEGISTI

Fiore di mare, vedetta lontana, l’antica Megisti sboccia di sole al mattino e si chiude d’arancio al tramonto dietro le montagne. I suoi canti sono racchiusi nei volti arsi e nei muri dai colori intensi. I ricordi sono sepolti sotto le macerie vestite di sterpaglie. La storia, narrata da foto sbiadite e impressa in pietre e legni, è custodita dalle nuove generazioni di un popolo con i modi bruschi e gli occhi grandi.

Megisti (Meyis in lingua turca) dal nome del suo primo governatore Megistea, è ancora Grecia, ultimo vessillo nel Mar Mediterraneo a poche centinaia di metri dalla Turchia, terra in più del Dodecaneso, talmente spostata a oriente da essere indicata in un riquadro a parte nelle carte geografiche dell’Europa.
L’isola, oggi chiamata Castelrosso o, alla greca, Kastellorizo, nome dato dai Cavalieri di San Giovanni di Rodi che vi approdarono nel 1306, è un avamposto col castello diroccato in cima alle case e agli scogli che diventano rossi quando piove. Un castello che svetta contro l’altra sponda che di rosso ha il colore della bandiera.
Al centro dei commerci e del traffico marittimo, grazie all’insenatura naturale e un mare profondissimo, Kastellorizo ha vissuto a pieno le vicende del Mediterraneo: l’arrivo dei Veneziani, un lungo dominio ottomano e il passaggio di mercanti fin quando, nel 1943, dopo le conquiste di francesi e italiani, lo scalo marittimo fu occupato dalla resistenza greca. In quegli anni l’isola portava ancora i segni di una tragedia immane, il terremoto del 1926, che aveva sgretolato un porto florido e fittamente abitato da case semplici come i sogni di chi ha i piedi protesi verso la realtà ma le mani segnate dalle reti e la pelle lucida di salsedine. E per poco bastò la forza d’animo, il sangue di una razza testarda capace di riconquistare il controllo della sua terra.
La Seconda Guerra Mondiale giunse dal cielo con un carico di distruzione. Mentre i superstiti scappavano per mare alle isole vicine, il fuoco tedesco lasciava un paesaggio devastato e desolante, un piccolo porto con una ferita incommensurabile. Una ferita che ancora oggi ha cicatrici visibili, almeno fino a quando non sarà completamente coperta dalla mano dell’opulenza, da costruzioni che hanno un volto antico ma non il cuore, alloggi che spuntano dal ricordo di una sofferenza che a breve solo le carte potranno raccontare. Chi giunge in questa riva viene colto da un senso di smarrimento dapprima e da un inspiegabile coinvolgimento appena s’immerge nel clima e nella vicenda umana dell’isola… continua

Kastellorizo è una terra fra le terre, mediterranea come nessun’altra, in mezzo alle vicende delle civiltà, un porto di colori accesi rinati dalla cenere. L’antica Megisti è la convivenza degli opposti, l’equilibrio delle distanze, la storia di storie fra gloria e disperazione, separazione e ritorno, custodite in una quiete straordinaria. È brezza, sole, remi e tartarughe marine. È il segreto celato dietro i calli dei pescatori e quello che non sanno più esprimere gli sguardi freddi dei soldati. Un’isola che rivela, a chi la cerca, la sua grande certezza: non c’è vicenda né volontà in grado di strappare un germoglio che la sola acqua del mare può far rifiorire.

di Alessandro Robles, marzo 2011