Villa Almerico-Capra detta ‘LA ROTONDA’ – Vicenza
di Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi
Commissionata al Palladio dal Cardinale Paolo Almerico nel 1570, era ancora non completata alla morte dell’architetto avvenuta nel 1580.
Vincenzo Scamozzi realizza il tetto a cupola rotonda, da cui l’appellativo della villa, e la porta a termine nel 1585. E’ uno degli ultimi capolavori del Palladio.
Libero da vincoli e sfruttando mirabilmente le simmetrie e la conformazione della lieve e rotondeggiante altura, egli può esprimere e, allo stesso tempo, concentrare tutte le sue idee.
Una realizzazione dalla simmetria perfetta, senza apparenti lati focali, un’icona della monumentalità.
E’ sicuramente l’opera più famosa del grande genio, anche se, a detta di molti critici, non la più geniale e nemmeno la più bella. Sicuramente non è un edificio particolarmente adatto ad essere abitato, né, tantomeno, a svolgere il ruolo di residenza di campagna di un tipico proprietario terriero nell’epopea veneziana di terraferma, come lo sono quasi tutte le altre dimore (specie quelle non palladiane), dove la villa padronale è punto di riferimento attivo e direttivo delle proprietà terriere.
‘La Rotonda‘ è stata concepita principalmente come prestigioso luogo di rappresentanza e tranquillo rifugio di meditazione e studio per il ricco proprietario.
In questo sta il genio dell’artista: concretizzare le aspirazioni di apparire e stupire, da parte del committente, la sua cultura ed il suo concetto di bellezza assoluta, classicheggiante, in un oggetto – la casa – al tempo stesso simbolo di proprietà intimistica, rifugio privatissimo.
In questo senso ‘la Rotonda‘ è opera compiuta che trascende le sorti del suo primo e, sotto questo aspetto, ‘unico’ proprietario per diventare icona di quella filosofia, quasi una versione ‘privata’ degli ideali rinascimentali.
Al tempo stesso è sunto e testamento dell’artista, che concretizza le esigenze della committenza mescolandole alle sue intuizioni, alla sua genialità, alla sua fantasia, alla sua percezione della classicità.
Tratto da: Magico Veneto
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Villa Capra detta la Rotonda
Nella produzione di Palladio, le ville rappresentano una parte molto importante, per l’alto numero delle opere (una ventina superstiti), per la straordinaria qualità architettonica nella varietà delle strutture compositive e degli schemi distributivi, e infine per l’armonia del rapporto con una committenza, di cui seppe interpretare le esigenze tanto culturali quanto pratiche.
La villa Capra, detta ‘la Rotonda’, sorge all’inizio della Riviera Berica, la strada che esce da Vicenza in direzione sud e conduce a Noventa Vicentina. Questa villa, è stata proprio definita il simbolo e la quintessenza dell’architettura di Palladio:
“forma formata dal paesaggio e formante il paesaggio”
da circa quattro secoli, essa suscita ammirazione presso gli addetti ai lavori e i profani, vanta imitazioni in ogni parte del mondo, e di essa Goethe ha scritto:
“Forse mai l’arte architettonica ha raggiunto
un tal grado di magnificenza”
Il nome di ‘Rotonda’, con cui da sempre è conosciuta, contiene in sè la sua essenza: è fatta per essere vista da ogni lato e per spaziare da essa lo sguardo per un giro di 360 gradi. Perciò, la fronte del tempio viene riproposta su tutte e quattro le facciate del blocco edilizio, che presenta al centro una copertura a cupola, ed in più la sua collocazione su un colle, rappresenta una delle più felici conquiste di Palladio: l’armoniosa integrazione tra civiltà e natura che si esprime nel rapporto continuo tra architettura e paesaggio.
È importante dire che la villa è nata come vero e proprio tempio dell’otium umanistico, espressione del livello culturale e dell’ambizione del committente. In essa rivivono le esperienze archeologiche degli antichi santuari pagani eretti su alture, come quello d’Ercole Vincitore a Tivoli, dai quali Palladio riprende, oltre alla forma accentrata, i simboli stessi dell’architettura sacra, e cioè il pronao e la cupola, ad esaltare in un edificio laico il rango di chi vi abita. In questa villa, vi lavorarono diversi artisti, tra i più affermati del momento.
Circa agli inizi degli anni 70’, si iniziò a lavorare nella decorazione plastica delle stanze d’angolo per la quale l’attribuzione più persuasiva è quella ad Ottavio Ridolfi. Degli stucchi della sala a nord, si occupò Alessandro Vituria, che si differenziò molto dagli altri per l’esuberanza di cartelle, orecchie arricciate, putti, mascheroni, ecc.
Girando attorno alla villa ad ogni lato si ripete la sorpresa del pronao ionico, proteso con l’alta scalinata verso il paesaggio, che ora declina dolcemente verso il fiume e la pianura, ora si inoltra in un folto boschetto e nella valletta detta del Silenzio.
A mio parere, la decorazione dei vani interni, a stucco e ad affresco, nasce da una sorta di disegno unitario, tanto da rendere plausibile una partecipazione del Palladio alla sua ideazione. Sicuramente molto raffinate sono le grottesche dipinte sul fondo nero della sala ad oriente, che accompagnano la fascia a stucco, al centro della quale sono affrescate quattro allegorie femminili che attorniano la rappresentazione della Virtù che trionfa sul Vizio, attribuita ad Anselmo Canera. Inoltre, una caratteristica importante da ricordare della Villa, è rappresentata dalla figura bianca con un serpente, presente tra gli stucchi del soffitto, che si morde la coda, simbolo dell’eternità, assieme alle tre Grazie, mentre attorno si dispongono sei tondi con le arti e due rettangoli con Minerva e Vulcano.
di Popolla Fabiana, 2001
Le Ville Venete