La luce della luna

Un uomo della Terra va a trovare il Sole.
“Come vanno le cose laggiù?” gli chiede il grande astro.
“Bene, mio Signore, tutti ti adorano.”
“Tutti? Davvero?”
“Be’, Signore … c’è una donna, solo una bellissima donna che non si rivolge mai a te con devozione.”
“E chi è?”
“Si chiama Notte.”
Il sole è incuriosito.
“E dove sta questa donna?”
“In India, mio Signore”, dice l’uomo.
Il Sole allora corre in India. Ma la donna, sapendo che lui sta per arrivare, scappa via, nell’altra parte del mondo. Il Sole la rincorre, ma lei è già tornata in India. Il Sole va in India, ma lei … Ed è così che il Sole continua ancor oggi a inseguire quella bella donna senza raggiungerla mai.

 


Foto personale

Ero matto, io? No. Ero solo vecchio, senza più obblighi, e volevo essere quel che ho sempre voluto essere: esploratore.
Non più del mondo esterno – più o meno quello l’ho conosciuto –, ma del mondo che da sempre i saggi di tutte le culture dicono essere dentro ognuno di noi.
L’uomo moderno pensa sempre meno a quel mondo. Non ne ha il tempo. Spesso non ne ha l’occasione. La vita che facciamo, specie nelle città, non ci fa più pensare in grande, presi come siamo a correre in continuazione dietro a un qualche dettaglio, a una qualche piccolezza che ci fa perdere il senso del tutto.
Me ne ero accorto, alla fine, nel mio stesso mestiere. Dovevo raccontare le guerre, ma non chiedermi perché, con tutto il progresso di cui l’uomo si vanta, le guerre sono ancora così parte della sua esistenza e perché, quanto più civili e progrediti sono i paesi, tanto più investono enormi capitali per studiare nuove armi capaci di uccidere sempre meglio e di più.
E poi, fino ad alcuni anni fa, raccontare una guerra poteva servire, la gente si ribellava; un massacro commuoveva ancora. Oggi anche raccontare non serve più. Ogni giorno ci sono nuove storie di massacri, ingiustizie, torture, ma ci si fa appena caso. Siamo sopraffatti. Pensiamo di non poterci fare nulla e così tutti diventiamo sempre più complici del più semplice dei crimini: l’indifferenza.

Nessuno ha più risposte che contano, perché nessuno pone più le domande giuste. Tanto meno la scienza, che in Occidente è stata asservita ai grandi interessi economici e messa sull’altare al posto della religione. Così è lei stessa diventata «l’oppio dei popoli», con quella sua falsa pretesa di saper prima o poi risolvere tutti i problemi. La scienza è arrivata a clonare la vita, ma non a dirci che cos’è la vita. La medicina è riuscita a rimandare la morte, ma non a dirci che cosa succede dopo la morte. O sappiamo forse davvero che cosa permette ai nostri occhi di vedere e alla nostra mente di pensare?
Eppure, grazie alla grande fiducia che abbiamo nella scienza, diamo ormai tutto per scontato. Si crede di sapere e non si sa. Ci si accontenta dunque di non sapere, convinti che presto si saprà. Qualcuno se ne sta certo occupando! La popolazione aumenta, esaurendo le risorse della Terra, l’acqua innanzitutto? Sicuramente la scienza risolverà anche questo problema. Milioni di esseri umani patiscono la fame in gran parte del mondo? Rimettiamoci alla modificazione genetica di certi semi che presto produrranno raccolti miracolosi e magari anche… nuovi tipi di cancro.

Viviamo come se questo fosse il solo dei mondi possibili, un mondo che promette sempre una qualche felicità. Una felicità a cui ci avvicineremo con un progresso fatto sostanzialmente di più istruzione (che istruzione!), più benessere, e ovviamente più scienza. Alla fine dei conti tutto sembra ridursi a un problema di organizzazione, di efficienza. Che illusione! Ma è così che ci siamo tarpati le ali della fantasia, che abbiamo messo il bavaglio al cuore, che abbiamo ridotto tutto il mondo al solo mondo dei sensi, con questo negandoci l’altra metà.
Per i saggi, specie quelli indiani, il mondo visibile non è mai stato l’intera realtà, ma solo una parte. E nemmeno la parte più importante, dal momento che è mutevole e sempre in balìa del distruttivo scorrere del tempo.
Eppure, a volte basta poco per rendersi conto anche del resto. Tagore, il grande poeta bengalese, lo dice con una semplice similitudine. Una sera è a bordo di una casa galleggiante sul Gange e al lume di candela legge un saggio di Benedetto Croce. Il vento fa spegnere la fiamma e improvvisamente la stanza è invasa dalla luce della luna.
E Tagore scrive:

La bellezza era tutta attorno a me,
Ma il lume dì una candela ci separava.
Quella piccola luce impediva
Alla bella, grande luce della luna di raggiungermi.

di Tiziano Terzani

Tratto da Un altro giro di giostra – Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo, 2004

 

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