Marlene Dietrich. L’angelo azzurro

“A qualunque donna piacerebbe essere fedele.
Difficile è trovare un uomo a cui esserlo.”

“Molte donne si propongono di cambiare un uomo,
ma quando l’hanno cambiato non lo trovano più attraente.”

Marlene Dietrich

 

Pensieri notturni di Marlene Dietrich

di Franz Krauspenhaar
7 dicembre 2006

Pensieri notturni di Marlene, ormai ritirata a Parigi
isolamento per quella stanchezza
da luci della ribalta
annotando, negli anni del ritiro, nelle lunghe notti
quando la vita appare – più netta e formata
proprio da quelle ombre che disegnano
quella chiarezza in paradosso che
il prosaico giorno no, non riesce a dare.

Marlene, armata di penna, di carta da lettere
o della vecchia macchina da scrivere Hermes
regalo di Noel Coward –
uno dei tanti amori –
non riuscendo a dormire, nonostante
l’aiuto chimico delle pillole
lascia sfuggire dalla sua insonnia inquieta
pensieri, considerazioni, abbozzi di poesie,
brevi ritratti.

E il libro è proprio questo diario del ricordo
spezzettato e svariato –
senza segnalazioni di giorni, e nemmeno di anni –
di una grande donna di spettacolo
colei che sfuggì alle sirene
del regime nazista del quale avrebbe potuto essere
la cantrice –
immaginifica e carnale
come Leni Riefenstahl
ne fu invece e in effetti
la cantrice –
in cabina di regia.

Si può sfogliare ma anche vedere, carrellandolo
come in un documentario in bianco e nero
il libro.

Perché accanto a parole famose
vi sono le foto di questa gente da sola
(e con apposita dedica alla diva)
e di questi assieme a lei.

Una carrellata da leggere e scrutare
con curiosità, malinconia.

Maurice Chevalier, frasi che descrivono il suo tramonto
tra le quali viveva sconsolato a Parigi,
nella sconsolata solitudine, senz’amore
refrain di tristi passeggiate
sul viale del tramonto
dei divi hollywoodiani.

Jean Gabin, scrive tra l’altro
il suo potere non proveniva soltanto
dal magnetismo sessuale,
attirava l’amore del cuore
come una calamita attira il metallo.
Però alla fine aggiunge
ma nel profondo
era un uomo
disperatamente triste.
Jean Cocteau, aveva migliori argomenti di cui discutere
non la letteratura
Giacometti, parlandole della sua solitudine d’artista
la fa piangere nei bistrot parigini
calde lacrime.

Edith Piaf, in quel fragile corpo viveva
una forza gigantesca
,
l’affetto e il rispetto per Gilbert Bécaud
l’adorazione per Barisnikov
sul compositore Burt Bacharach dice
ciò che non sapevo
è che sarebbe diventato
l’uomo
più importante
della mia vita
(fu il musicista che le insegnò a cantare
da star del palcoscenico
non più soltanto
da cantante di nightclub
affinandole – quella voce
già inconfondibile
fino a farla diventare
un’icona sonora.)

E ancora Billy Wilder
personificazione dell’allegria
e Fritz Lang, che tanto odiava
(so/che hai/buone intenzioni/
ma/avere/buone intenzioni/
è una/misera scusa/che sborsi/
per/aver/maltrattato/
le povere vittime/
delle tue/
cosiddette/
benintenzionate/
scuse);

Simone Signoret, che sopportava
il tradimento
e l’infedeltà
come una santa;
e Maria Riva, la figlia, alla quale sono dedicate
la maggior parte delle poesie;
e poi altri grandi scrittori
come Hemingway
Erich Maria Remarque, facile da amare
Noel Coward
(avevamo un rapporto
raro e prezioso)
fino a Rainer Maria Rilke
di cui la diva però scrive
da semplice
appassionata lettrice
il poeta che ha cambiato tutta la mia vita
annota, concludendo
così non l’ho mai incontrato. Oggi ne sono felice.
sarei morta dall’emozione.

Un libro senza pretese di letterarietà
ma incisivo documento parziale e intimo
di una vita
e di una lunga epoca –
semplici abbozzi di poesie e pensieri –
a volte acuti e affilati –
che se non fossero stati scritti
dall’ “angelo azzurro”
avrebbero avuto ben altro significato;
ma proprio per il fatto che fu lei a scriverli
come note di pensieri sparsi
appuntati sulla carta e rivolti
(come in una preghiera laica)
a quelle persone che aveva amato
e dalle quali era stata amata
ecco che queste parole
non possono che assumere una vitalità in rilievo
che inevitabilmente si confonde
con l’idea della diva che ci è arrivata
attraverso le sue pellicole e le sue canzoni.

Perché sfogliando e leggendo queste note
e guardando le foto, tutte in bianco e nero
di questo libro di memorie a sketches
sembra di assistere alla sua doppia vita
che in fondo è la doppia vita che è dentro
ciascuno di noi
vale a dire quella pubblica
e quella privata.

In un personaggio però come la Dietrich
la doppia vita quasi in paradosso
ridiventa in questo caso una;
perché i suoi pensieri della notte sono rivolti
ad altre persone famose
ad artisti, ai “semidei” dell’immaginario popolare
a personaggi pubblici senza scampo;
e dunque, in un qualche modo sottile ancorché
impreciso – ma fatale
il cerchio si chiude – quasi come fosse una morsa
perché dalla gabbia del divismo
non è possibile uscire.

Una gabbia pubblica, quella della Dietrich
che poteva essere forzata
soltanto entrando
in una gabbia privata
poiché restare in equilibrio
sul più precario dei piedistalli
– quello della celebrità,
come scrive la riva nella prefazione
è un ‘operazione di illusionismo;
nel senso che, per resistere in quella precarietà
vissuta anche in età matura – quando il sipario
è ormai per sempre calato –
l’unica chance può essere forse quella
che scelse proprio la grande attrice.
cioè rimpicciolirsi, nel privato
fino a sparire – nell’ultimo gioco di illusionismo –
fino a diventare – soltanto –
una reduce
di se stessa
che scriveva di notte
abbozzi di poesie
e pensieri
su quel passato
che aveva vissuto
senza dimenticarsi, soprattutto
di quello che avrebbe voluto
vivere in più
come tutti
e che quindi anche per lei –
nonostante la sua esistenza
di straordinaria
generatrice d’immaginario –
rimase
soltanto
un sogno.

(Rielaborazione di una recensione di un libro di MD apparsa su “Stilos” di Franz Krauspenhaar)

 

Marlene Dietrich (1901-1992) è stata un’attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense.

Benchè fossi piccolina, ricordo bene il forte impatto che aveva la sua immagine, un misto di femminile e maschile che te la faceva percepire come una donna forte, determinata, affascinante e seducente, ma allo stesso tempo trasmetteva una freddezza che un po’ intimoriva. Mi è rimasta impressa la sua immagine sempre tra una luce soffusa, tipica nei film in bianco e nero di allora. Una vera star che entrò nella fantasia di molti uomini e anche delle donne, dava un’immagine femminile provocante e trasgressiva, spavalda e ambigua, fumando e vestendo anche abiti maschili nei suoi film. Come molti divi holliwoodiani, però, la sua vita non era rose e fiori e come spesso accadeva la maschera da diva non si conciliava bene con la vera identità e la propria vita privata.
Pur essendo molto legata alle sue origini rifiutò il nazismo e le guerre in genere, visse il dramma di essere considerata da una parte un’eroina e dall’altra una traditrice. Durante la seconda guerra mondiale con la sua interpretazione di “Lili Marlene”, in origine un poemetto tedesco a carattere antibellico scritto durante la prima guerra mondiale e divenuta in seguito una canzone militaresca per intrattenere i soldati, diventa la canzone di tutti i soldati di ogni fronte, indistintamente. Oltre a innumerevoli versioni, la canzone viene citata anche in film e opere letterarie.

Leda

Non credo che abbiamo un “diritto” alla felicità.
Se la felicità accade, le diciamo grazie

Marlene Dietrich

 

Interessanti alcuni commenti all’articolo:

Non amò solo uomini, era dichiaratamente bisessuale. Convisse con una amica dopo la separazione dal suo unico marito, questo fece scandalo e fu motivo d’angoscia per lei, causa di pettegolezzi e di parziale interdizione dal suo ambiente pubblico/mondano.
Morì alcolizzata, drogata, sola, sì… ma splendida per la sua coerenza e per non avere insistito riproponendo noiosi lifting di se stessa.
Una diva umana, un’umana diva.
Una grande.

di cara polvere

Una persona misteriosa, mi ricordo della sua interpretazione di realismo post nazista nel film sul processo di Norimberga, recitò proprio quello che non era stata, e me la ricordo in divisa da ausiliaria fra i soldati americani in Corea, e in tante altre occasioni in cui ci consentì di conoscere la non diva, come questo ricordo affettuoso.

di Franz

In fondo chissenefrega se era bisex o una virago o una donna più fragile di quello che appariva nei suoi personaggi, quando una vita è conclusa si può vedere anche che sofferenza e dolore hanno avuto un posto necessario a comporre quella persona, a scavarne le sue qualità più importanti, il resto sono fotogrammi, sogni, quelli sono per noi spettatori e possiamo nutrirli anche con queste ombre più vere.

di rififi

Lili Marlene si può definire la più celebre canzone nella e contro la guerra. Il soldato che pensa al suo amore è un tema universale e Lale Andersen ne spiegò il successo planetario con queste parole: “Il vento può forse spiegare perché diventa una tempesta?”
Il testo originale proviene da un testo poetico scritto da un soldato tedesco prima di partire per il fronte nel 1915 ed era nato con intenzioni antibelliche. Una volta musicati i versi della ragazza sotto il fanale questi sono diventati l’inno non ufficiale dei ragazzi che andavano a morire durante la seconda guerra mondiale.
Il famigerato dottor Goebbels non amava affatto la canzone ritenendola una canzone disfattista che ricordava ai soldati un amore lasciato a casa invece dell’ardore guerriero. Insomma non gli sconfifferava che i giovani tedeschi la canticchiassero con le lacrime agli occhi mentre andavano a crepare per la grandezza del terzo fottutissimo Reich. La canzone venne proibita e ciò ne accrebbe la popolarità così che divenne la canzone più nota e preferita dei soldati di entrambi gli schieramenti. Ancora una volta una canzone univa – si fa per dire – innumerevoli persone che stavano combattendosi all’ultimo sangue. L’esule Maria Magdalena in arte Marlene l’interpretò magistralmente scalando i record di vendita. E – guarda un po’ – nel 1968 era considerata una delle canzoni di protesta più gettonate.
Per rimanere in tema, indimenticabile Dietrich ne l’angelo azzurro.

di Lady Lazarus

Antibellica nel senso stretto del termine non mi pare, però. Non la equiparerei a Bella ciao, insomma. Lili Marlen è innanzitutto una canzone triste e malinconica. La canzone del soldato triste. In questo senso è antibellica, ma non è militante. Non c’è orgoglio, c’è soprattutto bisogno di andare via, di libertà, di vita. E’ antibellica perché è una canzone d’amore. E’ vero però che gli alti comandi nazisti la ritenevano dannosa per lo spirito dei soldati, tanto che Lala Andersen finì in un campo di concentramento. (Salvandosi).

Una notarella anche su Marlene Dietrich. Donna senza dubbio “avanti”, dopo la guerra venne però accusata di tradimento dai tedeschi. Con spirito prussiano non le perdonarono di essersene andata via invece che restare e subire. Ancora, nel ’92, quand’è morta, l’amministrazione non consentì una commemorazione pubblica e in seguito la sua tomba a Schoeneberg è stata più volte profanata. Oggi vicino a Potsdamer str. di Berlino c’è una piazzetta intitolata a lei. Si è potuta fare perché la piazza sorge dove prima c’era il muro. A Berlino la legge impedisce di cambiare il nome a una via senza il consenso del popolo, il quale si opponeva. Ora hanno potuto farla perché dove sorgeva il muro evidentemente non c’era nulla. La piazza devo dire che secondo me è più che bella: è spettacolare.

Federica

Famous Blue Raincoat – Leonard Cohen (1971)

 

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