Eufemismi e sinonimi – condivisioni in libertà

Nella vita ho capito l’importanza dell’espressione, intendo dire l’importanza della possibilità e/o capacità di esprimersi, un canale non trovato è l’anticamera di un disagio o disturbo psichico, perché prima o poi quel che abbiamo si esprime o in forma positiva o, purtroppo, in modo distruttivo.
Chi ha ricevuto un’educazione borghese può avere molta difficoltà a capire certe cose, o forse non tanto. Essendo proprio quell’educazione ben pensante la causa socio-antropologica del disagio: la formalità è la malattia dell’anima libera.
Quando si attraversa un periodo difficile, chi si è sempre messo in discussione fino all’estremo, chi sente di avere comunque carenze affettive originarie, e chi vive in continuo stato d’assedio, trova, a volte, sfogo nel lato oscuro del proprio io. L’anima si ribella, ma prima di ribellarsi al mondo si ribella a se stessa, si apre un periodo in cui si tende a farsi del male e purtroppo questa tendenza arriva anche a concretizzarsi. Il lato oscuro di sé vuole evasione. Gli alcolici, le droghe, la musica ad alto volume sparata attraverso gli auricolari, ma anche le discoteche, oppure la politica quando diventa fanatismo, tutto questo è sintomo di non senso, è il chiaro sintomo dell’emotività in crisi.
In Italia, noi ragazzi, siamo cresciuti con i cartoni animati giapponesi e i film di Walt Disney dove la femmina aspetta il principe azzurro e il maschio è colui che non deve chiedere mai, e tutto questo l’abbiamo ricevuto soprattutto attraverso Santa Televisione, la televisione commerciale che ci ha ben educati ad essere sempre sorridenti e vincenti, sempre perfetti per ogni occasione, sempre col vestito giusto e la battuta pronta; l’uomo che sussurra, l’indecisione, le domande, sono elementi, questi, che risultano, in questo mondo così concepito, perdenti, inadeguati. Il dolore, l’insicurezza, l’introversione, come le gioie più pure, i sentimenti ecc. sono gli elementi dell’anima quasi diventati un disturbo, l’imprevisto indesiderato, o “l’ospite inquietante”.
Andarci a nozze col lato oscuro, con la depressione, andare a cena col mostro, direbbe Giorgio Nardone, per affrontare il sé più intimo che non sempre ci porta la buona novella, sembra adesso la via giusta: l’io autentico non conosce sovrastrutture borghesi, perché semplicemente è.
Noi ci stupiamo facilmente, facilmente qualcosa diventa fonte di scandalo, lo stupore è la scintilla che destabilizza l’abitudine. Quando un’abitudine è sempre stata orientata verso una certa direzione è difficile riuscire a cambiare rotta. L’abitudine è la droga naturale della mondanità e, quindi, dei costumi sociali, questi ultimi si cristallizzano, si fanno forma, la parte più evidente di un popolo, di un individuo ecc. e, quando la mente non conosce slanci/sfide, si crede solamente che quella forma è già tutto, che la realtà è quel che si vede semplicemente.
Le anime più pure sono le più ribelli, ribelli nei confronti di quelle sovrastrutture che sono l’illusione di una vita reale, come se fossero queste la totale realizzazione di essa. L’io autentico urla silenziosamente il suo disagio quando è in contatto con le cristallizzazioni che la stessa mente ha creato. Allora mi chiedo: invece di farci soffocare dalle cristallizzazioni, per esplodere poi nelle nevrosi, perché non impariamo ad ascoltare l’io? Perché non ci andiamo a nozze con i suoi disagi, i suoi dolori, le sue gioie autentiche, le sue verità? Perché non tocchiamo il fondo e non concretizziamo quell’educazione emotiva di cui il nostro tempo ne ha un disperato bisogno? Questo è il lavoro collettivo e l’esame di coscienza che ogni gruppo o piccola società di uomini/cittadini organizzati dovrebbe fare e farsi, questo, credo, sia un buon proposito all’alba di questo nuovo decennio.Buona luna nera a tutti!

Pubblicato il 6 gennaio 2010 da cellulaindipendente

Le mie energie sono degenerate in un’inerzia inquieta, non riesco né a stare in ozio né a darmi da fare. Non ho fantasia, né sentimento della natura e i libri mi disgustano. Quando manchiamo a noi stessi tutto ci manca

I dolori del giovane Werther, Johann Wolfgang Goethe

Quando “manchiamo a noi stessi” l’unico modo per risalire è quello di riappropriarci dell’unica cosa che forse ci è permesso “possedere”, sebbene solo in minima parte, e cioè di quel NOI che solo ci rappresenta. Non contano gli errori o il modo in cui l’altro ci vede, non conta ciò che fai o hai fatto, quel che conta specie quando si è in uno stato di isolamento e smarrimento interiore è quella piccola e soffusa luce che ci rappresenta e muove: il nostro sguardo. Spesso le nostre più grandi forze sono in realtà l’immagine distorta delle nostre più innocue debolezze; e quelli che sono i nostri limiti, o meglio la presa di coscienza di essi, non sono altro che il dispiegarsi di una nuova forza. La presa di coscienza vera e reale di se stessi non può se non avvenire nel dolore, o attraverso di esso, quello che conta è riuscire a vivere “attivamente” il proprio dolore.

…Sono sicura che le tue parole ritorneranno a battere come tamburi nella tua testa e a vibrare nel cuore di chi ti Ascolta.

Ti saluto con una poesia che dall’età di 16-17 anni mi accompagna soprattutto nei miei momenti difficili… un caldo abbraccio!

Di asse in asse ho mosso i miei piedi:
un cammino lento e circospetto
le stelle sopra di me sentivo
e il mare intorno.

L’unica certezza, che i centimetri a venire
sarebbero stati gli ultimi –
e questo mi dava quell’andatura vacillante
che alcuni chiamano – Esperienza.

Emily Dickinson (Trad. B. Lanati)

yaza78, on 14 gennaio 2010

Ciao, sono nuovo della rete e di tutto ciò che vi gira intorno…
Vorrei ringraziarvi per le vostre parole, che mi fanno sentire un po’ meno solo in questo brutto momento della mia vita, dove ogni certezza ed ogni entusiasmo hanno lasciato il posto alla tristezza e alla desolazione.
Provo e riprovo, cado, mi rialzo, sprofondo e sento il petto che scoppia e piange, ogni briciolo di vita sembra sparito, e non so dove cercarlo, nella mia mente affiorano solo i ricordi di ciò che è stato vivere con una persona che diceva di amarmi e condivideva con me ogni giorno…
Ora è rimasto solo il vuoto, lei se ne andata senza troppe spiegazioni, io sono rimasto nell’oblio della mia mente a vagare verso una meta che non esiste più, l’unica certezza il baratro oscuro del mio futuro…
Le mie idee mi hanno allontanato da tutto ciò che sono stato educato a credere, a ricercare, a conquistare; le persone amiche che mi appoggiavano ora sono mie nemiche, la mia famiglia come matto mi addita, ed ora l’unica certezza dell’amore che dava forza al mio esistere e divenire si è dissolta nel vento…
Riuscirò a prendere coscienza del mio essere? Riuscirò a vivere attivamente questo dolore? Riuscirò ad ascoltare il mio io interiore?
Credevo di conoscerlo, di viverlo, invece mi accorgo che sono solo un nulla, e la luce del mio vero io è ancora lontana dalla mia vista…
Non so cosa farò, dove andrò, dove arriverò, so soltanto di essere nudo davanti alle mie paure, in balia delle tempeste e privo di ogni difesa…
Prenderò forza dalle vostre parole, grazie, cercherò anch’io di rialzarmi ogni volta e continuare a riprovare, e ancora e ancora…

Tati79, on 16 gennaio 2010

Ciao Tati79,
grazie per il tuo interesse, grazie soprattutto per averci reso partecipi della tua storia, e per avercela raccontata col massimo della spontaneità e fiducia.
Ecco in te già qualcosa da cui poter partire: la fiducia nell’altro, cosa che mi sembra tu non abbia perso… Perché, anche se siamo qui dietro uno schermo ed una tastiera, anche se forse mai ci vedremo e ci conosceremo, dietro queste parole che viaggiano in una dimensione virtuale, in un “non luogo”…queste parole sono parole concrete, vite concrete che si muovono su di un circuito capace di renderci vicini anche là dove tutto sembra scomparire, anche nella solitudine più profonda.
Il cambiamento spaventa, sia quello di noi stessi, sia quello degli altri. Capire e cogliere il cambiamento in qualcosa o qualcuno implica necessariamente un mutamento in noi stessi; siamo in continuo movimento, il movimento è l’essenza stessa di ciò che vive, la maggior parte dei nostri mutamenti sono lenti, e per tale ragione quasi impercettibili, ma quando essi ci travolgono e tutto cambia, il nostro baricentro si perde e con esso sembriamo perdere noi stessi. La tua ragazza ti ha lasciato, come tu stesso affermi, con non molte spiegazioni, ti sei perciò trovato solo, perso, perché l’amavi e quando si ama davvero una persona e ci si affida completamente ad essa… e quella stessa persona ci lascia, ci abbandona, il mondo crolla e tutto intorno a noi sembra perdere di senso. Certo, se ti avesse dato anche più di mille spiegazioni, se avesse aspettato che tu capissi le sue ragioni, forse il dolore sarebbe stato lo stesso, ma le non risposte da chi più abbiamo amato sono delle volte un dolore ben più grande. Il tuo dolore è quindi più che comprensibile. Poi c’è chi ci circonda, che abituato a vederci secondo determinati schemi, vedendoci mutare, si spaventa… e sopraggiunge il giudizio affrettato, che tu vivi con ancora più ansia, perché sei in un momento di estrema fragilità. Quando conosciamo qualcuno e lo viviamo, umanamente siamo portati a creare di questa persona un’immagine di essa che difficilmente cambieremo, è cosa umana perché siamo portati, per necessità e sopravvivenza a cercare conferme e punti fissi, e nulla è più fisso dell’abitudine e dell’abitudine dell’altro. Quando veniamo al mondo siamo privi di qualsiasi forma di difesa, fisica ed emotiva, nasciamo privi di pelle e costruiamo la nostra impalcatura e la nostra essenza a partire dagli stimoli esterni, delle piccole e poi grandi difficoltà che incontriamo, per il bambino tutto è scoperta, tutto è pericolo ed avventura. Nulla ha di certo, ed egli stesso è un’incertezza costante. Nasciamo certamente con predisposizioni innate, con una nostra personale indole e nostre specifiche caratteristiche.. ma ciò che noi definiamo “carattere” è ciò che si costruisce nel tempo, nelle risposte che noi diamo continuamente agli stimoli esterni ed interni, la famiglia, la società, i libri, la gente che incontriamo, la nostra solitudine… tutto ci forgia. Apparteniamo a noi stessi più e meno di quel che pensiamo. Ci creiamo (o spesso ci creano) traguardi fissi: il lavoro, la famiglia, il successo… che però di fatto non esistono, perché tutto è crescita. Ora ti senti perso, “senza pelle” perché si è avviato in te un cambiamento per certi versi “forzato”, che tu stesso percepisci, e nulla è più doloroso del perdere di vista se stessi. Ma datti del tempo, e dallo anche a chi ti circonda… dai a te stesso fiducia ed amore, perché nulla ci è più caro della nostra stessa essenza. Se chi ti circonda non capirà, guarda oltre, dietro l’angolo c’è sempre una nuova scoperta. E non smettere mai di guardare al “possibile”. Siamo umani, ed umanamente sbagliamo, se la donna che amavi ti ha ferito non significa che tutti o tutte ti feriranno… segui il tuo percorso e vedrai che ritroverai te stesso e il tuo “progetto di vita” che mai potrebbe abbandonarti. Se fossimo capaci di vederci anche ad un solo metro di distanza forse capiremmo tante cose che il nostro sguardo non è in grado di cogliere, ma c’è sempre l’altro entro cui poterci specchiare, e in quel doppio riflesso ridisegnare noi stessi. Questo è il mio piccolo consiglio, per te e la tua storia, che per la spontaneità e verità che rappresenta mi ha molto colpita.

yaza78, on 16 gennaio 2010

Ciao…
mentre leggo le tue parole scendono calde lacrime sul mio viso, e la gratitudine per esse difficilmente potrei esprimerla a parole… nel contesto in cui vivo sono tesori di conforto che raramente o forse mai ho ricevuto… Grazie…
Questa notte (ieri), dopo una settimana sono riuscito a dormire bene, ma al risveglio la tenaglia famelica del ricordo, ha intrappolato il cuore in una morsa struggente che mi ha accompagnato per tutta la giornata (non sono ancora andato a dormire)…
Trovo conforto solo nello scrivere, nel parlare egoisticamente di me e delle mie debolezze.
Non so se in me esista la fiducia o sia soltanto disperazione, mi sento solo patetico e piagnone, questa esperienza ha cancellato ogni mia difesa, ogni argine di sicurezza, mettendomi davanti ad uno specchio a chiedermi chi sono…
Non ho più età, e neanche la maturità che dovrei avere; in me ora esiste solo fragilità.
Sono nudo davanti ad una piazza di gente che mi guarda e ride, me ne vergogno, provo a parlare, a spiegare, ma loro ridono ancora più forte… sono solo il rifiuto di me stesso…
Mi sento come un bambino che urla e piange in attesa di qualcuno che esaudisca i suoi capricci, consapevole o no che l’aiuto deve ricercarlo dentro di sè e, come mi consigli, nel riflesso dell’altro…
La mia integrità, se mai è esistita, è svanita nel buio della mia anima…
Fischia forte il vento, e la pioggia accarezza il mio volto come violenti pugni, sento il sapore ferroso del sangue, che vorrei uscisse tutto, regalandomi la pace, ma non lo farà, il suo colpire è lento e inesorabile…
Il dolore è diventato il mio compagno di viaggio, unico e solo, lo sento che mi chiama, mi invita, sa che la cura ancora vacilla nelle tenebre, e inesorabile accompagna la mia corsa verso l’ignoto…
Forse qualche spiraglio di luce è passato, ma era troppo veloce per afferrarlo, ma so che c’è, l’ho visto, anche se è un qualcosa che non so, che esula dal controllo della mia mente, forse una nuova esperienza…

Trovarla sarà un gioco crudele, ma forse necessario, per imparare un po’ di più del significato della vita…
Ancora Grazie………..

Tati79, on 17 gennaio 2010

Dal blog: kultura Indipendente

 


Kiss The Rain – Billie Myers (1997)

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