La sostenibile leggerezza del pop
Nel 1996 durante la festa delle matricole all’University College di Londra, l’allora diciassettenne Chris Martin, nato a Londra ma cresciuto a Mold (Galles settentrionale), conosce il timido Jon Buckland. Tra una battuta e l’altra salta fuori la comune passione: entrambi hanno cominciato ad amare la musica fin dalla più tenera età: Chris Martin formò il suo primo gruppo ad appena undici anni, quando all’epoca già ascoltava autori maiuscoli come Bob Dylan, Neil Young, Leonard Cohen, Nick Drake, Tom Waits, Flaming Lips. Cominciano a fantasticare di una possibile band da formare, che dopo l’ingresso nel gruppo di Guy Berryman comincia di fatto a prendere forma.
Le fonti di ispirazione sono note: Beatles e Radiohead su tutti (Martin dichiarerà più volte che l’ascolto di “The Bends” dei Radiohead ha influenzato non poco il suo modo di intendere la musica, nonché l’idea portante dell’arte che avrebbe presto voluto realizzare).
Il sound, seppur ancora da modellare, vira verso quell’intimismo melodico che caratterizzerà il primo album dei Coldplay. Il progetto è lì bello e fatto, ma manca un dettaglio non da poco: un batterista. Il giovane polistrumentista Will Champion si immerge fin da subito nelle sonorità che lo aspettano, impiegando più o meno tre mesi per ergersi a drummer fisso della band. Chris è il cantante e si occupa occasionalmente del pianoforte, Jon al basso, Guy alla chitarra, Will alla batteria.
Nascono così i Coldplay: quattro giovani ragazzi, ognuno nato in una diversa città inglese, ognuno iscritto a un corso di studi differenti. E il College londinese a fare da iniziatico epicentro di una storia destinata a regalare loro fama e gloria.
Sono del 1998 le prime registrazioni in assoluto dei Coldplay e “Safety” è il loro primo EP. il lato acustico nella commovente “Such A Rush” mette subito in evidenza le grandi doti vocali di Chris Martin.
Secondo molti “The Blue Room“, il loro secondo EP, è il capolavoro dei Coldplay, non solo perché vengono riprese “Bigger Stronger” e “Such A Rush”, due delle più belle canzoni mai scritte dal gruppo londinese, ma soprattutto per l’atmosfera incredibile che si respira in tutto l’Ep: l’attacco con “Don’t Panic” è talmente suggestivo che verrà ripreso anche in Parachutes (con una versione diversa del brano); “See You Soon” mostra per la prima volta la nuda bellezza della voce di Chris Martin, che, accompagnato da una chitarra acustica, saprebbe emozionare leggendo anche solo l’elenco del telefono, figuriamoci quando canta i suoi versi.
Ma sarà il singolo “Yellow” a far conoscere il nome dei Coldplay a mezzo mondo, arrivando fino al primo posto in Gran Bretagna ed entrando in classifica anche in America; “Yellow” è la canzone che consacra i Coldplay come miglior band emergente dell’anno.
Il videoclip di “Yellow” può essere un ottimo testimone per condensare la poetica dei Coldplay. Realizzato con un unico piano sequenza, altro non mostra che Chris Martin, che cantando la canzone cammina sulla spiaggia. Indossa un K-Way e ha i capelli bagnati, da ciò si deduce che ha appena finito di piovere. Intorno a lui un suggestivo effetto del paesaggio marino che passa dalla notte (all’inizio del video) e giunge all’alba (alla fine). Tra i primi bagliori dell’alba è facile trovare l’arte dei Coldplay, quella fatta “delle piccole cose che sanno rendere indimenticabile una giornata se non una vita intera”.
Più che al colore giallo vien da pensare a qualcosa di più profondo, come all’attesa dei raggi dorati del sole che donano calore e consolazione, soprattutto quando ci si trova sotto la pioggia ossia si vive un momento di grande difficoltà emotiva. Dorato è anche l’oro, ma quello non abbraccia e non consola; come i farmaci, che provocano dipendenza: Yellow-Jackets in gergo sono detti i barbiturici che agiscono sul sistema nervoso centrale e determinano effetti come la sedazione o l’anestesia.
Solo il provare amore per qualcuno, per qualcosa, per se stessi, per la natura, per l’umanità, inteso in senso generale… ciò che importa è provare amore e tutto assume un altro colore, dal buio si ritorna alla luce.
A detta di Chris Martin per la prima versione del brano si è fortemente ispirato dalla musica di Neil Young, forse dal brano Silver&Gold del 2000.
“Non m’importa se il sole non splende
E la pioggia diluvia su di me e sui miei cari
Perché il nostro genere di amore non sembra invecchiare mai
È meglio dell’argento e dell’oro”
Neil Young nei primi anni 70 dopo un notevole successo visse un periodo di forte crisi sia sul piano personale sia relativamente a persone a lui vicine, tanto che gli album prodotti in quel periodo sono collettivamente indicati come la Trilogia Oscura (o del Dolore) nei quali egli espresse tutto se stesso.
Tecnicamente il video è formato da una sola scena in presa diretta senza tagli ed è stato girato a 50 frame per secondo, il doppio della velocità normale. Al momento di girare, quindi, Martin dovette cantare il brano a velocità doppia (stratagemma usato anche in parte del video di Fix You) in modo che rallentando il video il parlato si sincronizzasse alla musica, dando l’effetto di una persona molto provata.
Pochi giorni dopo il singolo, esce in Gran Bretagna il primo album prodotto in studio: “Parachutes” (2000) che già in estate raggiunge il primo posto in classifica. La meravigliosa ipnosi di “Yellow”, l’esplosione contagiosa di “Shiver” e la freschezza melodica di “Trouble” fanno di Parachutes il caso nazionale dell’anno. Anche “Don’t Panic” diventa singolo, mentre l’album viaggia nelle zone alte delle classifiche di mezzo mondo.
Quando è possibile, i Coldplay giocano di sottrazione, creando melodie spesso tanto semplici quanto dirette ed efficaci, fatte di pochi ma decisivi ingredienti, che riescono però a partorire una scaletta pressoché priva di punti deboli. A fare la differenza, oltre all’ingranaggio inappuntabile di giovani musicisti che sembrano trovarsi ormai a memoria, è la voce di Chris Martin, a suo agio tanto con le note dolenti di “Trouble” quanto con quelle dal respiro solare presenti soprattutto da A Rush Of Blood To The Head in poi. Per non parlare del noto falsetto qui ben temperato. Gli echi e riverberi della chitarre si fondono con la voce di Chris in atmosfere talvolta acustiche, quasi prevalentemente poggiate su testi tanto semplici quanto tristi.
La versione originale del video per Inghilterra/Europa di Trouble è stata diretta da Sophie Muller. Il video rappresenta Chris Martin, leader della band, prigioniero nell’oscurità, è caduto nella trappola tesagli e si rammarica se ha causato dei guai, se ha fatto del male.
Nella Storia d’Irlanda The Troubles, sono così chiamati i trent’anni del Conflitto Nordirlandese che causò moltissime vittime. Se non erro, nel video appare per un attimo il viso di Daniel Day-Lewis nella parte di Gerry Conlon del film “Nel nome del padre” di Jim Sheridan.
Nell’ottobre 2001 è uscita una nuova versione del video per il pubblico americano in cui compariva l’intera band. Questa nuova versione, diretta da Tim Hope, riprende l’idea del video di Don’t Panic mostrando la band come cartonati bi-dimensionali. Tutto pullula di vita perchè Madre Natura si prende cura degli esseri viventi, l’uomo ne fà solamente parte ma invece si sente il padrone e presuntuoso vuol dominarla. Così al suo passaggio (rappresentato dal carro con la band) scende l’oscurità e tutto si distrugge.
Solo sentendoci ognuno parte dell’insieme, e riportando i colori e il rispetto per la natura nella nostra vita quotidiana si può ritrovare la bellezza e l’armonia.
Il video si è aggiudicato un MTV Video Music Award per la miglior direzione artistica nel 2002. Ha anche ricevuto una nomination per MTV Video Music Award come video più originale.
Sofferenza, mancanza di appigli, lacrime per occasioni perdute, ma con quel briciolo di speranza a far da capolino per rendere il tutto qualcosa di diverso da una crisi depressiva. Semmai il contrario: Parachutes sembra quasi fatto per cospargersi di quella tristezza necessaria per superare stati d’animo depressivi, la classica ultima pioggia prima di una memorabile alba. E restano le canzoni: melodie che sembrano fatte apposta per legarsi ognuna ad eventi della propria vita.
Parachutes è un album di bellissime canzoni, dunque, destinate a rimanere. E non può mai essere poco.
Il video musicale di Don’t Panic è stato diretto da Tim Hope. Inizia con un diagramma animato del ciclo dell’acqua, poi ritrae la band come ritagli di carta bidimensionali che sta facendo delle faccende domestiche in una bella e grande casa. “E viviamo in un magnifico mondo” dice il testo, si continua a produrre, si sfruttano le risorse, ma basta poco per perdere tutto: inondazioni, eruzioni vulcaniche, scariche elettriche nell’aria, fattori incontrollabili per l’uomo e possono distruggere tutto, anche il pianeta Terra ed è inutile scappare, darsi per vinti, ma piuttosto occorre sperare.
Vi è un richiamo al racconto biblico dell’Arca di Noè costruita su indicazione divina per sfuggire al Diluvio universale, e salvare la specie umana e gli altri esseri viventi. Nella Mitologia si parla di una grande inondazione mandata da una o più divinità per distruggere la civiltà corrotta come atto di punizione divina. Cessata la pioggia e il vento, al ritirarsi delle acque, l’Arca si arenò sul monte Ararat in territorio mesopotamico, e soltanto dopo che una colomba ritornò all’arca portando nel becco un ramoscello d’ulivo, Dio ordinò a Noè di scendere dall’arca mentre nel cielo apparve uno sfolgorante arcobaleno, segno della nuova alleanza tra Dio e gli uomini.
È un tema ricorrente in più culture, molto diverse fra loro, e forse riguarda un’antica catastrofe che, magari ingigantita e mitizzata, è giunta fino a noi, dapprima tramite la tradizione orale, poi grazie agli scritti antichi.
Tutto il 2001 i Coldplay lo passano in giro per il mondo suonando dal vivo, e con l’occasione presentando ogni tanto anche alcune nuove canzoni.
Per le registrazioni in studio del secondo album, il gruppo lo vuole realizzare con tutte le attenzioni del caso, come se fosse l’ultimo della loro carriera. Da qui nasce la decisione di tornare a Liverpool e di ri-registrare parte dell’album già quasi completato. Non solo a Liverpool i Coldplay danno una veste più aggressiva ai pezzi registrati a Londra – ritenuti troppo deboli – ma in poche settimane ne scrivono addirittura di nuovi, tra i quali “Daylight“, “A Whisper” e il capolavoro “The Scientist”.
Parte del merito di questo metodo di lavoro veloce è dovuto alla presenza in studio di Ian McCulloch, deus ex-machina degli Echo & The Bunnymen, gruppo talmente amato da Chris Martin e soci da essere spesso omaggiato dal vivo con alcune cover: sarà lo stesso Chris ad ammettere che i consigli di Ian hanno spesso risolto questioni che altrimenti avrebbero fatto perdere molto più tempo. La band ringrazierà incidendo ben due brani nel successivo lavoro di McCulloch, “Slideling”.
Il video musicale di “The Scientist” (Lo scienziato) è stato girato completamente al contrario, Martin infatti, per le riprese, dovette imparare a cantare la canzone al contrario, e gli ci volle circa un mese. Chris si trova in auto con una ragazza (interpretata dall’attrice Elaine Cassidy), quando avviene un incidente e la ragazza muore proprio quando si era reso conto di averla trascurata.
“Questioni di scienza, scienza e progresso non parlano forte come il mio cuore” – la scienza fine a se stessa ha perso il buon senso, sta andando pericolosamente contronatura – “Correndo in cerchio, sempre occupati, ritornando a quello che eravamo” – è necessario ritornare a una visione più giusta.
Prima dell’album esce “In My Place“, e da subito si capisce che i Coldplay non sono stati un fenomeno passeggero. Se non hanno registrato una nuova “Yellow”, ci sono andati comunque molto vicini: “In My Place” è altrettanto sognante, penetrante e romantica (forse solo meno abrasiva). La veste è spartana, con un digipak bianco raffigurante un volto stilizzato: sarà la cifra stilistica di tutte le nuove copertine dei Coldplay.
Il secondo album A Rush Of Blood To The Head (2002) appare più rock e superficiale rispetto all’esordio, quello che non manca di colpire subito è la sequenza-killer con cui si apre: “Politik“, “In My Place”, “God Put A Smile Upon Your Face” e “The Scientist” rappresentano l’1-2-3-4 più esplosivo e avvincente dai tempi di “The Joshua Tree” degli U2. Senza contare che la quinta canzone è quella “Clocks” che ha fatto esplodere la Coldplay-mania in America. Ad ascolti più attenti, l’album si differenzia dal predecessore per maggior coesione interna e cura nei dettagli.