Maleficent e L’Arte di amare
L’amore richiede impegno e saggezza, amare è un’arte che si impara sperimentando l’amore fin dai primi momenti di vita.
Lo spiega bene Erich Fromm nel suo libro L’arte d’amare, di cui riassumo e riporto brevemente alcuni passi.
“Quando un uomo nasce, viene sbalzato da una situazione ben definita, chiara come l’istinto, in una situazione incerta e indefinita. Vi è certezza solo per ciò che riguarda il passato; per ciò che riguarda il futuro, solo la morte è certa.”
L’uomo nel momento in cui acquista coscienza di sè, come individuo, unico, come una realtà separata, consapevole della propria breve vita, del fatto che dovrà morire, che vedrà morire prima le persone che ama o che morirà prima di loro, diventa cosciente anche della propria solitudine, della propria insignificanza, della propria impotenza di fronte alle leggi della natura. Se ciò non fosse mitigato dalla consapevolezza di fare parte di un tutto, di essere un puntino nell’universo collegato ad altri puntini, di avere un posto nel mondo, una significanza come individuo che ama tra altri individui, diventerebbe pazzo. Questo tipo di solitudine ci fa sentire indifesi, in balìa degli eventi, incapaci di agire e ciò provoca ansia ed è l’origine di ogni ansia. È un lungo cammino che inizia con i primi vagiti che dicono al mondo: io ci sono, prendetevi cura di me.
“…il neonato al momento della nascita, sentirebbe il terrore di morire se un destino clemente non lo preservasse dalla coscienza di quest’ansia causata dalla separazione dalla madre e dalla vita intrauterina.”
– IL PRIMO LEGAME D’AMORE –
Il neonato infatti non sente questa separazione perchè percepisce il corpo della madre come un tutt’uno con il suo corpo, un prolungamento. Occorre precisare che l’autore fa sempre riferimento alla madre biologica, la quale, secondo le consuetudini del tempo, era l’unica ad occuparsi dei figli; oggi il discorso vale per quella persona che si occupa prevalentemente e in modo continuativo del neonato, stabilendo un profondo rapporto d’amore (e qui si potrebbe aprire un ampio dibattito sui criteri e sui requisiti applicati attualmente nelle adozioni).
Il neonato sente solo lo stimolo positivo della fame e del calore, e non scinde neppure calore e fame dalla sorgente: la madre. La madre è calore, la madre è cibo, è lo stato euforico della soddisfazione e della sicurezza. È uno stato di narcisismo, per usare un termine di Freud. La realtà esterna, cose e persone, ha senso solo in termini di soddisfazione e frustrazione dei bisogni corporali.
Per il bambino è reale solo ciò che è dentro e ciò che sta all’esterno viene percepito solo come una risposta ai suoi bisogni, in altre parole egli assume se stesso a centro del mondo. Nelle fasi successive di crescita gradualmente il bambino impara a percepire le cose come sono, impara a distinguere il suo bisogno dalla fonte che lo soddisfa, come due entità diverse. Apprende che ogni cosa ha un’esistenza propria, con precise caratteristiche, alla quale dà un nome e a cui adegua il suo comportamento (Il fuoco è caldo e scotta a toccarlo).
– L’AMORE MATERNO –
Impara a comunicare con la gente; che la mamma sorride quando mangia; che lo prende in braccio quando piange; che lo loda quando va di corpo. Tutte queste esperienze sono sintetizzate in un’unica esperienza: sono amato. Per metterla in una formula più generale : sono amato per ciò che sono oppure, più precisamente, perchè sono. Questa esperienza di essere amato dalla madre è un’esperienza passiva. Non c’è niente che debba fare per essere amato – l’amore materno è incondizionato. Tutto ciò che devo fare è essere – essere il suo bambino.
Ma se da un lato non ha bisogno di essere meritato, questo amore non può essere nemmeno conquistato, suscitato, controllato.
Se c’è, è come una benedizione; se non c’è, è come se tutta la sua bellezza fosse uscita dalla vita, e non c’è niente che io possa fare per crearlo.
L’amore materno richiede altruismo: la capacità di dare tutto senza chiedere niente, accettare la separazione dal figlio che diventa sempre più autonomo, e continuare ad amarlo desiderando la sua felicità. Nei racconti biblici la Terra promessa (che simboleggia la madre) è descritta traboccante di latte e di miele. Il latte è simbolo dell’amore che si riferisce alle cure e all’affermazione; il miele simboleggia la dolcezza della vita, l’amore per essa e la felicità di sentirsi vivi. Per la maggior parte delle madri è facile dare “latte”, ma solo una minoranza è capace di dare anche “miele”, perchè una mamma deve essere anche una donna felice e non ansiosa. La gioia e l’ansia, entrambi sono stati d’animo contagiosi e hanno un effetto profondo sulla personalità del bambino.
– DALL’ESSERE AMATO ALL’AMARE –
Intorno agli otto/dieci anni il bambino vive il passaggio dal solo rispondere con gratitudine e con gioia all’amore, al provare il desiderio di produrre lui stesso amore, attraverso qualcosa che egli fa (un disegno, una poesia, un pensiero…). Si delinea così l’idea di un amore creativo, ed è l’inizio di un lungo percorso per raggiungere la maturità dell’amore.
È così che il bambino, che ora è adolescente, ha vinto il suo egocentrismo; l’altra persona non è più solo un mezzo per soddisfare i suoi bisogni. I bisogni dell’altra persona sono importanti quanto i suoi, in realtà sono diventati più importanti.
Dare è diventato più soddisfacente, più bello che ricevere; amare più importante che essere amato. Amando è uscito dalla cella della solitudine e dell’isolamento, costituita dallo stato di narcisismo ed egocentrismo. Prova un nuovo senso di fusione, di solidarietà.
L’amore infantile segue il principio: amo perchè sono amato.
L’amore maturo segue il principio: sono amato perchè amo.
L’amore immaturo dice: ti amo perchè ho bisogno di te.
L’amore maturo dice: ho bisogno di te perchè ti amo.
Lo sviluppo della capacità di amare è strettamente legato allo sviluppo dell’oggetto d’amore. Fin dalla vita intrauterina madre e figlio sono un’unica cosa, pur essendo due, vivono un’unione simbiotica in cui hanno bisogno l’uno dell’altro. Già con la nascita cambia qualcosa, ma per il neonato permane un forte attaccamento da cui trae sicurezza e fiducia nell’affrontare nuove esperienze (camminare, parlare, esplorare…), diventa sempre più autonomo e aperto al mondo; il rapporto con la madre quindi si allenta e lascia spazio a un maggior coinvolgimento del padre.
È chiaro che l’autore si riferisce al “tipo ideale” di amore materno e paterno, ciò non significa che ogni padre e ogni madre amino in questo modo. Così come oggi non si tende più a fare una netta distinzione tra i due ruoli come in passato, piuttosto si auspica una condivisione partecipata e soprattutto coerente delle figure parentali, supportandosi l’un l’altra.
– L’AMORE PATERNO –
Mentre la madre è l’origine della nostra vita e rappresenta il mondo naturale: è natura, anima, oceano; il padre rappresenta l’altro polo, quello dell’esistenza umana: il mondo del pensiero, dell’uomo che fa, della legge e dell’ordine, della diciplina, del lavoro e dell’avvenire. Il padre è colui che insegna al bambino, che gli mostra la strada del mondo.
L’amore paterno è un amore condizionato. Il suo principio è: io ti amo perchè tu soddisfi le mie aspirazioni, perchè fai il tuo dovere, perchè sei come me. Diversamente da quello materno, l’amore paterno deve essere meritato e può essere perduto, per cui:
l’obbedienza diventa la virtù principale
la disobbedienza il peccato principale
il castigo la perdita dell’amore paterno.
Però poichè è condizionato, posso fare qualcosa per conquistarlo.
La madre ha la funzione di rendere il bambino sicuro e instillargli un amore per la vita (è bello essere vivi e stare su questa terra!) per cui non dovrebbe essere ansiosa; il padre ha quella d’istruirlo, di insegnargli ad affrontare i problemi.
L’amore paterno dovrebbe essere guidato da principi e da speranze, dovrebbe essere paziente e tollerante anzichè minaccioso e tirannico. Dovrebbe dare al bambino che diviene adulto un crescente senso di responsabilità, e in seguito permettergli di affermare la propria autorità, liberandosi di quella del padre.
– L’AMORE MATURO –
Di conseguenza, la persona matura è arrivata al punto in cui è madre e padre di se stessa. Ha, per così dire, una coscienza materna e paterna.
La coscienza materna dice: «non c’è peccato, nè delitto che ti possa privare del mio amore, del desiderio che tu sia vivo e felice».
La coscienza paterna dice: «Hai sbagliato, non puoi sfuggire alle conseguenze del tuo errore e devi cambiare strada, se vuoi che io ti ami.»
La persona matura si è liberata dalle figure esteriori del padre e della madre e li ha ricreati in se stessa costruendo: una coscienza materna sulle sue capacità d’amore e una coscienza paterna sulla ragione e sul giudizio. Inoltre, la persona umana ama con entrambe le coscienze, materna e paterna, ad onta del fatto che esse sembrino contraddirsi l’una con l’altra.
In questo passaggio dall’attaccamento materno a quello paterno, e nella loro conseguente sintesi, sta la base della salute mentale e della conquista della maturità.
LA FACOLTÀ DI AMARE
Se amassi veramente una persona, amerei il mondo, amerei la vita. Il desiderio di fusione interpersonale è il più potente. È la passione più antica, è la forza che tiene unita la razza umana, la tribù, la famiglia, la società. Il mancato raggiungimento di questa unione significa follia e distruzione. Senza amore, l’umanità non sopravvivrebbe un solo giorno.
– L’AMORE FRATERNO –
Se ho sviluppato la capacità d’amare non posso fare a meno di amare i miei fratelli, di sentire il desiderio di fusione con tutti gli uomini, il bisogno di solidarietà umana. L’amore fraterno si fonda sul principio dell’unione con i nostri simili. Le differenze sono trascurabili, se non addirittura una risorsa, in confronto a ciò che profondamente accomuna tutti gli uomini.
Se io percepisco un altro essere solo in superficie, sento le differenze che ci separano. Se penetro in profondità, percepisco la nostra uguaglianza, ciò che ci rende fratelli. …Poichè siamo esseri umani, siamo tutti bisognosi di aiuto. Oggi io, domani tu. L’amore per l’essere indifeso, la compassione per il povero e lo straniero, sono il principio dell’amore fraterno.
CONCETTO DI UGUAGLIANZA
In senso religioso uguaglianza significa che siamo tutti figli di Dio, che siamo tutti fatti della stessa sostanza umano-divina, in un unico cosmo. Tale concetto è espresso nel Talmud:
“Chiunque salvi una singola vita, è come se avesse salvato il mondo intero; chiunque distrugga una singola vita, è come se avesse distrutto il mondo intero“.
Il concetto di uguaglianza della filosofia illuminista occidentale è quello espresso da Kant:
nessun uomo deve essere il mezzo che determina la fine di un altro uomo. Tutti gli uomini sono un fine, e non un mezzo gli uni per gli altri.
Così come i pensatori socialisti di varie scuole definirono l’uguaglianza come abolizione dello sfruttamento, dell’uso dell’uomo per l’uomo, indipendentemente dal fatto che questo uso fosse barbaro o “umano”.
Nella società capitalistica contemporanea il senso di uguaglianza è mutato:
“Uguaglianza oggi significa uniformità, anzichè unità“.
Un concetto che trae in inganno perchè tende a eliminare le differenze, così l’essere umano perde il suo individualismo e diventa un automa che obbedisce agli stessi comandi, tuttavia ognuno è illuso di seguire i propri desideri. L’unione ottenuta mediante il conformismo non è intensa nè profonda; è superficiale e insufficiente a placare quel senso di solitudine dell’uomo che è all’origine di ogni ansia, che è andata via via aumentando man mano che l’uomo si staccava dalla natura per un’esistenza più artificiale, più tecnologica. I casi di alcolismo, di tossicomania, di manie sessuali e di suicidio, sono sintomi del fallimento di tale unione.
Nel film Maleficent i due regni, quello degli umani dominato da un re e quello della brughiera senza re e regine, sono una chiara metafora di due tipi di società, rispettivamente quella patriarcale e quella matriarcale, rapportabili a loro volta alle caratteristiche dell’amore paterno e dell’amore materno.
– IL LEGAME CON LA NATURA –
All’inizio della storia umana, l’uomo si identifica con la natura (come il neonato con la madre) verso la quale mantiene dei legami primitivi. Mano a mano che progredisce, più si separa dal mondo naturale più intenso diventa il bisogno di trovare nuove vie per superare la separazione. Maschere, totem, divinità con aspetto di animali hanno la funzione di attutire il senso di solitudine e di gestire la paura di fronte ai fenomeni naturali che l’uomo ancora non sa spiegare. Con le sue scoperte e affinando la sua manualità, egli impara a trasformare e modellare gli idoli di argilla, di argento e oro, ai quali dà un aspetto di esseri umani: ha inizio il culto degli Dei.
– MADRE TERRA –
Sembra accertato che in molte civiltà sia seguita una fase matriarcale, in cui è la madre la dea, e anche l’autorità della famiglia e della società. L’essenza della religione matriarcale è la stessa dell’amore materno: incondizionato, protettivo, illimitato; non può essere controllato o conquistato, infonde un senso di benessere, ma se manca suscita un senso di disperazione e di squallore. Si basa sull’uguaglianza poichè tutti gli uomini sono uguali, sono figli di una madre, sono tutti figli della Madre Terra.
– L’ESSERE SUPREMO –
Lo stadio successivo dell’evoluzione umana è la fase patriarcale, in cui è il padre a diventare l’Essere Supremo, sia nella religione, sia nella società. Come l’amore paterno, fa delle richieste, stabilisce principi e leggi, pretende l’obbedienza. La società patriarcale è gerarchica e competitiva e il suo sviluppo va di pari passo con lo sviluppo della proprietà privata. Se pensiamo a civiltà come quella indiana, egiziana, greca, o quella giudaico-cristiana o all’islamica, siamo in pieno mondo patriarcale con più dèi maschi o con un Dio unico.
Poichè l’amore per la madre non può essere sradicato dal cuore degli uomini, la figura della madre amorosa mantiene la sua presenza nel pantheon. Nel misticismo ebraico troviamo gli aspetti materni di Dio, nel Cattolicesimo la madre è simbolizzata dalla Chiesa e dalla Vergine, nel Protestantesimo si riconosce nella grazia dell’amore di Dio e nella fede in questa grazia.
L’aspetto patriarcale della religione mi fa amare Dio come un padre, che sento giusto e severo, punisce e premia, e mi potrà eleggere suo figlio prediletto se saprò meritarmelo.
L’aspetto matriarcale mi fa amare Dio come una madre che tutto abbraccia. Ho fede nel suo amore e qualsiasi cosa accada mi perdonerà, mi salverà, mi libererà. Il mio amore per Dio e l’amore di Dio per me non possono essere scissi.
– L’UNO SENZA NOME –
Nell’evoluzione dell’uomo, la società e la religione quindi si sono spostate da una struttura di carattere materno a una di carattere paterno. Così nello stesso sviluppo della religione patriarcale, al suo inizio, concerne un Dio dispotico capo tribù, che impone il proprio volere sull’uomo (caccia l’uomo dal Paradiso, ordina ad Abramo di uccidere l’amato figlio Isacco) ; ma contemporaneamente inizia una nuova fase, Dio diventa un padre amoroso guidato dagli stessi principi che instilla nell’uomo: giustizia, verità e amore (fa un patto con Noè con cui promette di non distruggere mai la razza umana). Cessa così di essere una persona, un padre, e Dio diventa il simbolo dell’unità che domina l’universo: l’Uno, che non ha un nome, ciò limita la percezione della sua essenza.
La proibizione di costruirsi un’immagine di Dio, di pronunciare il suo nome invano, e perfino di pronunciarlo del tutto, conduce allo stesso fine, quello di liberare l’uomo dall’idea che Dio è un padre, una persona. Egli diviene l’Uno senza nome, un’essenza inesprimibile.
– L’AMORE MATURO –
La persona veramente religiosa non si aspetta niente da Dio, ha l’umiltà di riconoscere che non sa niente di Dio, ha fede nei principi che Dio rappresenta e li applica nella sua vita: crede nella verità, vive nell’amore e per la giustizia. Sviluppando in sè questi poteri, tutto della sua vita diventa prezioso perchè dà modo di evolvere, così che il regno dell’amore, della ragione e della giustizia esistono come una realtà. Ne consegue che la vita assume il significato che l’uomo stesso le dà, se non aiuta il suo prossimo egli è completamente solo.
Questo stadio in cui Dio cessa di essere un potere esterno, in cui l’uomo ha incorporato i principi d’amore e di giustizia in se stesso, in cui è diventato uno con Dio e parla di Dio solo in senso poetico, simbolico, è la fase matura dell’amore per Dio.
Sapere che esiste un Dio e tuttavia pensare che non sappiamo, poichè non può essere afferrato in pensieri o parole, è la più alta conquista. Non pensare e tuttavia pensare che sappiamo è un disastro.
Noi lo guardiamo, e non lo vediamo, e lo chiamiamo l’Equo.
Lo ascoltiamo e non lo sentiamo, e lo chiamiamo l’Inaudibile.
Tentiamo di afferrarlo, e non lo prendiamo, e lo chiamiamo il “Sottile”.
Con queste tre qualità non può essere descritto il soggetto; di conseguenza le mescoliamo insieme e otteniamo l’Uno»
Nelle religioni orientali e nel misticismo, l’amore per Dio è un’intensa sensazione di unità, e questo amore si esprime in ogni azione della vita. Compito dell’uomo non è di pensare giusto, ma di agire giusto in armonia con l’Uno, perciò non c’è ragione di combattere altri che hanno sviluppato diverse formule di pensiero.
Nel sistema religioso occidentale l’amore per Dio è essenzialmente un’esperienza di pensiero: è aver fede in Dio, credere nella sua esistenza e nel suo amore. Ciò ha portato ai dogmi (principi fondamentali, verità di fede, oggettivi e immutabili, perciò non discutibili), alla scienza (nel pensiero scientifico tutto ciò che conta è il pensiero corretto, sia nella sua applicazione, sia nella tecnica), all’intolleranza del “miscredente” o eretico.
La persona che credeva in Dio – anche se non viveva in Dio – si sentiva superiore
a quella che viveva in Dio, ma non credeva in lui.
Testo di riferimento: L’arte d’amare di Erich Fromm, Il Saggiatore 1978
L’oggetto d’amore
MALEFICENT IL FILM