La più antica immagine conosciuta della santa (cassa solenne, 1457) da Wikipedia

Rita nacque a Roccaporena, un villaggio montano situato nel comune di Cascia nel cuore dell’Umbria, presumibilmente nel 1377. I genitori, Antonio Lottius e Amata Ferri sposatisi in tarda età, dopo dodici anni di attesa accolsero questa figlia come una benedizione. Fu battezzata con il nome di Margherita, che in latino significa “perla”, ma verrà poi chiamata sempre Rita.
I genitori di Rita erano molto stimati dalla comunità per la loro moralità e onestà, e l’imparzialità che li contraddistingueva. Venivano spesso chiamati a far da “pacieri” nelle dispute o contrasti di ogni genere affinchè non degenerassero in faide senza fine. Nel XIV secolo a Cascia come in altri luoghi, erano frequenti gli scontri tra guelfi e ghibellini, tra famiglie avversarie, tra categorie e classi sociali diverse, che davano origine a soprusi, violenze e omicidi.

Si narra che quando aveva pochi mesi, Rita veniva portata con sé dai genitori durante il lavoro nei campi in un cestello di vimini. Un giorno, mentre la neonata riposava poco distante nella cesta posta all’ombra di un albero, uno sciame di api la circondò. Non vene punta, anzi, alcune api depositarono delicatamente un po’ di miele sulle labbra della piccola. In quel mentre un contadino, che si stava recando a Cascia per farsi medicare la mano che si era ferito con una falce, passando accanto alla cesta della piccola vide la scena, e agitando le mani cercò di cacciare via le api. Scuotendo le braccia, si accorse che man mano la ferita smetteva di sanguinare fino a rimarginarsi completamente. Gli abitanti di Roccaporena venuti a sapere dell’accaduto pensarono a un miracolo, il primo a infondere un alone di santità alla vita di Rita.

Ella trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza con vivo sentimento religioso e di obbedienza ai genitori. Si ritirava spesso in preghiera in un piccolo angolo del sottotetto nella sua casa, o al Monastero di Santa Maria Maddalena a Cascia, o alla Chiesa di Sant’Agostino.

Si narra che un angelo soleva visitare la fanciulla mentre era raccolta in preghiera nella sua casa di Roccaporena, attraverso un’apertura del tetto, la cosiddetta “finestra dell’angelo”. I successivi abitanti di quella casa, anni e anni dopo raccontarono dei tentativi di tenere chiusa quella finestra: la sera veniva chiusa, ma il mattino seguente la si trovava di nuovo aperta.

Si ritiene che Rita abbia ricevuto anche un’educazione scolastica e che fosse quindi in grado di leggere e di scrivere. Ormai fanciulla, venne promessa in sposa a un giovane ufficiale di Cascia, Paolo Mancini di illustre e solida famiglia.
Rita obbedì al volere dei genitori ormai anziani, e all’età di 14 anni sposò Paolo che fin dall’inizio dimostrò un carattere non facile e autoritario. Inoltre conduceva una vita piuttosto turbolenta fatta di scontri violenti, di gioco ai dadi e di brutali incursioni in Comuni e Signorie confinanti che culminavano in saccheggi, soprusi e violenze.

Qualche anno dopo Rita ebbe un grande dolore per la morte dei suoi genitori, si concluse così per lei un periodo lieto della sua vita. Ella volle dedicarsi ancor più a quel marito rissoso, indisponente, spesso intrattabile, e la sua dolce pazienza venne premiata, inducendo il marito a diventare una persona nuova: onesto, leale e rispettoso delle regole di vita civile.
Nel 1392 dalla loro unione nacquero due gemelli, Giangiacomo e Paolo Maria che crebbero in serenità. Per circa quindici anni la loro vita trascorse tranquilla. Ma una sera intorno all’anno 1405, lungo il tragitto di casa Paolo, che abbandonato ogni rancore girava ormai disarmato, cosa assai anomala per quei tempi burrascosi e incerti, venne ucciso in un agguato.

Presto si venne a sapere come si erano svolti i fatti, e in paese le voci e i sospetti avevano già assegnato un volto ai presunti assassini. I figli di Rita, ormai abbastanza grandi, covavano desideri di vendetta, e a nulla servirono gli sforzi della madre nel tentativo di convincerli a scegliere la strada del perdono.
Ma un anno dopo, nel 1406 un terribile e misterioso morbo (si pensa la peste) tolse prematuramente all’affetto di Rita entrambi i figli. Ciò la condusse, dopo un lungo periodo di profonda solitudine, a decidere di entrare nel Monastero delle Agostiniane di Cascia intitolato a Santa Maria Maddalena, dove accadde l’episodio della vite. Ella fece la richiesta di poter consacrare la sua vita a Dio, ma venne rifiutata poiché una faida famigliare era ancora in atto tra la famiglia del marito e i suoi assassini. Iniziò così a tessere pazientemente la tela di riconciliazione tra le due fazioni nemiche. Ma per tre volte le venne rifiutata la possibilità di entrare nel convento, finché una notte…

Si racconta che Rita, recatasi come di consueto sullo “Scoglio” (o “Schioppo”, sperone roccioso che si innalza per un centinaio di metri al di sopra del villaggio di Roccaporena) e attardatasi più del solito, ebbe la visione dei tre santi protettori: Sant’Agostino, San Giovanni Battista e San Nicola da Tolentino, venerati nella chiesa che Rita frequentava fin da bambina. Da essi venne trasportata a Cascia, all’interno del convento, nonostante porte e finestre fossero chiuse e ben serrate.

Il mattino successivo fu trovata dalle suore del Monastero che non riuscivano a capacitarsi di come avesse fatto ad entrare, e si convinsero ad accoglierla fra di loro. Era l’anno 1417. Nel frattempo il suo paziente lavoro portò al concludersi della faida famigliare e Rita poté così prendere il velo e inserirsi nella comunità delle suore agostiniane.
Suor Rita era molto conosciuta ed amata a Cascia, anche a causa delle sue vicissitudini famigliari. Insieme alle sue consorelle visitava di frequente anziani, malati e poveri della comunità portando loro cibo, vestiti, aiuto e conforto. Questo non fece che consolidare l’affetto che i casciani nutrivano per lei.
Nonostante la Regola delle Agostiniane fosse già di per sé assai rigorosa, Rita volontariamente seguiva un regime ancora più duro.

Il Venerdì Santo del 1442 dopo aver assistito alla predica del francescano Giacomo della Marca, che commentò le sette parole di Cristo in croce sottolineando l’immensa tristezza di Gesù durante il suo martirio finale, dovuta più che al tormento fisico soprattutto alla solitudine che provava per l’abbandono dei discepoli, ne rimase particolarmente toccata. Una volta rientrata in convento, volle ritirarsi nella sua cella raccogliendosi profondamente in preghiera davanti al crocefisso.

Fu allora che, secondo la tradizione, una spina della santa corona si staccò e le si conficcò in fronte, lasciandole una ferita sanguinante, uno stigma (termine greco che significa segno, marchio).

Il mattino seguente, il Sabato Santo, le consorelle quando videro Rita con la fronte segnata da una ferita ma raggiante di felicità, venute a conoscenza dell’accaduto ebbero forti e contrastanti emozioni: meraviglia, stupore, ma anche sgomento perché lo stigma era un evento che determinava accurate indagini da parte delle autorità ecclesiastiche, che in altri conventi avevano addirittura fatto intervenire la Santa Inquisizione. Da quel momento Rita si isolò completamente nella sua cella cominciando a dialogare intensamente con Dio, attraverso la preghiera e la penitenza.
Intanto a Cascia la notizia si diffuse, ma per un breve periodo lo stigma sparì.

Nel 1435 le consorelle erano in partenza per un pellegrinaggio a Roma, Rita chiese di unirsi a loro, ma esse rifiutarono adducendo come motivo che la sua piaga emanava un odore sgradevole. Rita chiese un unguento a uno speziale (il farmacista dell’epoca) che ne preparò un vasetto. Si racconta che una volta spalmato sulla fronte la ferita si rimarginò e un gradevole aroma si diffuse tutt’intorno. Rita poté così partecipare al pellegrinaggio e raggiungere Roma.
Ma al ritorno, appena varcata la soglia del monastero la ferita si riaprì e Rita tornò alla sua vita solitaria e di meditazione.

Pochi anni dopo colpita da una grave malattia fu costretta a letto, e rimase inferma e sofferente per quattro lunghi anni. Suor Rita si spense il 22 maggio dell’anno 1447.

Si narra che il giorno del suo funerale comparve uno sciame di api nere che si annidarono nelle mura del convento. Ancora oggi sono lì, sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.

Due secoli dopo, a conclusione del processo canonico voluto da papa Urbano VIII, suor Rita fu ufficialmente proclamata beata (1628). Dovranno passare quasi altri 300 anni prima che venga proclamata Santa da papa Leone XIII, che la chiamò “la perla preziosa dell’Umbria” (1900).
Le sue spoglie sono conservate all’interno del Santuario innalzato in suo onore a Cascia terminato nel 1947.
Santa Rita viene festeggiata il 22 maggio. Oltre che in Italia la devozione per la Santa, alla quale sono dedicati molti paesi e chiese, è diffusa in Spagna, in Portogallo, in America Latina, nelle Filippine e negli Stati Uniti d’America.

È questo forse il lato più sorprendente dei santi… è come se la fede e l’amore esigessero di pervadere tutto l’essere.

Da numerosi accenni riportati in un’antica biografia, la spina inflitta nella fronte fu in realtà l’evidenza esteriore dei molti anni passati nella sopportazione buona e paziente della malattia che la ridusse per anni inferma sul suo povero giaciglio, senza nemmeno la forza di nutrirsi, ma attorniata però dall’affetto e dalla venerazione delle monache e di tutto il popolo di Cascia. Quando le facevano visita, senza lasciar trasparire la propria sofferenza ella trovava sempre una parola o un gesto di consolazione e di incoraggiamento.

Si narra che in un giorno di pieno inverno una parente di Roccaporena le fece visita e prima di andare via le chiese se poteva fare qualcosa per alleviare le sue sofferenze. Rita, serena, le disse che avrebbe voluto le portasse dal suo orto una rosa, per inebriarsi del suo profumo, e due fichi maturi, per gustarne il sapore ancora una volta prima di morire.
La donna si recò senza indugio nell’orto di Rita, inerpicandosi su per il sentiero reso scivoloso dal ghiaccio. Vide subito tra la neve una bellissima rosa e, poco più avanti, sulla pianta senza foglie due fichi ben maturi. Li colse e subito portò fiore e frutti a Rita. Era il mese di gennaio.

Divenne così la santa della “spina” e della “rosa”, e oggi nel giorno della sua festa questi fiori vengono benedetti e distribuiti ai fedeli.

Imitasti il Nazareno
perdonando l’uccisore,
ed i figli con ardore
incitasti a perdonar

Estratto da: S. Rita da Cascia – vita e preghiere