La UEFA Champions League, precedentemente detta Coppa dei Campioni d’Europa dall’anno della sua istituzione nel 1955 fino al 1992 quando fu rinominata, è la massima competizione internazionale per Club d’Europa e assegna il titolo di Campione d’Europa per Club.

Si disputa ogni anno e il suo prestigio è determinato sia per il livello sportivo che per le dimensioni finanziarie.
La UEFA (Union of European Football Associations), distribuisce infatti parte dei ricavi ottenuti dalle vendite dei diritti televisivi in tutta Europa, tra le squadre partecipanti in base ai livelli raggiunti. La squadra vincitrice del torneo  acquisisce il diritto di partecipare alla Supercoppa UEFA e si qualifica per la Coppa del Mondo per club FIFA, che assegna il titolo di Campione del Mondo per Club.

L’idea di una competizione paneuropea per formazioni di club nacque nel 1954. In quell’anno sui giornali sportivi francesi si aprì in un acceso dibattito su chi fosse la squadra più forte del continente europeo tra gli spagnoli del Real Madrid, gli italiani del Milan, gli ungheresi della Honvéd e gli inglesi dell’Arsenal, formazioni all’epoca ai vertici dei rispettivi campionati nazionali. Fu così che il quotidiano transalpino L’Equipe, diretto da Gabriel Hanot, propose a FIFA e UEFA l’idea di un campionato fra i maggiori Club d’Europa.
All’inizio vi era il timore che una tale iniziativa potesse oscurare i Campionati nazionali, perciò fu scelta la formula semplice della eliminazione diretta ammettendo una sola società indicata dalla Federazione nazionale di ciascun paese, indipendentemente dal fatto che fosse campione nazionale in carica oppure no.

Nel 1955 sotto l’egida della UEFA si tenne così la prima edizione della Coppa dei Campioni d’Europa a cui presero parte sedici formazioni provenienti dalle principali federazioni calcistiche. Unica assenza di spicco fu quella della Football Association inglese che non vi aderì.
Le squadre s’incontrarono a doppio turno di andata e ritorno, la partita inaugurale fu giocata a Lisbona, mentre la finale si sarebbe disputata in campo neutro a Parigi.
La vincitrice della Coppa dei Campioni era ammessa di diritto all’edizione dell’anno successivo (unico caso in cui era possibile vedere più di una squadra per federazione).

La formula della Coppa dei Campioni rimase praticamente immutata per oltre trent’anni. Fu solo sul finire degli anni 1980 che si cominciarono a mettere in cantiere progetti di riforma, apportando graduali cambiamenti e innovazioni compresa la rinomina a UEFA Champions League nel 1992 registrando un logo e un inno ufficiale della Lega, che prima di ogni gara viene accompagnato dalla classica coreografia sul campo di gioco che consiste nello scuotere un enorme telo (che ricopre il cerchio di centro campo) con sopra il logo della manifestazione.

Un’ulteriore svolta avvenne con la stagione 1997-1998, quando fu abrogata quella clausola che era divenuta l’essenza stessa della Coppa dei Campioni: la partecipazione dei soli Campioni nazionali in carica.

Nel 2013 il Comitato Esecutivo dell’UEFA ha deliberato, a partire dalla stagione 2015-2016, la partecipazione in UEFA Champions League della vincitrice della UEFA Europa League, la seconda competizione per prestigio dopo la Champions League (nota fino al 2009 come Coppa UEFA, istituita nel 1971) con la conseguente rimozione dello storico limite massimo di quattro club per nazione.

La squadra vincitrice della Champions League ritira la coppa al termine della cerimonia di premiazione, e riconsegna il trofeo al quartier generale della UEFA due mesi prima della finale della stagione successiva. Fino al 2008, era possibile trattenere il trofeo originale per le squadre capaci di aggiudicarsi tre tornei consecutivi o cinque in tutto, ovvero quelle insignite del multiple-winner badge introdotto nella stagione 2000-2001.


LA STRAGE DI HEYSEL

La strage dell’Heysel è una tragedia avvenuta il 29 maggio 1985, poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni d’Europa tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles.
La designazione dello stadio Heysel da parte dell’UEFA fu considerata avventata e criticata da entrambi i Club, poichè la struttura si dimostrava inadeguata riguardo le uscite di sicurezza e i corridoi di soccorso, inoltre il campo di gioco era mal curato e le tribune risultavano fatiscenti.

Gran parte della tifoseria italiana faceva parte di Club organizzati a cui fu assegnata la tribuna N, che si trovava nella curva opposta a quella assegnata alla tifoseria inglese.
Molti altri tifosi organizzatisi autonomamente anche nell’acquisto dei biglietti, si trovavano invece nella tribuna Z, separata da due inadeguate reti metalliche dalla tribuna dei tifosi del Liverpool, ai quali si erano uniti anche tifosi del Chelsea, noti per la loro violenza (si facevano chiamare headhunters, “cacciatori di teste”).

Circa un’ora prima dell’inizio della partita, i tifosi inglesi cominciarono a spingere a ondate verso il settore Z, cercando il take an end (“prendi la curva”) una specie di “metti in fuga il nemico”, a loro dire a scopo intimidatorio, forse memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima. Ma la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta. Finirono con lo sfondare le reti divisorie invadendo la tribuna Z occupata da semplici spettatori appartenenti a varie nazionalità, che impauriti anche per il mancato intervento delle forze dell’ordine belga, furono costretti ad arretrare ammassandosi contro il muro opposto alla curva della tifoseria inglese.
Si venne a creare una grande ressa, alcuni si lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere schiacciati, altri cercarono di scavalcare gli ostacoli ed entrare nel settore adiacente, altri si ferirono contro le recinzioni o cadendo dalle scalinate. Il muro ad un certo punto crollò per il troppo peso, moltissime persone vennero travolte, schiacciate e calpestate nella corsa verso una via d’uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco.
Pochi si resero conto di ciò che stava realmente accadendo, le voci dello speaker e dei capitani delle due squadre invitavano alla calma. Un battaglione mobile della Polizia belga, di stanza ad un chilometro dallo stadio, giunse finalmente dopo più di mezz’ora per ristabilire l’ordine.

L’incontro fu comunque disputato nonostante il disappunto di molti, la decisione fu presa dalle forze dell’ordine belghe e dai dirigenti UEFA, in accordo con entrambe le squadre per evitare ulteriori tensioni.
Per le dirette televisive vi fu chi, come la televisione tedesca, si rifiutò di trasmettere la partita, chi la oscurò volontariamente come quella italiana con il commento costernato di Bruno Pizzul, quella austriaca non la commentò facendo scorrere una scritta che recitava: “Questa che andiamo a trasmettere non è una manifestazione sportiva”.
I superstiti si rivolsero ai giornalisti in tribuna stampa affinchè telefonassero in Italia, per rassicurare i familiari.

I morti furono 39, dei quali 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese. 370 i feriti.
L’incontro si concluse con la vittoria della Juventus i cui giocatori furono al centro delle critiche per essersi lasciati andare ad esultanze eccessive vista la gravità degli eventi, da successive dichiarazioni e interviste pare fossero a conoscenza solo parzialmente dell’accaduto.
Alcuni dirigenti juventini e Michel Platini si recarono a fare visita ai feriti negli ospedali della zona, mentre nella camera mortuaria allestita all’interno di una caserma, i parenti delle vittime furono accolti dal Re Baldovino e dalla consorte Fabiola.

Negli anni la memoria è rimasta viva attraverso molte iniziative promosse da più parti, anche dai parenti delle vittime che hanno fondato un Comitato.
Dal 2000 all’interno dello Stadio Re Baldovino (ex Stadio Heysel), così rinominato dal 1995, una targa commemorativa ricorda la tragedia del 1985: su una semplice targa in marmo sono rappresentate, come in una riga geometrica, 39 tacche come simbolo delle 39 vittime.

Conseguenze:

Nei giorni successivi, l’UEFA su proposta del Governo di Londra e visti altri precedenti, decise l’esclusione delle squadre inglesi a tempo indeterminato dalle Coppe europee e il Liverpool per ulteriori tre stagioni (poi ridotta ad una). Il provvedimento fu applicato fino al 1990, le squadre inglesi vennero infatti escluse dalle partite di coppa dal 1985-1986 al 1990-1991.


Diciotto giorni prima della strage di Heysel nella capitale del Belgio, un altro fatto si era verificato. Questa volta in Inghilterra allo stadio Valley Parade di Bradford nel West Yorkshire in cui morirono 56 persone e ne rimasero ferite 265.


IL DISASTRO DI BRADFORD

L’11 maggio 1985 nel corso di un incontro di campionato tra due squadre inglesi, si sviluppa un focolaio d’incendio nell’alto delle tribune di un settore dello stadio. Il fuoco divampa sull’impalcato in legno e si propaga velocemente generando un fumo denso e nero che limita la visibilità e rende difficile anche il respiro. È evidente che la struttura non è adeguata alle norme di sicurezza necessarie per contenere un così gran numero di persone assiepate.
Nel fuggi fuggi generale molti spettatori riescono a scavalcare il muro, che era stato eretto tra le tribune e il campo per contenere il fenomeno degli hooligans, un provvedimento attuato anche nel resto degli stadi inglesi nei primi anni ’80. Fortunatamente non è molto alto come in altri stadi, altrimenti il disastro avrebbe avuto proporzioni ben maggiori. Molti sono quelli che riescono a mettersi in salvo nel terreno di gioco, aiutando a loro volta la Polizia a prestare soccorso, insieme ai giocatori delle due squadre e all’allenatore del Bradford, Terry Yorath, che aveva i familiari nel settore colpito per primo dalle fiamme.

 

GLI HOOLIGANS

Hooligan è un termine inglese che indica una persona dal comportamento violento, indisciplinato e ribelle, utilizzato per indicare i tifosi più turbolenti e violenti delle squadre di calcio del Regno Unito.

L’origine del termine non è ben chiara, c’è chi ritiene che la parola derivi dal cognome di famiglie di origini irlandesi con una pessima reputazione, o derivi da “hooley“, voce dell’inglese d’Irlanda che indica una festa sregolata, o da “Hooley’s gang“, una banda londinese di giovani delinquenti.

Pare che la scritta Hooley’s sia apparsa sulle t-shirt di uno dei primi gruppi di tifosi, un marchio d’abbigliamento casual che si diffuse velocemente negli stadi inglesi.
Hooley è anche il cognome di colui che è considerato il padrino del punk di Belfast, un’icona della musica nord-irlandese degli anni 70.

Sono gli anni 70 e Belfast, la capitale dell’Irlanda del Nord, è devastata dalla guerra civile.

Nella parte della città più tormentata dagli scontri, Terry Hooley apre un piccolo negozio di dischi in vinile, il “Good Vibrations”. Il negozio rappresenta uno lo spiraglio di luce capace di regalare speranza in tempi bui, e Terry è un aggregatore capace di creare un mondo parallelo dove la musica rappresenta da un lato, un rifugio ai conflitti esterni ma, dall’altro, anche un modo di superarli.
Il “Good Vibrations” diventa la culla del Punk nordirlandese e un’etichetta discografica, che tiene a battesimo le band dell’epoca.

“Good Vibration“ è diventato anche un film di Lisa Barros D’Sa e Glenn Leyburn, e racconta la vera storia di Terry Hooley. Il film è stato proiettato al Torino Film Festival nella sezione Festa mobile del 2012.

Il termine Holligans venne frequentemente associato al calcio.
A partire dagli anni Sessanta, molte subculture giovanili quali skinhead, herbert, mod o rude boy sono appartenuti alla schiera degli hooligan. Le loro connotazioni estetiche, iconografiche ed ideologiche erano contraddistinte da generi musicali, capi d’abbigliamento, canoni comportamentali e beni di consumo peculiari, e finì poi col definire quei tifosi violenti protagonisti di tafferugli al seguito di una squadra.

Il fenomeno degli hooligan è molto diffuso in altri Stati europei e si caratterizza come una tifoseria che lascia molto spazio alle azioni spontanee del gruppo, prediligendo l’impatto vocale piuttosto che quello visivo, a differenza del modello degli Ultras, tifoserie tipiche del calcio italiano.

GLI ULTRAS

In Italia nel corso degli anni Sessanta, iniziarono a svilupparsi queste nuove strutture aggregative intorno alle grandi squadre dell’epoca, i cui membri si distinguono dai sostenitori tradizionali per il modo attivo ed organizzato di incoraggiare la loro squadra del cuore.

Gli ultras italiani si caratterizzano infatti, come una tifoseria organizzata che tende a coordinare i vari elementi in un’unica voce, il tifo si esprime visivamente, anche con l’ausilio dei tamburi che fino al 2009 hanno contraddistinto le colorite curve italiane  (poi sono stati proibiti insieme ai  megafoni).

Ogni gruppo ultras ha un proprio nome simbolico ed uno striscione dietro cui radunarsi. Nascono poi le coreografie per sostenere la propria squadra: si cantano inni, gli stadi si riempiono di bandiere, si lanciano coriandoli e si accendono i primi fumogeni. Parallelamente nasce anche la competizione con i gruppi ultras di altre squadre.
I primi due gruppi nati in Italia sono la Fossa dei leoni nato nel 1968 e scioltosi nel 2005, e i Boys-Le furie neroazzurre nel 1969, lo stesso anno in cui viene utilizzata la parola Ultras dai sampdoriani Ultras Tito Cucchiaroni.

Negli anni Settanta il clima di generale violenza e di terrorismo vissuta dalla società italiana non risparmiò gli stadi, nei cori apparirono gli slogan presi in prestito dalle manifestazioni e dai cortei, così nell’abbigliamento e nella simbologia riproposta dagli striscioni e dagli stessi nomi dei gruppi.
A partire dagli anni Ottanta, tutte le squadre professioniste hanno almeno un gruppo ultras e il modello italiano di ultras “non violento, non politico, tutto per il club“ si espande decisamente nell’Europa meridionale, compresa la Francia e la Svizzera, e negli anni Novanta anche nel Nord Europa e in altri continenti.

Ma con la radicale trasfigurazione commerciale del mondo del calcio iniziata nei primi anni ’90 a favore delle pay-tv, il degrado del Calciomercato, i ripetuti scandali del Calcioscommesse con accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ed alla frode sportiva, al forte aumento del costo dei biglietti dello stadio… chiaramente si è anteposto l’interesse economico alla pura passione tutta italiana di chi ama il gioco del calcio. Per tutto ciò e per altre restrizioni, gran parte del movimento ultras italiano diede vita a una serie di iniziative di protesta.

30 marzo 2007 – Vengono vietati striscioni, bandiere, materiali per le coreografie, se non espressamente autorizzati

Negli anni Duemila l’aumentata competizione e il modo di fronteggiarsi tra gruppi di tifosi, sfocia in atti di violenza, anche con gravi conseguenze. Tutto ciò induce da una parte i responsabili dei principali gruppi ultras italiani a radunarsi per autoregolamentarsi, auspicando un ritorno ai vecchi codici di comportamento ultras, dotando le sedi di siti web attraverso cui diffondere comunicazioni, libri, riviste autoprodotte (fanzine) e poi anche con i social network.
Dall’altra porta a un inasprimento delle norme anti-violenza previste dal DASPO (acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) introdotto dal governo presieduto da Giulio Andreotti con la Legge 13 dicembre 1989 n. 401 e successive modifiche, come misura per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi di calcio, vietando al soggetto ritenuto pericoloso di accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive.

Così come nel Regno Unito il governo presieduto da Margaret Thatcher varò nel 1989 la storica riforma conosciuta come il Rapporto Taylor (dal nome dell’autore, Peter Taylor), che ridefinì le norme sulla sicurezza in materia di stadi e tifoserie, obbligando di fatto le società a ristrutturare i vecchi impianti ormai fatiscenti. Si innalzano quindi le barriere e si intensificano i controlli della polizia sui tifosi, per sopprimere sul nascere anche i comportamenti ritenuti sospetti o potenzialmente pericolosi, portando ai processi per direttissima gli hooligans arrestati.

Entrambi i provvedimenti elaborati dopo la La strage di Hillsborough, facevano capo alla Convenzione internazionale (la Convenzione europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente nelle partite di calcio) conclusasi a Strasburgo nel 1985 come conseguenza della Strage dell’Heysel, al fine di prevenire e controllare la violenza negli Stadi.

 

LA STRAGE DI HILLSBOROUGH

La strage di Hillsborough è una tragedia calcistica avvenuta il 15 aprile 1989 all’Hillsborough Stadium di Sheffield (Inghilterra), quel giorno  si sarebbe disputata in campo neutro (come previsto da regolamento) la semifinale di FA Cup (Football Association Challenge Cup) tra il Liverpool e il Nottingham Forest.
Nota anche come Coppa d’Inghilterra è la principale coppa nazionale di calcio inglese, il cui prestigio unito alla rivalità esistente tra le due tifoserie attirò migliaia di tifosi di ambedue le squadre, ancor più entusiaste visto che in quegli anni i Club inglesi erano esclusi dalle Coppe europee in seguito alla strage dell’Heysel.
Allo stadio quindi, si attendeva l’arrivo di molti tifosi: ai Reds (come sono comunemente chiamati i tifosi del Liverpool) venne assegnato il settore alla sinistra della tribuna centrale dello stadio, denominato Leppings Lane (West Stand nella cartina), mentre alla tifoseria del Nottingham Forest viene destinata la curva opposta, la “Spion Kop“.

Circa mezz’ora prima dell’inizio della partita sono centinaia i tifosi del Liverpool ad essere ancora fuori dallo stadio, essendo rimasti imbottigliati nel traffico con i loro pullman. Sono in attesa di entrare nel settore a loro assegnato, ma pochi minuti dall’inizio della partita molti sono ancora lì che premono per entrare. La polizia allora decide di aprire il Gate C dello stadio, ma questo è sprovvisto di tornelli (dispositivi girevoli che permettono l’accesso controllato delle persone) e centinaia di tifosi si riversano nell’unica via d’accesso alla Leppings Lane. Un tunnel stretto e lungo dove un enorme flusso di tifosi si accalca, schiacciando ai lati contro le inferriate quelli rimasti bloccati non trovando sbocco sugli spalti.
Intanto la partita è iniziata e nessuno si accorge di quello che sta accadendo, finchè dalla Leppings Lane stracolma di tifosi, alcuni cominciano a calarsi nelle tribune inferiori e a scavalcare le transenne entrando in campo. La partita viene sospesa immediatamente, al sesto minuto di gioco. Nel frattempo si attivano i soccorsi ma molti sono già rimasti soffocati, schiacciati dalla folla.
Il bilancio è di 96 morti e di oltre 200 feriti, viene ricordata come la più grande tragedia dello sport inglese. Una catastrofe dovuta a una concausa di fattori, in primis la mancata oculatezza sul piano organizzativo e logistico.

Inspiegabilmente quattro giorni dopo l’incidente il tabloid inglese Sun, di proprietà della News Corporation del magnate australiano Rupert Murdoch, esce nelle edicole con un titolo a caratteri cubitali in prima pagina. Nell’articolo si accusano i tifosi del Liverpool di aver commesso poco dopo la strage, atti raccapriccianti sulle vittime e aver aggredito i poliziotti e pure ostacolato i soccorsi sulla base di testimonianze anonime, mai provate, anzi risultò che numerosi furono i tifosi del Liverpool ad aiutare soccorritori e feriti. Un atto a cui si dovrebbe porre rimedio chiedendo scusa visto la doppia ferita cagionata.


È un punto di svolta quello che succede al calcio, non solo in Inghilterra ma nell’intero continente.
Quello che era un gioco del popolo perde la sua natura e diventa un business: dalla ristrutturazione degli stadi alla costruzione di nuovi, dal calcio sempre più televisivo agli stadi sempre più vuoti, sia per l’aumento del prezzo del biglietto ma ancor più per quello che è diventato il fenomeno Holligans negli anni Novanta, che coglie impreparati la popolazione e le forze dell’ordine locali.
Gente che passa il tempo tra scontri dentro e fuori lo stadio, appropriandosene e interrompendo le partite con le invasioni di campo, tra bevute colossali di birra nei pub. Il loro slogan ossessivo diventa Blood, sweat and beer (anima, sudore e birra), si connotano di un maschilismo estremo e di xenofobia.
Le misure repressive messe in atto dai governi sembrano aver successo. In realtà fuori dalle telecamere a circuito chiuso degli stadi, nei parchi o nei parcheggi antistanti, sui treni che portano i tifosi in trasferta, hanno luogo autentici raid teppistici di inusitata violenza, sia in Inghilterra che in giro per l’Europa e a poco servono gli imponenti schieramenti di polizia. I tabloid non fanno che amplificare questo triste fenomeno fornendo una cassa di risonanza enorme, bollando indistintamente le tifoserie come violente e contribuendo indirettamente a fare degli holligans più temuti, dei miti.