Sul far della sera, la ricevette in consegna il padrone del frutteto, l’arnia. Era fatta a somiglianza di una casetta di legno, col tetto movibile a due spioventi, rivestito di lamiera e molto sporgente nella parte anteriore, proprio come i tetti delle costruzioni di montagna, per aver la facciata protetta dalla neve e dagli acquazzoni. Ma era una casetta senza finestre e con una porticina più larga che alta, sbarrata da una specie di pettine a denti radi fatto di chiodini piantati su un’asticciola di legno.
Il contadino si avvicinò con cautela, era la prima volta che ospitava nel suo podere una famiglia di api.
[..]
La casetta era ormai definitivamente sistemata sul suo sostegno, alta una trentina di centimetri dal livello del terreno, avendo intorno un prato che incominciava ad avere qualche ciuffetto d’erba rinverdita e, più lontano, schierati in file bene allineate, alberi da frutto d’ogni specie, con le gemme un po’ gonfie, ma ancora chiuse nell’involucro che le protegge dal freddo e dall’umidità.
— Ecco! — esclamò l’apicultore provetto — Ora qui non siete più solo, avete una famiglia che vi farà buona compagnia. Abbiatene cura.
Il contadino sorrise tanto per fare un gesto di compiacenza, perchè non si sentiva per nulla toccato dalla consolazione di quella compagnia.
— E poi avrete il miele per casa vostra. Vi piace il miele?
— Lo assaggerò l’inverno prossimo, quando avrò bisogno di scacciare la tosse — rispose il contadino.
— Avrete anche più frutta dai vostri alberi, per merito di queste bestiole — aggiunse l’altro apicultore…
[..]
Rimasto solo Gaspare, così si chiamava il contadino, mantenendosi a una certa distanza dalla porticina, si chiese: «Saranno vive o morte quelle trentamila api che stanno là dentro?»
Stette un po’ a guardare e tosto s’accorse che già c’era un certo movimento in prossimità della porticina: una, due, tre api s’affacciarono timidamente. Pareva che tremassero, che fossero malsicure sulle loro zampine, incerte sul da farsi.
Estratto di un racconto di Pierina Boranga
dal libro “Città del prato”
Città del prato
AA.VV.
C.E.Giunti – Bemporad Marzocco
Terza edizione, 1967
Un libro di racconti dedicati ai ragazzi suddiviso in quattro capitoli:
“La montagna-grattacielo” di Antonio Lugli, che racconta della città delle termiti.
Non si sentiva alcun suono, nè battito di tamburi, eppure fu come se dalle profondità della terra balzasse su, agghiacciante, travolgente, imperioso, il pulsare di infiniti tam-tam, e più nessuno potè star fermo…;
“Formiche” di Renato Caporali, che narra della loro vita e abitudini.
Un prato, per la formica, dev’essere come una giungla per l’uomo: i fili d’erba di venti o trenta centimetri le debbono sembrare piante altissime le cui cime si perdono nell’immensità del cielo; e la pietra che noi scavalcheremmo con un passo, una montagna…
“Vita segreta dell’alveare” di Pierina Boranga, il meraviglioso piccolo affollato mondo delle api.
Ognuna raggiunse senza sbagliare, senza inutili tentativi, la miniera dell’oro desiderato: era una vasta proda erbosa, tutta al sole, cosparsa di foglie secche fra le quali facevano capolino i primi fiori…
“Segreti del prato” di Alberto Manzi che illustra un paese ricco di meraviglie e tre insetti e un mollusco.
C’era un sambuco vecchio, sul prato, ma già fiorito di corimbi bianchi dall’odore troppo forte. E proprio vicino al sambuco ho assistito a uno strano esodo: afidi verdi che emigravano. Si arrampicavano, partendo dal terreno, in una fiumana sottile…
Pierina Boranga (1891-1983) nasce a Belluno in una famiglia di umili origini, si fece subito apprezzare per bravura e impegno fin dalle scuole elementari, caratteristiche che la contraddistinsero anche lungo tutta la sua carriera di insegnante, particolarmente attenta nell’indirizzare l’attenzione dei ragazzi all’osservazione scientifica.
Restia ad adeguarsi alla rigida impostazione didattica tradizionale della scuola dell’epoca, s’impegnò in un’incessante ricerca metodologico-didattica, mettendo in atto tentativi di innovazione e autocritica, che la portarono ad avvicinarsi al metodo pedagogico di Giuseppina Pizzigoni.
Giuseppina Pizzigoni
Giuseppina Pizzigoni (1870-1947), protagonista a Milano nel 1911 di un esperimento di riforma del metodo d’insegnamento, sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, fu fondatrice della Scuola Rinnovata che si ispirò ai suoi principi pedagogici:
“Tempio la natura, scopo il vero, metodo l’esperienza personale”
“Scuola è il mondo, Maestro ogni fatto naturale ed ogni uomo. Non si insegni: si esperimenti”
L’idea pedagogica pizzigoniana si ispira infatti ad una visione pratica dell’apprendimento, volto a stimolare l’osservazione e la scoperta, cioè ad imparare “vedendo fare e facendo”, tipica del lavoro agricolo e manuale: il metodo della ricerca rende il bambino protagonista attivo, un attore e costruttore motivato e curioso che scopre, organizza, smonta, ricompone in una rete cognitiva i dati e le conoscenze acquisite; è un metodo in netta opposizione a un sapere nozionistico e accumulativo, incapace di generare veri processi di conoscenza.
Su un terreno reso disponibile nella località chiamata Ghisolfa, sorsero un campo da gioco, un campo per le attività agricole, un apiario, un pollaio, tre chioschi,… La scuola accoglieva bambini di ogni estrazione sociale.
Una nuova costruzione viene inaugurata nel 1927, un eccezionale esempio di architettura finalizzata alla pedagogia e all’educazione al bello.
Dotata di una struttura e di un’organizzazione particolarmente stimolanti, dove le ore del mattino è previsto siano dedicate ad attività di studio, mentre quelle del pomeriggio consentono al bambino di fare esperienze innovative rispetto alla prassi del tempo.
Una scuola dove i bambini “non siano costretti a star seduti sui banchi”, ma possano vivere esperienze dirette, come l’orticoltura, il giardinaggio, l’allevamento di animali, il canto, la ginnastica, le attività artigiane, le uscite frequenti e regolari che garantiscono un contatto diretto con la realtà esterna.
Per approfondire: Opera Pizzigoni – Lucia Sacco. Scheda storica della Scuola Rinnovata
Nel 1917 Pierina Boranga giunge a Milano come profuga, in seguito all’esodo dal Friuli e dal Veneto avvenuto dopo la disfatta di Caporetto. L’anno successivo raggiunge il quartiere milanese della Ghisolfa, per assumere servizio alla “Scuola Rinnovata secondo il metodo sperimentale”.
Durante gli anni trascorsi a Milano, Pierina Boranga entra in contatto con l’editore Paravia, con il quale avrà una lunga e proficua collaborazione come scrittrice. Quale amante della natura diventa una divulgatrice scientifica di prim’ordine, autrice di numerosi volumi di divulgazione didattica e di letteratura per ragazzi.
Nel 1927 lascia Milano e fa ritorno a Belluno dove assumendo incarichi di responsabilità, incontra difficoltà economiche e organizzative nella gestione degli ambienti scolastici. Si tira sù le maniche e dà il via a una serie di iniziative per riqualificare la scuola, dove introduce diverse innovazioni che si rifanno al metodo Pizzigoni.
La sua attività capillare dà i primi risultati significativi nel 1930. Stringe una stretta collaborazione con i fratelli ingegneri Agostino e Guglielmo Zadra, che sviluppano il progetto di un edificio scolastico in linea con le sue indicazioni pedagogiche. Tra il 1932 e il 1934, in pieno regime fascista, viene costruita la scuola elementare “Aristide Gabelli”, con un’ampia zona per i giochi e un vasto giardino, con una parte coltivata ad orto, più simile in realtà a un orto botanico, con la messa a dimora di diverse essenze arboree perenni. All’inaugurazione avvenuta nel 1934, presenzia anche Giuseppina Pizzigoni.
Luogo di sperimentazione e di innovazione educativa, la scuola “Aristide Gabelli” diventa un vanto nazionale per la modernità del fabbricato e per la didattica applicata nell’insegnamento, ispirato ai principi pedagogici di Giuseppina Pizzigoni. Nel 1956 viene conferita a Pierina Boranga la Medaglia d’Oro dei Benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, in riconoscimento della sua opera.
Ma veniamo ad oggi, quando nel 2009 una serie di infiltrazioni e crolli interessano la scuola “A. Gabelli”, rendendo l’edificio inagibile e minacciando la conservazione della struttura e il materiale d’archivio che custodisce la storia e la memoria dell’edificio. La scuola ha vissuto una prolungata chiusura e un pesante degrado.
Nel 2014 la Scuola Gabelli si è classificata al 20º posto nel censimento nazionale I Luoghi del Cuore, promosso dal FAI – Fondo Ambiente Italiano, diventando il motore di un progetto di restauro condiviso tra singole persone, associazioni e istituzioni. Progetto che è iniziato nel 2016 e si inserisce in un più complesso programma di lavori di recupero messo in atto dall’amministrazione comunale riguardo sia l’aspetto strutturale che quello di manutenzione, finalizzato a evitare un ulteriore degrado e a restituire l’edificio alla sua funzione originaria.
Il FAI – Fondo Ambiente Italiano
È una fondazione italiana fondata nel 1975 con lo scopo di agire, senza scopo di lucro, per la tutela, la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico e naturale italiano attraverso il restauro e l’apertura al pubblico dei beni storici, artistici o naturalistici ricevuti per donazione, eredità o comodato. Promuove l’educazione e la sensibilizzazione della collettività alla conoscenza, al rispetto e alla cura dell’arte e della natura e l’intervento sul territorio in difesa del paesaggio e dei beni culturali italiani.
Il FAI è nato grazie a un’idea di Elena Croce, figlia del grande filosofo Benedetto Croce, si prefiggeva di emulare il National Trust inglese.
Quel 28 aprile, Giulia Maria Mozzoni Crespi, Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli firmavano l’atto costitutivo e lo statuto del FAI, forti di un entusiasmo e un’ambizione che viaggiavano, allora, sulle ali di uno splendido sogno. Dopo 40 anni, questo sogno si è trasformato in realtà, grazie all’impegno di tutti coloro che hanno deciso di prendere parte a questo enorme progetto, e alla generosità di tanti, tantissimi cittadini privati, aziende e Istituzioni che hanno sostenuto e sostengono quotidianamente il nostro lavoro… continua
IL MIELE
Un allarme che come FAI abbiamo già evidenziato nei mesi scorsi e che abbiamo raccolto lanciando la campagna API a tutela di questa importante specie, ospitando in alcuni dei nostri beni le arnie di apicoltori locali, offrendo le condizioni migliori per la prosperità delle colonie… continua
Le api e gli altri insetti impollinatori giocano un ruolo essenziale negli ecosistemi: un terzo del nostro cibo dipende dalla loro opera di impollinazione.
Se questi preziosi insetti sparissero, le conseguenze sulla produzione alimentare sarebbero devastanti.
Chi impollinerebbe le coltivazioni?
LE API
L’ape, dal latino apis, è un insetto dell’ordine imenotteri, appartenente all’omonimo genere della famiglia apidi, che comprende varie specie viventi in società polimorfe (presenza contemporanea di individui che assumono nella società funzioni diverse), persistenti, formate da tre caste:
- la regina, che è l’unica femmina fertile, è l’individuo più grande della società, viene nutrita dalle api operaie, manca dei dispositivi della raccolta del polline e non produce cera;
- i maschi o fuchi, che compiono soltanto la fecondazione e muoiono subito dopo l’accoppiamento, uccisi dalle operaie, rispetto alle quali sono in numero ridotto, leggermente più grossi, privi di pungiglione;
- le operaie, che nella stessa comunità possono raggiungere il numero di 20-25 mila, compiono tutti i lavori necessari alla società, e con la cera costruiscono i favi, fatti di cellette a sezione esagonale, che riempiono di miele e polline per la nutrizione delle larve.
L’Apis mellifica è l’ape domestica, allevata perché produce il miele e la cera utilizzati dall’uomo. Fra le sottospecie più importanti, l’ape italiana (Apis mellifica ligustica), molto apprezzata e allevata in tutto il mondo.
In Italia l’apicoltura è sviluppata, soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Veneto e Umbria. I consorzi degli apicoltori e degli enti apistici hanno lo scopo di vigilare sull’applicazione delle norme legislative concernenti la prevenzione delle malattie delle api, di diffondere la conoscenza dei metodi razionali d’allevamento e di reprimere le frodi.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
San Francesco di Sales
Le api sono attive collaboratrici dell’uomo fin da tempi molto lontani, grazie alle benefiche e utili sostanze che producono e alla loro opera di fertilizzazione delle piante da frutto. Fin dall’alba del mondo, infatti, si è consolidata tra le piante a fiore e gli insetti una grandiosa alleanza, che consiste in uno scambio di favori: il fiore, con i suoi colori e i suoi profumi, attira gli insetti, offrendo loro il nettare ‒ in forma di goccioline secrete in fondo alla corolla ‒ e il polline; a loro volta, frequentando i fiori le api si sporcano di polline i peli del corpo e, passando da un fiore all’altro della stessa specie, lo fanno circolare in giro, dando così ali alle nozze delle piante, che non sono capaci di muoversi.
L’ape ricama fili invisibili da un fiore all’altro e cuce il prato di luce. E il polline che porta con sé, se lo guardi bene, è una polvere d’oro simile alle stelle, solo che anziché galassie crea l’incantesimo del miele.
Fabrizio Caramagna
Come già aveva quasi intuito il grande filosofo greco Aristotele, esse sono capaci di scambiarsi informazioni altamente precise grazie a un sistema di comunicazione molto complesso. Un vero e proprio linguaggio che nel secolo appena trascorso è stato scoperto da uno scienziato austriaco, Karl von Frisch, decifrando il quale si è meritato il premio Nobel. L’ape perlustratrice, ad esempio, quando scopre una sorgente di cibo, fiori ricchi di nettare o di polline, rientra nell’alveare e danza sul favo comunicando alle compagne, che la seguono nelle sue evoluzioni, la direzione e la distanza del luogo. Questa danza comunica un’informazione molto complessa.
L’APE MAIA
Maia è una piccola ape dai capelli ricci e biondi, che dopo la nascita viene affidata alle cure di un’ape adulta, Cassandra. Essendo molto curiosa Maia si allontana dall’alveare e inizia a scoprire il mondo a modo suo in compagnia del suo migliore amico Willi, un piccolo fuco. I due amici inseparabili visiteranno posti nuovi e magnifici, con l’aiuto di altri animaletti tra cui Flip e Alessandro, una cavalletta e un topo che li aiutano sempre, Kurt lo scarafaggio, Tecla il ragno, Max il lombrico, Puck la mosca e le varie formiche.
L’Ape Maia è un anime per bambini (kodomo) co-prodotto nel 1975 dalla giapponese Nippon Animation e dall’austro-tedesca Apollo Film, tratto dal romanzo L’Ape Maia dello scrittore tedesco Waldemar Bonsels pubblicato nel 1912, e incentrato sulla fuga di Maia dall’Alveare e sulla sua crescita nell’affrontare il mondo da sola. Si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di formazione, e infatti nel finale Maia risulta determinante per la salvezza dell’Alveare, proprio in funzione della maturazione della sua esperienza nel mondo esterno.
Nel 1980 l’anime arrivò anche in Italia (sigla) riscuotendo un enorme successo e divenne un vero e proprio tormentone.
Nel 2014 è uscito nelle sale italiane L’Ape Maia – Il film. Prodotto dalla Studio 100, in Italia il film è stato distribuito nei cinema dalla Notorious Pictures.
L’APE MAGÀ
La piccola Magà (che nella versione giapponese è Hutch o Hacchi di sesso maschile, quindi un fuco) è l’unico superstite di un alveare distrutto da un esercito di vespe, oltre all’Ape regina che ha fatto in tempo a fuggire. Magà viene allevata con amore e dedizione da una femmina di Bombo, ancella della regina, ma viene rifiutata dai fratellastri. Scoperto di essere stata adottata e sentendosi mai pienamente accettata, la piccola Magà decide di lasciare la famiglia e di mettersi in viaggio alla ricerca della vera madre affrontando situazioni avventurose, anche difficili e pericolose.
Le avventure dell’Ape Magà (sigla) e Le nuove avventure dell’Ape Magà è un anime televisivo con titolo originale Konchū monogatari – Minashigo Hutch (Storia di insetti – L’orfano Hutch) creato da Tatsuo Yoshida, è stato prodotto dalla Tatsunoko fra il 1970 e il 1971 e trasmesso da Fuji TV. La storia ha avuto anche un seguito, sempre firmato Tatsunoko e prodotto nel 1974: Il ritorno dell’Ape Magà.
Seppur spesso associato all’Ape Maia, un anime di genere comico-avventuroso, quello dell’Ape Magà nella sua versione originale, si distingue nettamente per le sue vicende ed atmosfere tendenzialmente drammatiche, cupe, cruente, in alcuni casi persino spaventose. Come ad esempio episodi in cui Magà fa amicizia con altri insetti, e poi li si vede morire poco dopo in modo molto tragico (uccisi e mangiati dai predatori o vittime di qualche trappola o veleno degli esseri umani), oppure l’ape costretta ad ingaggiare delle vere e proprie battaglie con altri insetti, che vorrebbero ucciderla, oppure a fronteggiare alcuni cataclismi naturali.
Il motivo di una trama così triste e dura per un anime rivolto al pubblico infantile, è spiegato nella morale che gli sceneggiatori volevano insegnare ai bambini con il cartone: ovvero che la vita riserba a tutti difficoltà ed insidie, che vanno affrontate con coraggio e tenacia, ma che non sempre sono destinate a concludersi in modo lieto. (Le paure dei bambini e la TV)
Diversamente da altre nazioni, gli adattatori italiani scelsero per l’ape protagonista il nome Magà, cambiando il suo sesso da maschile a femminile proprio per sfruttare la notorietà dell’Ape Maia, ma questa modifica contribuì a generare una certa confusione ed ambiguità nei rapporti tra i personaggi.
La serie originale è poi stata rifatta completamente in Giappone nel 1989, intitolata Di fiore in fiore con l’Ape Magà, è caratterizzata da episodi totalmente nuovi e da una trama molto più leggera per adattarla ad un pubblico più giovane.
In un riadattamento americano intitolato Un alveare d’avventure per l’Ape Magà sono state eliminate diverse scene crude e drammatiche, modificando drasticamente diversi finali, dando così un costante lieto fine a quasi tutte le storie, che risultano molto più edulcorate e leggere rispetto alla versione originale giapponese.
Per questi due rifacimenti, in Italia, pur mantenendo il nome Magà, è stato ripristinato il sesso maschile del protagonista. Per quanto riguarda la versione originale dell’anime, non è stata più replicata in Italia.
Un lungometraggio animato è infine uscito nelle sale in Giappone nel 2010 ed è intitolato Konchū monogatari – Mitsubachi Hutch ~Yūki no melody~ (“Storia di insetti – L’ape Hutch ~La melodia del coraggio~”).
Il meraviglioso mondo delle api
Il meraviglioso mondo delle api parte 2
Il meraviglioso mondo delle api parte 3