STORIA DELLA BOXE
Pugili – Altorilievo di Toni Boni (1907-1980) Comune di Padova
La “boxe” o pugilato ha origini antichissime e nasce come sport di difesa personale, lo troviamo rappresentato in sculture, graffiti ed incisioni risalenti al III millennio a.C. (alcune delle quali conservate all’interno del British Museum).
Alcune fonti letterarie, come ad esempio l’Iliade di Omero, raccontano di combattimenti con i pugni, era infatti praticato già nell’Antica Grecia e nell’Antica Roma.
Ovviamente il pugilato di allora era assai differente da quello attuale: non c’erano categorie, il requisito indispensabile era essere uomini forti e di grande prestanza fisica, non esistevano guantoni ma lacci di cuoio rinforzati con placche di piombo, oltre a questo il match poteva finire anche con la morte di uno dei due atleti, se non di entrambi. Già praticato nell’antico Egitto, lo si ritrova successivamente nelle isole dell’Egeo praticato da “fanciulli”.
Nei tempi antichi esistevano due tipologie di pugilato: quello latino (pugilatus caestis), in cui erano consentiti colpi sia a mano aperta che chiusa, e quello greco (pigmachia) dove si poteva colpire anche con le gambe (per questo lo si definisce un antenato della moderna kick boxing).
Nel 668 a.C. il pugilato diventa disciplina olimpica; la prima medaglia è stata vinta da Onomasto di Smirne.
In epoca moderna
Nel XVIII secolo si volle dare delle regole al pugilato al fine di renderlo un’attività sportiva, in cui è più importante difendersi che attaccare. Nel 1719 nasce a Londra una scuola moderna di pugilato; nello stesso anno James Figg si autodichiara campione di boxe dopo 15 combattimenti vinti e nessun altro avversario che fosse disposto a sfidarlo. Ed è proprio in Inghilterra che nasce la figura del pugile professionista, raggiungere la vittoria equivale ad acquisire un enorme prestigio e a vincere concrete somme di denaro.
Nel 1743 Jack Broughton (allievo di Figg) scrive il primo regolamento (Broughton Rules) in cui è previsto: un ring circoscritto da corde, due “secondi” che accudiscono il “pugile”, due arbitri di cui uno specificatamente per il giudizio e l’altro per il tempo, non sono consentiti colpi effettuati con la testa, i piedi, le ginocchia e i colpi mirati sotto la cintura; nessun limite di tempo è imposto al match. Al pubblico è concesso scommettere sui pugili.
Un codice di disciplina fece sì che la boxe non fosse solo un combattimento violento e cieco, ma una precisa armonia tra difesa e attacco con l’introduzione della tecnica del colpire e ritirarsi e del fermarsi e bloccare il colpo avversario. Broughton rimase famoso sia per le sue vittorie sia per la sua grande onestà, durante e dopo gli incontri.
Ambire ad impossessarsi del titolo diviene così primario che nel metodo di combattimento difendersi e attaccare diventano una cosa sola. La corruzione comincia ad essere un fenomeno diffuso, hanno luogo degli incontri che presentavano dei lati oscuri, come il sospetto di accordi precedenti l’incontro. Attorno alla boxe ruotano ingenti somme di denaro tra premi e scommesse, tanto da necessitare di regole più rigorose.
Vengono così stilate le regole del marchese di Queensberry, ovvero il codice della boxe scientifica che contiene i fondamenti principali comuni anche alla boxe moderna:
– i guantoni diventano obbligatori;
– i round: la durata delle riprese viene fissata a tre minuti, con una pausa di un minuto; il numero delle riprese è variabile;
– il KO: viene istituito il conteggio di dieci secondi per il KO, e l’obbligo per l’altro atleta di allontanarsi senza colpire ulteriormente il pugile a terra;
– le categorie di peso, che inizialmente sono tre: massimi, medi, leggeri.
La boxe trovò rapida diffusione negli Stati Uniti d’America, ed è a New Orleans che nel 1892 si disputa il primo match del pugilato moderno valido per il titolo dei pesi massimi : John Sullivan e James Corbett si incontrarono secondo le regole del marchese Queensberry.
Nei primi anni del Novecento vengono fissate altre categorie di peso (medio-leggeri, piuma, gallo, mosca e medio-massimo) e viene stabilito che il numero massimo di riprese, così da limitare la durata dell’incontro. In mancanza del KO diventa necessario trovare altri criteri per la vittoria, che viene stabilita ai punti e vengono istituiti i giudici di gara.
Il pugilato attuale
L’incontro avviene su un ring, un quadrato rialzato circondato da 4 corde (tre per ogni lato); le dimensioni del lato variano dai 5 ai 6 metri, il quadrato è realizzato in materiale morbido per attutire i colpi.
I pugili devono indossare un casco morbido (dilettanti) e un paio di guantoni da calzare sopra ai bendaggi delle mani, un paradenti, i pantaloncini e una conchiglia per proteggere gli organi genitali (obbligo dei dilettanti), scarpette morbide e senza ganci. Vince l’incontro l’atleta che mette ”ko” (knock out) l’avversario.
I pugili si distinguono in professionisti e dilettanti.
I professionisti – gli atleti svolgono incontri pubblici e ricevono borse in denaro; il combattimento viene disputato tra due boxeur appartenenti alla stessa categoria di peso (Mosca, Super Mosca, Gallo, Super Gallo, Piuma, Super Piuma, Leggeri, Super Leggeri, Welter, Super Welter, Medi, Super Medi, Medio Massimi, Massimo Leggeri, Massimi).
I dilettanti – si cimentano in incontri senza fini di guadagno; in base alla loro età si distinguono in: cadetti (14/16 anni), juniores (17/18 anni), seniores (dai 19 anni in poi). Anche per i dilettanti esistono le varie categorie (Mini Mosca, Mosca, Gallo, Piuma, Leggeri, Super Leggeri, Welter, Super Welter, Medi, Medio Massimi, Massimi, Super Massimi).
La regolamentazione dello sport pugilistico, sebbene uniformata agli stessi criteri per quelle che sono le regole di combattimento, ha tutt’altro che uniformità d’indirizzo federale. Molte nazioni hanno due federazioni distinte per il professionismo ed il dilettantismo, molte altre no.
Tra i moderni campioni che hanno segnato la storia di questo sport ricordiamo: Muhammad Ali, Rocky Marciano, Jack Dempsey, Mike Tyson, Johnson, Primo Carnera, Marvin Hagler, Gorge Foreman, Evander Holyfield Bruno Arcari, Jack Arthur, Lennox Lewis, Patrizio Oliva.
Muhammad Ali, Rocky Marciano, Mike Tyson
Il pugilato dilettantistico è stato inserito nei Giochi Olimpici estivi a partire dall’edizione di Saint Louis 1904, da allora è sempre stato presente ad eccezione di Stoccolma 1912. A Londra 2012 è stato introdotto anche il pugilato femminile.
La boxe in Italia
La prima riunione pugilistica, intesa in senso moderno, si svolse a Verona il 1 maggio 1909. Vero pioniere del pugilato italiano fu il genovese Pietro Boine, che il 10 luglio 1910 a Valenza Po divenne anche il primo campione dei massimi, sia pure per l’Alta Italia.
Boine nel 1912 fondò a Milano il “Club Pugilistico Nazionale”; nello stesso periodo a Roma veniva aperta dall’americano James Rivers l'”Accademia Pugilistica”. Attorno a questi due poli si sviluppò un moto di interesse che portò – con l’incoraggiamento della Federazione Atletica Italiana – alla costituzione della Federazione Pugilistica Italiana a Milano nel marzo 1916, nel pieno della Prima guerra mondiale: Gian Domenico Roseo ne divenne il primo presidente.
La FPI si dette una struttura organica solo nel 1919 ed una squadra italiana prese parte per la prima volta ad un torneo durante le Olimpiadi Interalleate di Jonville (1920).
La Federpugilistica entrò a far parte del CONI nel 1927.
Il primo titolo europeo di un pugile italiano fu quello di Erminio Spalla (1923), il primo titolo mondiale quello di Primo Carnera (1933, nella foto a destra), entrambi pesi massimi. Carnera, un gigante (per forza e altezza) dal cuore buono (per la sua ingenuità e la sua buona fede), divenne un eroe nazionale, accolto e omaggiato rappresentò un modello da imitare nella propaganda fascista di Mussolini.
Negli anni Sessanta è Nino Benvenuti ad essere tra gli atleti più amati dal pubblico italiano.
Nino Benvenuti nasce a Isola d’Istria nel 1938, una località marina all’epoca territorio italiano poi passato nel dopoguerra alla Jugoslavia, abbraccia la carriera pugilistica spinto dalla passione che il suo stesso padre in gioventù aveva riversato in questo sport. Sin da bambino sogna di partecipare alle gare olimpiche, così prima di passare al professionismo partecipa alle Olimpiadi di Roma nel 1960 gareggiando nei pesi welter. Si aggiudica la medaglia d’oro consegnata in una custodia con all’interno una dedica a penna firmata da Jesse Owens, che stabilì un record nell’atletica leggera vincendo quattro medaglie d’oro alle Olimpiadi di Berlino (1936).
Ottiene anche la prestigiosa coppa Val Barker, che viene consegnata ogni quattro anni al pugile olimpico considerato tecnicamente migliore durante la competizione, “soffiandola” al mediomassimo Cassius Clay.
Benvenuti è destinato a segnare pagine importanti dello sport italiano: oltre che Campione olimpico, vince un titolo italiano dei pesi medi, un titolo europeo nella stessa categoria, il doppio titolo mondiale fra il 1967 e il 1970 e una breve parentesi come campione mondiale superwelter nel 1966.
Insieme a Marcèl Cerdan, Emile Griffith e Carlos Monzón, Nino Benvenuti è l’unico non nativo americano ad aver conquistato e difeso più volte il titolo mondiale indiscusso dei pesi medi nella storia del pugilato mondiale.
Considerato uno dei migliori pugili italiani e riconosciuto fra i più grandi pugili di ogni tempo dalla International Boxing Hall of Fame e la World Boxing Hall of Fame, ha ricevuto numerosi omaggi e riconoscimenti sia in Italia che all’estero. Dal 2014 è Socio Onorario della no-profit internazionale “Senza Veli Sulla Lingua”, in prima linea per l’abbattimento delle discriminazioni culturali, etniche e soprattutto religiose in particolare verso le donne, carica che riveste insieme ad altre personalità di spicco.
Benvenuti nel 1969 fa il suo debutto come attore a fianco di Giuliano Gemma, con cui aveva condiviso il servizio di leva presso la caserma dei pompieri alle Capannelle di Roma, in Vivi o preferibilmente morti, un film spaghetti-western di Duccio Tessari. E nel 1975 insieme a Franco Gasparri, star dei fotoromanzi Lancio, e Massimo Girotti meglio noto come Terence Hill, recita in Mark il poliziotto spara per primo, un poliziesco di Stelvio Massi.
Dopo il suo ritiro dall’attività agonistica ha stretto amicizia con Carlos Monzón ed Emile Griffith.
Nei miei ricordi da bambina ci sono gli appassionanti incontri pugilistici di Nino Benvenuti e Monzòn. Sebbene non amassi molto questo sport per via delle evidenti ecchimosi e ferite che deformano il volto, fratture varie e all’estenuante sfinimento e sofferenza a cui arrivavano a quel tempo i pugili negli incontri, mi sono trovata a tifare con i maschi di casa coinvolta dall’entusiasmo che sapeva trasmettere questo determinato pugile, condiviso da tutta la popolazione italiana.
Carlos Monzòn (1942-1995) è tra i più grandi pugili di ogni tempo, campione mondiale dei pesi medi dal 1970 al 1977.
Originario dell’Argentina è sesto di dodici figli, si ammala di tifo e il parere medico è pessimista sulle conseguenze della malattia, ma a dispetto di tutto ciò, Monzón svilupperà un fisico potente in grado di portarlo ai vertici della boxe mondiale di tutti i tempi.
Nel 1963 dai dilettanti passa al professionismo, guadagna la sua prima borsa di 3000 pesos, che corrispondono al guadagno di trenta anni di lavoro del padre. Dotato di una notevole altezza, 184 cm, per la sua categoria, deve il suo successo all’assenza di punti deboli: in lui nulla eccede ma vi è tutto. Pur non avendo grande scherma pugilistica, è essenziale, completo, con un fisico d’acciaio, un pugno pesante e preciso accompagnato da un notevole allungo ed è un ottimo incassatore. Caratteristiche che fanno di lui un pugile freddo, tranquillo, determinato, sempre padrone della situazione, spietato con gli avversari.
Pugile di successo è poco conosciuto a livello mondiale. È la sfida contro Nino Benvenuti a Roma nel 1970 a dargli la chance per conquistare la cintura di campione del mondo, confermata sei mesi dopo a Montecarlo con la rivincita concessa a Benvenuti, il quale pochi giorni dopo decide di lasciare definitivamente il mondo della boxe.
Monzòn difende il titolo altre tredici volte, un record nella categoria, sotto i suoi colpi cadono grandi campioni e si ritira in bellezza nel 1977.
Emile Griffith (1938-2013) è stato un pugile statunitense, originario delle Isole Vergini. Nello stesso anno (1958) passò dal dilettantismo al professionismo, ma la sua carriera venne segnata nel 1962 dalla tragica conclusione del match, trasmesso in diretta televisiva, valido per il campionato mondiale dei pesi welter disputato contro Benny Paret, un pugile cubano soprannominato The Kid. Per una serie fitta di colpi alla testa Paret crollò a terra privo di sensi, morì dieci giorni dopo a soli 25 anni per le lesioni al cervello procuratesi durante l’incontro.
L’incidente avviò un’indagine e un dibattito incentrato sul fatto se il pugilato dovesse essere considerato uno sport o meno; da allora la boxe non venne più trasmessa in televisione fino agli anni Settanta. Le polemiche si riaccesero un anno dopo con la morte di Davey Moore, caduto in coma dopo aver subito danni irreparabili al cervello a causa dei colpi ricevuti. Riemerse così un dibattito sui pericoli della boxe e la possibilità di vietare questo sport negli Stati Uniti. Bob Dylan scrisse una canzone sull’evento ponendo l’accento sulla responsabilità pubblica.
Griffith fu accusato per anni di aver volontariamente infierito sull’avversario e di avere fatto dell’incontro una sfida personale: i due, contendendosi il titolo, erano in meno di un anno alla terza sfida, inoltre Paret poco prima del match aveva definito Griffith un maricón, un effeminato, un vero insulto nel mondo maschilista della boxe.
Tali accuse in qualche modo oscurarono un po’ i successi e le vittorie successive di Emile Griffith. Egli sfidò per ben tre volte Nino Benvenuti tra il 1967 e il 1968, perdendo, conquistando e poi perdendo di nuovo il titolo dei medi, ciò non impedì che tra i due nascesse una grande amicizia.
In realtà Griffith nel corso degli anni nutrì dei sensi di colpa per l’incidente e in un documentario del 2005 dal titolo Ring of Fire: The Emile Griffith Story, alla fine lo si vede ricevere un abbraccio e il perdono dal figlio di Paret.
Lasciata la boxe dovette trovarsi un lavoro, avendo donato gran parte dei suoi guadagni alla sua famiglia, sviluppò lui stesso una Sindrome da demenza pugilistica (o encefalopatia traumatica cronica, CTE) a cui si aggiunse l’Alzheimer obbligandolo a dover ricevere assistenza a tempo pieno. Fu organizzata una raccolta fondi per aiutarlo, in Italia nel 2010 Nino Benvenuti diede vita a un tour per aiutare Griffith economicamente e per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia di Alzheimer.
MALATTIA DI ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer è una perdita progressiva e inarrestabile della funzione mentale, caratterizzata dalla degenerazione del tessuto cerebrale nelle aree vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive.
La principale causa di demenza senile è la malattia di Alzheimer, molto rara prima dei 60 anni, diviene più frequente con l’avanzare dell’età.
La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.
Ancora non si conoscono i fattori che la causano.
La demenza, come conseguenza della malattia di Alzheimer, ha di solito un esordio subdolo. Il primo segno è l’amnesia per eventi recenti. Nelle prime fasi, le alterazioni riguardano la capacità di giudizio e il pensiero astratto. Le caratteristiche del linguaggio possono subire variazioni poco significative; il soggetto può utilizzare termini più semplici o non esatti o non essere in grado di trovare le parole appropriate.
L’incapacità di interpretare elementi visivi può compromettere la guida. I malati di Alzheimer possono essere socialmente attivi, assumendo tuttavia comportamenti insoliti. Per esempio, possono dimenticare il nome di una persona che ha fatto loro visita e il loro stato emotivo può cambiare in modo imprevisto e improvviso. Possono perdersi, per esempio, durante il tragitto verso un negozio.
Man mano che la malattia progredisce, i pazienti hanno difficoltà a ricordare eventi passati, possono arrivare a non riconoscere i familiari, ad accentuarsi problemi come stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale e ad avere bisogno di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici. Poichè diventano completamente dipendenti da altri, può rendersi necessaria l’assistenza domiciliare.
Al momento non vi sono trattamenti in grado di fermare e far regredire la malattia, quelli disponibili puntano a contenerne i sintomi e nelle forme di grado lieve-moderato possono rallentare il declino mentale.
Prima dell’assunzione di un farmaco è necessario discutere col proprio medico dei relativi rischi e benefici.
Un estratto di ginkgo biloba (definito EGb) ha presentato effetti simili a quelli dei farmaci che solitamente vengono prescritti. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi su questa pianta medicinale, la cui assunzione può interferire con altri farmaci riducendone l’efficacia, pertanto non è adatta per l’autotrattamento.
MISURE AMBIENTALI
La creazione di un supporto ambientale può risultare molto utile. I pazienti spesso si sentono più a proprio agio nell’ambiente famigliare e di solito rimangono in casa. Occorre valutare e organizzare le abitazioni in termini di sicurezza. Programmi di attività moderata possono aiutare i pazienti a sentirsi indipendenti ed efficienti, rivolgendo l’attenzione verso compiti utili o piacevoli. Tali attività possono contribuire a migliorare lo stato emotivo. L’attività fisica è particolarmente importante e deve essere incoraggiata la costante attività mentale, compresi gli hobby, l’interesse verso l’attualità e la lettura. Può essere utile il contatto regolare con le stesse persone.
Si deve evitare l’eccessiva stimolazione, ma i pazienti non devono essere socialmente isolati. Alcuni miglioramenti possono verificarsi con la semplificazione della routine quotidiana, rendendo realistiche le aspettative dei pazienti e mantenendo in essi un certo senso di dignità e autostima.
Poichè la malattia è di solito progressiva è essenziale programmare il futuro.
Testo di riferimento: Il manuale della salute per tutta la famiglia – Merck, Raffaello Cortina editore, Springer 2004
Per approfondire: Malattia di Alzheimer – informazioni generali
Nota bene: questa non è una testata medica, le informazioni fornite da questo sito hanno scopo puramente informativo e sono di natura generale, pertanto occorre sempre fare riferimento al proprio medico di famiglia o allo specialista.