Immaginiamo di far parte di una cooperativa agricola. Una grande cooperativa con tanti soci. E un consiglio di amministrazione, regolarmente eletto.
La cooperativa è dotata naturalmente di una cassa comune, dove tutti i soci versano contributi: non solo per pagare i servizi comuni, ma per investire in macchinari agricoli, semi, fertilizzanti eccetera. E anche per far fronte (in modo mutualistico) alle spese sanitarie dei soci, e pagare loro, quando saranno vecchi, delle pensioni integrative, in proporzione ai contributi versati.
Queste spese comuni, però, cominciano a un certo punto a salire. Sempre più rapidamente. Somme sempre più consistenti su pressione dei soci vengono distribuite per l’assistenza sanitaria, le pensioni, mentre nuovo personale viene assunto, eccetera.
A un certo punto il bilancio della cooperativa, ovviamente, va in passivo. Perchè le spese superano le entrate.
C’è un deficit nella cassa comune.
L’amministratore dice allora ai soci: «Prestatemi dei soldi: vi darò un ottimo interesse. E così potremo continuare a spendere».
I soci versano allora i loro risparmi; e ricevono in cambio dei buoni. In questo modo l’amministratore può continuare a spendere come prima. Anzi, più di prima, perchè ora c’è del denaro fresco.
Tutti soddisfatti: perchè tutti ricevono soldi (i dipendenti, gli assistiti, i pensionati, gli amministratori). Anche i sottoscrittori del prestito sono contenti perchè alla fine dell’anno riceveranno ottimi interessi.
In realtà…
In realtà questi quattrini non vengono dall’esterno, da una vendita di prodotti della cooperativa sul mercato, cioè da un guadagno. Sono solo dei quattrini che circolano a circuito chiuso e che vengono ridistribuiti e consumati, tirandoli fuori dalle casse (dove il denaro, intanto, è di nuovo paurosamente diminuito).
Ecco allora che a questo punto l’amministratore chiede un nuovo prestito.
Con questo nuovo denaro potrà continuare a pagare gli interessi (vecchi e nuovi) a coloro che gli affidano i loro risparmi, e pagare anche tutte le altre spese, che nel frattempo sono enormemente aumentate.
Quando le casse saranno nuovamente a corto di denaro chiederà altri prestiti. E così via.
A un certo punto qualche socio chiederà che si investa in nuovi macchinari, in semi, in fertilizzanti. Per migliorare la produttività e far fronte alla concorrenza che si sta agguerrendo.
Ma in cassa scarseggiano i soldi per gli investimenti.
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Intanto sono aumentati i consumi, perchè la gente grazie ai soldi ricevuti direttamente o indirettamente, sta spendendo al di sopra della propria reale ricchezza.
Sono aumentate anche le importazioni, e si è innescato così un meccanismo tipico dell’inflazione.
Le casse della cooperativa, nel frattempo, sono diventate un disastro. Non solo è saltato l’antico equilibrio tra entrate e uscite (e quindi il bilancio è in deficit): ma il deficit ha generato debiti. Un mare di debiti che aumentano anno per anno di livello, perchè per pagare spese e interessi bisogna sempre più ricorrere a nuovi prestiti.
Il nostro è un paese costituito da 57 milioni di soci; i quali, per amministrare i loro beni comuni, hanno eletto un’assemblea, il Parlamento, e indirettamente quindi un governo.
I soci non sono molto soddisfatti di come funzionano i servizi comuni, cioè i servizi pubblici.
Sono spesso inefficienti, affollati di dipendenti al di là del necessario. E rispondono, spesso, più a clientele politiche e lottizzazioni, che a criteri di efficienza e di qualità.
I cittadini pagano naturalmente le tasse e i contributi. Questi quattrini (assieme ad altre entrate) vanno a finire in una cassa comune: le casse dello Stato. Servono per pagare non solo i dipendenti ma tutta una serie di servizi collettivi: l’educazione, i trasporti, la giustizia, l’esercito, la polizia, la ricerca eccetera. E ovviamente anche le pensioni e l’assistenza sanitaria.
Queste spese, però, cominciano a un certo punto ad aumentare. Sempre più rapidamente.
Infatti, sotto la pressione di gruppi e di categorie, vengono varate leggi che comportano, alla lunga, spese superiori alle entrate. Ognuno vuole sempre un po’ di più. E siccome il voto è segreto in Assemblea, escono spesso delle votazioni che esaudiscono le richieste di questo e quel gruppo di elettori, al di là della capacità di farvi fronte.
A un certo punto il bilancio dello Stato, naturalmente, va in passivo. Anche perchè vengono sovvenzionate aziende spesso decotte, gestite male e che gravano sulla collettività.
Cioè le spese, nel loro insieme, superano le entrate ricavate dalle tasse e dagli altri introiti tradizionali.
Dove trovare nuovi soldi, allora?
Lo Stato lancia un prestito. Chiede ai cittadini i loro risparmi, dando in cambio dei Buoni del Tesoro, o dei Certificati di credito, ad alto interesse.
Nelle casse dello Stato entra così molto denaro fresco.
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Tutti in apparenza sono quindi contenti; i dipendenti vengono pagati, ci sono fondi per le pensioni e la sanità, e i sottoscrittori ricevono alti interessi.
In realtà…
In realtà lo Stato aumenta il suo deficit e i suoi debiti. Deficit, perchè la differenza tra entrate e uscite continua ad aumentare. E debiti, perchè si accumulano, anno per anno, le somme da restituire a chi le ha prestate: non solo singoli cittadini, ma anche banche e organismi internazionali.
Ma c’è un altro problema: in questo modo vengono a scarseggiare i soldi per gli investimenti produttivi. Cioè le imprese, che cercano sul mercato i soldi per espandersi, si vedono concorrenziate dallo Stato, che offre ai risparmiatori interessi altissimi, pur di catturare quattrini.
Si crea così un ulteriore circolo vizioso: vengono a mancare soldi per investire, l’economia non cresce come potrebbe, e non cresce di conseguenza neppure il gettito fiscale. E quindi il deficit non si riduce.
I debiti dell’Italia stanno ora aumentando in modo così vertiginoso che stanno superando lo stesso prodotto nazionale lordo. Cioè stanno superando la stessa ricchezza prodotta in un anno dal paese nel suo insieme.
L’arancia nello spremitore
Indebitarsi è qualcosa di molto diffuso nella vita di tutti: per esempio un mutuo per comprare la casa, o delle cambiali per avviare un negozio. Le imprese continuamente ricorrono ai prestiti bancari.
Quindi l’indebitarsi, di per sè, non è qualcosa di negativo: a condizione che permetta di instaurare quello che si chiama un “circolo virtuoso”, cioè una spirale ascendente. In modo che questi prestiti vengano utilizzati per creare un’attività, per sviluppare un lavoro, eccetera. E accrescono così la ricchezza degli individui e del paese.
Anche uno Stato può fare altrettanto; non solo, ma ci sono persino investimenti non produttivi (tipici di uno Stato) che generano ricchezza a distanza: per esempio l’educazione. Se si chiede un prestito ai cittadini per sviluppare i cervelli dei loro figli in modo da raccogliere poi (dieci o vent’anni dopo) intelligenze e competenze, si è fatto un eccellente investimento, che potrà restituire ampiamente alla collettività i soldi spesi.
Ci sono altri investimenti non direttamente produttivi, ma che creano un contesto su cui una società civile può crescere: per esempio ospedali, ordine pubblico, giustizia eccetera. Quindi indebitarsi non va sempre visto in termini puramente contabili: ci sono in gioco molti altri elementi.
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Il problema è che ciò che entra da una parte non corrisponde a ciò che dovrebbe uscire dall’altra…
Quando, per esempio, mettiamo un’arancia nello spremitore, ci aspettiamo che esca dall’altra parte una certa quantità di succo. Se ne esce poco, o pochissimo, evidentemente c’è qualcosa nel meccanismo che non funziona.
In altre parole se in un sistema si inseriscono delle risorse, dei quattrini (magari presi a prestito), bisogna che dall’altro buco escano dei risultati proporzionali.
Per esempio è logico inserire quattrini nella scuola per ottenere competenze, o nei servizi pubblici per avere trasporti e poste che funzionino, nella sanità per avere un’assistenza efficiente, e così via.
In realtà però ciò non avviene. Ed ecco che i cittadini protestano. E poi cominciano a rivolgersi a servizi paralleli, spendendo altri quattrini.
Una catena di sant’Antonio
Ma vi è un altro problema ancor più grave. Ognuno di noi (e quindi ancor più uno Stato) può indebitarsi solo fino a un certo punto: oltre non può andare. Infatti anche se i servizi pubblici fossero efficientissimi, lo squilibrio rimarrebbe comunque nelle casse dello Stato. Perchè il problema di fondo è che lo Stato non può spendere più di quanto incassa.
Perchè in teoria uno Stato (diversamente da un individuo) può indebitarsi quasi senza limiti, ma in pratica così facendo impoverisce l’economia. E le generazioni future.
Ebbene, i conti del nostro Stato ci dicono che il deficit annuale rappresenta ormai l’80% del risparmio privato. E che ci stiamo squilibrando anche verso l’esterno.
Non soltanto le singole imprese si stanno indebitando con l’estero, ma lo Stato stesso ha contratto grossi debiti, con altri paesi e organismi, sui quali dobbiamo pagare ulteriori interessi. Insomma, così come qualcuno che si indebita fino al collo, analogalmente lo Stato si trova in una spirale dalla quale non riesce a uscire. Quali ne saranno le conseguenze?
Per un individuo o un’impresa, una situazione del genere porta, prima o poi, diritti al fallimento, alla bancarotta. Ma uno Stato può fallire?
Questa montagna di debiti trabocca oltre i nostri confini, per effetto dell’indebitamento estero e delle importazioni (poichè consumiamo più di ciò che produciamo), ed erode il valore della nostra moneta, rispetto al valore delle altre monete. I cambi tendono a salire e quindi tendono a salire anche i prezzi dei beni importati.
E infine questi quattrini bisognerà pur restituirli un giorno o l’altro alle persone che li hanno prestati: chi pagherà il conto in questa catena di sant’Antonio?
Beh, intanto lo stiamo già pagando noi. Nel senso che il deficit significa, per tutte le ragioni prima illustrate, un freno allo sviluppo. Significa costo del denaro più alto. Significa capacità produttiva diminuita.
Ma significa anche un dono avvelenato ai nostri figli. Perchè è sul loro futuro che verrà in buona parte scaricato questo debito.
Il paradosso delle pensioni
In teoria il sistema prevede che, come in una corsa a staffetta, i contributi di coloro che lavorano servono a pagare le pensioni di coloro che non lavorano più. Ma questo sistema sta saltando.
Perchè sta enormemente aumentando il numero dei pensionati, in proporzione a coloro che lavorano. È come se in una famiglia ci fossero più vecchi da mantenere con l’unico stipendio di chi lavora.
La massa dei soldi da pagare ai pensionati è già oggi superiore a quella versata da chi paga i contributi. E infatti coloro che vanno in pensione aspettano magari anni il pagamento, perchè… non ci sono soldi in cassa. E bisogna stanziarli con appositi decreti, prelevando questi soldi altrove, nel bilancio dello Stato. Secondo il ministro del Lavoro questo “sorpasso” avverrà tra breve anche per certi istituti autonomi di previdenza.
Come frenare l’emorragia?
Ecco quindi che le conseguenze del deficit e dell’indebitamento cominceranno a farsi sentire, concretamente, già a breve scadenza. Per l’assistenza sanitaria (che è la seconda voce passiva del bilancio) una situazione analoga si sta preparando.
Ma è un’intossicazione che si farà sentire, in pratica, un po’ ovunque nell’economia del Paese.
Questi problemi sono oggi al centro di un dibattito che non è solo economico, naturalmente, ma è soprattutto politico. Perchè il problema è di sapere come dovranno essere ripartiti questi grossi pesi. Sotto forma di diminuzioni di servizi? o di rimborsi? o di “stangate”?
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Un paese non può essere al tempo stesso inefficiente e ricco. Continuando a spendere più di quanto incassa. Questo chiunque gestisca un bilancio famigliare lo sa perfettamente. In tutti questi anni il deficit è stato “nebulizzato” verso il futuro, un po’ come si fa con gli scarichi inquinati nell’aria. Tanto gli strati atmosferici sono lontani, e nessuno sul momento se ne rende conto.
Ma a un certo momento la nube tossica raggiunge dimensioni impressionanti, e ce la ritroviamo sopra la testa.
Dobbiamo aspettare che si ingrossi ancor più?
Forse potrebbe essere utile “quotare” il debito pubblico sulle pagine finanziarie, accanto al listino di Borsa e ai rendimenti dei Bot.
Visto il successo di questo tipo di letture (che ormai dilagano persino sui giornali sportivi) sarebbe un’occasione quotidiana per seguire non solo l’andamento delle Fiat e delle Olivetti, ma anche l’aumento continuo dei nostri “buffi” di Stato.
E pensarci sù. Un po’ più seriamente.
di Piero Angela tratto da: Quark Economia – Per capire il mondo che cambia
*Tutte le immagini sono tratte da Pixabay.com
Quark Economia
Per capire il mondo che cambia
di Piero Angela
Editore: Garzanti, 1986
I meccanismi economici, sono così difficili da capire?
In questo nuovo libro Piero Angela, con l’aiuto di alcuni tra i maggiori esperti italiani (e con la chiarezza di linguaggio che i lettori ben conoscono), penetra nel labirinto. Illuminando, in particolare, le conseguenze della rivoluzione tecnologica che è attualmente in corso: i cambiamenti, infatti, sono diventati ormai rapidissimi, e quello che sta avvenendo nelle imprese, nei mercati, nella ricerca, avrà un’influenza crescente per la vita di ognuno di noi.
Guardando dentro il “meccanismo”, così come si guarda dentro una cellula, un cervello o un organismo, il libro cerca di spiegare come sono collegate le varie parti del sistema (tecnologia, nuovi modi di produrre, globalizzazione dei mercati, concorrenza, occupazione, bilanci, deficit, Borsa, finanza internazionale, scuola, gestione dei sistemi complessi, eccetera).
E cerca di mostrare anche come certi vecchi modelli non siano più in grado di garantire, come per il passato, uno sviluppo adeguato in un mondo che sta diventando sempre più competitivo.
Piero Angela è nato a Torino, ed è giornalista professionista. Per molti anni ha svolto il lavoro di inviato e ha realizzato numerosissime inchieste televisive di carattere scientifico. Collabora al quotidiano “La Repubblica” ed è autore di numerosi saggi [e numerosi libri su molti interessanti argomenti, NdA].
Tratto dalla quarta di copertina del libro
Spesso, quando si parla di tecnologia, c’è il timore che essa possa in qualche modo disumanizzare l’uomo, creare una società arida e meccanica o provocare inquinamenti e rischi negli ecosistemi umani. È vero che ci sono questi pericoli. Il fatto è che nessuno è in grado oggi di fermare lo sviluppo tecnologico (e nessuno probabilmente vorrebbe tornare al passato): la cosa che si può invece fare è cercare di capire meglio il sistema e agire perchè venga utilizzato nel migliore dei modi.
La tecnologia entra ovunque, ormai, nei sistemi umani, trasformando tutto. Dobbiamo imparare a gestirla al meglio, e anche a cogliere le grandi opportunità che essa offre.
Questo libro con rielaborazioni e arricchimenti, è tratto dalla serie televisiva Quark Economia realizzata da Piero Angela nel 1986.