A piantar un albero

 

L’amore è una pianta di primavera
che profuma ogni cosa
con la sua speranza persino
le rovine dove si aggrappa

Gustave Flaubert

Chi da bambino non ha mai sognato di vivere in una casetta sull’albero?

Ci sono adulti che hanno realizzato questo sogno. In diversi Stati, tra cui anche in Italia esistono villaggi le cui abitazioni sorgono sugli alberi nei boschi. Progettate per inserirsi nell’ambiente senza danneggiare gli alberi sono collegate tra loro da ponti e passerelle di legno sospese, così da non dover scendere mai a terra per spostarsi da un punto all’altro del villaggio. Le casette sono dei veri appartamenti a misura d’uomo e possono essere dotati di internet, tv, telefono nel rispetto dell’ambiente e senza sprechi.
Gli abitanti spesso sono persone che hanno scelto di abbandonare il caos della città e rifugiarsi sugli alberi per condurre un’esistenza diversa e più ecosostenibile, a contatto con la natura, contribuendo occupandosi del bosco e a volte ospitando chi voglia dare una mano o provare un’esperienza simile.

L’albero è un elemento sacro, rappresenta la vita, lo slancio vitale, la forza e la sicurezza. Un microcosmo il cui processo di evoluzione rappresenta e ripete la creazione dell’universo.

L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI

Un viandante camminava in quell’antica regione delle Alpi che penetra in Provenza, dove cresceva soltanto la lavanda selvatica. Dopo tre giorni di marcia, si accampò nei pressi di un villaggio abbandonato, le cinque o sei case senza tetto, rose dal vento e dalla pioggia, la piccola cappella dal campanile crollato, erano disposte come le case e le cappelle dei villaggi abitati, ma ogni traccia di vita ne era scomparsa.
Era un bel giorno di giugno pieno di sole, ma su quelle terre senza riparo ed alte nel cielo, il vento soffiava con una brutalità insopportabile. Ancora egli non aveva trovato acqua e niente poteva dargli la speranza di trovarne, quando gli sembrò di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. Pensando fosse il tronco di un albero solitario, si diresse là e vide che invece era un pastore, e una trentina di pecore stese sulla terra rovente si riposavano vicino a lui.
Il pastore lo fece bere dalla sua borraccia e, poco dopo, lo condusse al suo ovile, in una vallata dell’altopiano. Quest’uomo parlava poco, tratto tipico dei solitari, ma lo si sentiva sicuro di sé e fiducioso in questa sicurezza. Era insolito, in quel paese spoglio di ogni cosa.
Non abitava una capanna ma una vera casa in pietra, divise col viandante la sua zuppa e dopocena andò a prendere un sacchetto e riversò sul tavolo un mucchio di ghiande. Prese ad esaminarle una dopo l’altra con molta attenzione, separando le buone dalle cattive. Quando ebbe così davanti a sé cento ghiande perfette, si fermò e andarono a dormire.
La compagnia di quest’uomo dava pace al viandante, e l’indomani gli chiese il permesso di potersi riposare tutto il giorno a casa sua. Il pastore lo trovò del tutto naturale o, più esattamente, gli diede l’impressione che niente potesse disturbarlo.
Fece uscire il suo gregge e lo portò al pascolo, lasciò le sue pecore a valle con il cane a guardia, e invitò il viandante ad accompagnarlo se non aveva di meglio da fare. Arrivati sul luogo si mise a piantare la sua asta di ferro nel terreno, faceva così un buco nel quale metteva una ghianda, poi lo richiudeva.
Piantò così, con una cura estrema, cento ghiande. Piantava delle querce da tre anni in quella solitudine, centomila alberi in quel posto dove prima non c’era niente.
Un tempo, il pastore possedeva una fattoria nelle pianure e vi aveva realizzato la sua vita. Ma poi aveva perduto il suo unico figlio, poi sua moglie, e si era ritirato in solitudine, dove prendeva piacere a vivere lentamente con le sue pecore e il suo cane. Era arrivato alla conclusione che quel paese moriva per mancanza d’alberi.

“Ho visto Elzéard Bouffier per l’ultima volta nel giugno 1945. Aveva allora ottantasette anni. Vergons, il piccolo paese, portava i segni di un lavoro che per essere intrapreso necessitava di speranza. La speranza era quindi tornata. Era ormai un luogo dove si aveva voglia di abitare. Quando penso che un uomo solo, ridotto alle sue semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far sorgere dal deserto questa terra di Canaan, trovo che, nonostante tutto, la condizione umana sia ammirabile. Ma, quando prendo in considerazione tutta la costanza nella grandezza d’animo e l’accanimento nella generosità che ci sono voluti per ottenere questo risultato, sono preso da un immenso rispetto per quel vecchio campagnolo senza cultura che ha saputo condurre a buon fine quest’opera degna di Dio.”

Elzéard Bouffier è morto serenamente nel 1947 nell’ospizio di Banon.

Il racconto è liberamente tratto da “L’uomo che piantava gli alberi” di Giono Jean, Salani ed. 1996

“Non bisogna disdegnare nulla. La felicità è una ricerca. Occorre impegnarvi l’esperienza e la propria immaginazione”. Queste parole di Jean Giono fanno oggi quasi paura. Prefiggersi come scopo la felicità, propria o altrui, sembra eccessivo, smodato, presuntuoso, ma queste poche pagine ci dimostrano che siamo noi, cittadini, scettici, disillusi e delusi, a sbagliare: la felicità può e deve essere inseguita con serena e immutabile costanza. La costanza dell’uomo che piantava gli alberi.

commento di Bongiovanni C.

Non esiste immagine più nobile e generosa,
riferita alla figura umana.
Il corpo è un tronco
le braccia sono rami,
le gambe radici in movimento.
Ci voleva un cieco dalla nascita
per raggiungere questa visione.
Non è all’altezza la specie umana,
resta cespuglio che si contende il suolo.

Il racconto dei viaggi di un albero.

Alla 55esima edizione del Festival dei Popoli di Firenze, il 2 dicembre, sarà presentato in anteprima mondiale il documentario di Erri De Luca. Narra la seconda vita degli alberi, destinati a diventare navi, sculture, strumenti musicali, croci di vetta. Partecipano a questo viaggio i racconti di Gabriele Mirabassi, il suo clarinetto e suoi fabbricanti e Mauro Corona a spasso tra gli alberi cresciuti sulla frana del Vajont. Ma anche altri dalla Val di Fiemme, la Val di Fassa, il Salento. Fino alla lontana Istanbul.

 


Alberi che camminano di Erri De Luca (2014)

ALBERI E UOMINI

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