Dalle donne: Brigitte Bardot

“Ho scelto la solitudine per difendermi.
Mi preservo dall’umanità che mi circonda,
da questa umanità rumorosa e invadente”

Brigitte Bardot


La sua immagine ha inciso sulla storia del costume, assurgendo a icona di una nuova, controversa femminilità, allo stesso tempo moderna e primitiva, convenzionale ed emancipata.

La bellezza esuberante di un corpo quasi perfetto, modellato nelle forme e nel portamento dagli studi di danza, la grazia provocante del volto, caratterizzato dall’espressione imbronciata, e la sua stessa personalità, naturalmente incline alla trasgressione.

Brigitte Bardot nasce a Parigi nel 1934 dall’unione di Louis “Pilou” Bardot, industriale, e di Anne-Marie Mucel.
Considerata un’icona sexy negli anni Cinquanta, è soprannominata B.B.. A livello di immagine al suo pari, assurta a icona della sessualità femminile durante gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, vi sarà solo l’americana Marilyn Monroe.

Il suo esordio come attrice sul grande schermo avviene nel 1952 con il film “Le Trou Normand“, per la regia di Jean Boyer. Nello stesso anno, appena diciottenne, sposa il regista Roger Vadim con il quale vivrà una romantica storia d’amore per molti anni.

In questo periodo il cinema europeo è in grande sviluppo, i film di B.B. durante i primi anni Cinquanta sono caratterizzati da storie romantiche, poco impegnate, alcune a sfondo storico, le capitava di interpretare parti – che spesso lasciavano ammirare allo spettatore il suo bellissimo fisico – di ingenue eroine.

Sotto la direzione di Vadim, al suo esordio di regista, con il film “Piace a troppi” (Et Dieu… créa la femme, 1956) ottiene un successo grandissimo e trasforma Brigitte Bardot in una celebrità mondiale.

Al centro del racconto, ambientato nello scenario naturale di Saint Tropez, è il personaggio di Juliette, ragazza orfana, dai modi disinibiti e dalla bellezza provocante, che cerca l’amore nella triplice relazione con il ricco Morin e i fratelli Michel e Antoine. L’atteggiamento sfrontato, libero da tabù e condizionamenti morali, che caratterizza il comportamento di Juliette, delineava la figura femminile originale e profondamente ambivalente di una ‘nuova Eva’, capace di incarnare una tipica fantasia sessuale maschile, ma al tempo stesso di rappresentare i desideri di emancipazione che stavano emergendo nell’universo femminile.

Dopo aver compiuto una faticosa esperienza di vita vissuta a Hollywood, soprattutto per il disagio di una lingua diversa, B.B. decide di tornare in Europa. La sua immagine ne guadagna, tanto che sul nascere degli anni Sessanta Brigitte Bardot viene indicata come dea del sesso del decennio.
Gli aspetti più inquietanti del ‘personaggio B.’ furono esplorati in due film di maggior spessore, che svolgono in chiave drammatica il motivo classico della donna predatrice, il cui comportamento è fonte di disordine sociale.

In “La ragazza del peccato” (En cas de malheur, 1958) di Claude Autant-Lara, la Bardot è la ‘poco di buono‘ che sfrutta tutti i mezzi seduttivi a sua disposizione (compreso un famoso spogliarello, poi tagliato dalla censura) per indurre il famoso avvocato che la difende (Jean Gabin) ad abbandonare la famiglia per seguirla.

Due anni dopo, in “La verità” (La vérité, 1960) di Henri-George Clouzot, nel ruolo della ‘ragazza di liberi costumi‘, processata per aver ucciso il fidanzato della sorella dopo averlo sedotto, è sottoposta invece a uno ‘spogliarello psicologico’, al termine del quale si svela la vera natura di un’eroina romantica, destinata a soccombere di fronte alla condanna senza appello del senso comune.

Nel 1959 Simone de Beauvoir pubblicò un saggio in cui la figura dell’attrice, interpretata alla luce della “sindrome di Lolita”, con riferimento al personaggio letterario creato qualche anno prima da Vladimir Nabokov, veniva colta nella sua intrinseca ambiguità, in quanto incarnazione moderna dell’eterno femminino.

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La donna adulta ha oggi una sfera di vita pressoché uguale a quella dell’uomo; l’adolescente-donna si muove in un’atmosfera che è a lui impenetrabile; la differenza d’età ristabilisce quella distanza che si considerava presupposto necessario del desiderio. È almeno questo il colore su cui hanno puntato nel creare una nuova Eva sintesi dei tipi «frutto acerbo» e «donna fatale». Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe.

Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale.

Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito tradizionale della femminilità. Nei ruoli interpretati da Brigitte Bardot c’è anche un aspetto convenzionale. Ella vi appare come una forza naturale, pericolosa allo stato libero, e che proprio per questo, l’uomo deve addomesticare. È buona, generosa: in tutti i suoi films ama gli animali; se le accade di far soffrire qualcuno è sempre senza volerlo. Le sue bizzarrie, i guai che combina trovano sempre delle attenuanti nella sua estrema giovinezza e nelle circostanze; se si traviano è perché nessuno le ha indirizzate sulla giusta strada: ma un uomo, un vero uomo, saprebbe redimerle. Questo tipo è già stato sperimentato e lusinga la vanità maschile.

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E mentre il valore della sua immagine veniva paragonato a quello che avevano le esportazioni della Renault sulla bilancia commerciale della Francia, le movimentate vicende della sua vita sentimentale, scandita da matrimoni e divorzi, crisi depressive e nuove relazioni sentimentali, riempivano le pagine dei quotidiani e dei giornali scandalistici. Travalicati i confini del fenomeno cinematografico, il personaggio B. attirò anche l’interesse di scrittori e filosofi.

Tra i film di questo decennio ricordiamo “Vita privata (1961), diretto da Louis Malle, che contiene più di un elemento autobiografico. La scena in cui, rincasando, il personaggio interpretato dalla Bardot incontra una signora di mezz’età che la insulta, è basato su un episodio realmente accaduto, e getta una luce sugli aspetti meno noti della celebrità a metà del XX secolo.
Compare in film patinati come “Viva Maria (1969), muove qualche passo nella musica pop e vive a fondo il suo ruolo di icona femminile.
Nel 1965 interpreta se stessa nella produzione hollywoodiana “Erasmo il lentigginoso a fianco di James Stewart.

La scrittrice Marguerite Duras ha definito Brigitte Bardot come “L’impossibile sogno dell’uomo sposato”.

In “Una donna come me” (Don Juan 73, 1973), sèguito ideale di “Et Dieu… créa la femme”, sempre diretto da Vadim, B.B. è nel ruolo di un Don Giovanni al femminile, dimostrò di poter ancora catturare l’attenzione del pubblico maschile.
Ma nonostante le scene di nudo abbastanza spinte, il film non destò scandalo, a dimostrazione che la società e il cosiddetto comune senso del pudore erano ormai cambiati, anche per effetto dei suoi film.

B.B. contribuì al diffondersi del bikini con i suoi primi film – ricordiamo “Manina, ragazza senza veli (1952) insieme alle sue apparizioni a Cannes e ai numerosi album fotografici.

Nel 1974, all’età di quarant’anni, Brigitte Bardot annunciò il suo ritiro dalle scene. Da allora si è dedicata alla difesa dei diritti degli animali creando una Fondazione, finanziata vendendo all’asta numerosi oggetti personali, compresi i gioielli. Per tutti gli anni seguenti sarà a livello mondiale una delle più influenti attiviste dei diritti degli animali, nonché tenace oppositrice al consumo della carne di cavallo.

Nel 1996 pubblica il libro autobiografico “Initiales B.B.” (il titolo è ispirato all’omonima canzone di Serge Gainsbourg, in Italia pubblicato con il titolo “Mi chiamano B.B.” ed. Bompiani), in cui racconta la sua vita, la sua carriera di attrice, i suoi amori e il rapporto conflittuale con la stampa da cui si sentiva letteralmente assediata.

Nel 2003 pubblica il libro “Un grido nel silenzio” che ha scatenato contestazioni violente e condanne per ‘incitamento all’odio razziale’.

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Spesso hanno rimproverato al suo volto l’incapacità di cambiare espressione e la fissità della sua maschera, il mondo esteriore infatti non vi si riflette e da esso non traspaiono emozioni intime. Ma questa indifferenza le si addice, l’esperienza non ha segnato Brigitte Bardot, anche se è donna di vita come in «En cas de malheur», la lezione è stata troppo confusa per essere efficace. Senza memoria, senza passato, ella ritrova, grazie alla sua non-coscienza, quella perfetta innocenza che si attribuisce miticamente all’infanzia. A lungo fu presentata nelle sembianze di questo ingenuo e conturbante personaggio, Vadim nel presentarla parlò di «fenomeno naturale», ella non recita – diceva –, vive.
Nelle interviste appariva naturale, semplice [..] Era ombrosa, capricciosa [..] La si descrisse come un essere istintivo, totalmente soggetto ai suoi impulsi. Stravagante, di umore instabile, bizzarra, se Brigitte Bardot conserva l’ingenuità dell’infanzia ne ha anche il mistero: è uno strano piccolo essere, inquietante come la classica donna fatale. Nonostante tutto, questa figura non è estranea al mito tradizionale della femminilità.

All’incoscienza, all’inesperienza si può rimediare; ma Brigitte Bardot non è soltanto ingenua: è pericolosamente sincera. È compito della psichiatria porre un freno alla perversità di una «Baby doll», una ribelle si può convincere e redimere.
Ella, dell’opinione altrui non si interessa. Brigitte Bardot non cerca lo scandalo, non rivendica nulla; non sa di doveri e di diritti: segue il suo istinto. Mangia quando ha fame, in fatto d’amore si comporta con la stessa semplicità; il desiderio, il piacere, la convincono più delle consuetudini e delle norme. Non critica gli altri: agisce a suo modo ed è proprio ciò che smonta; non pone interrogativi, ma la franchezza delle sue risposte è tale che rischia d’essere contagiosa. Si può rimediare all’errore, alla stonatura, ma chi guarirebbe Brigitte Bardot da questa virtù assoluta: l’autenticità? È la sua stessa natura; né le rudi né le buone maniere, neppure l’amore saprebbero sopprimerla. Brigitte non rifiuta soltanto l’ipocrisia e l’inibizione, ma anche il calcolo, la premeditazione ed ogni sua variante: l’avvenire è ancora una di quelle invenzioni degli adulti alle quali ben si guarda di dare confidenza.

Lei simbolizza il credo che una parte della gioventù moderna oppone ai falsi valori, alle vuote speranze, all’impaccio, alla noia delle costrizioni.

I tenaci membri di certa reazione tradizionalista dichiarano: «Brigitte Bardot è il frutto dell’immoralità di un’epoca e come tale si esprime».
Il fatto è che non vogliono rinunciare al ruolo di signori e padroni. La vamp non lo metteva in pericolo, il fascino che esercitava su di loro era ancora sostanzialmente quello di un oggetto passivo; cadevano di propria volontà nella trappola magica, in essa si obliavano volontariamente, come ci si annega: la libertà, la padronanza della situazione, accompagnavano quest’atto di dedizione.

Il suo erotismo non è magico, ma aggressivo; nel gioco dell’amore, ella è ugualmente cacciatrice e preda; il maschio è oggetto come a sua volta lei per lui. È questo che ferisce l’orgoglio maschile: nei paesi latini gli uomini non sanno liberarsi dal mito della «donna-oggetto»; la naturalezza di Brigitte Bardot sembra loro più perversa di tutte le sofisticazioni. Disprezzare i gioielli, i belletti, i tacchi alti, rinunciare alla linea, è il rifiuto a costituirsi irraggiungibile idolo: è confermarsi a somiglianza dell’uomo, suo pari, è ammettere tra i due sessi una reciprocità di desiderio, di piacere. Ma l’uomo si sente a disagio se invece di una bambola di carne, stringe tra le braccia un essere cosciente che lo osserva e lo vaglia; una donna libera è l’assoluto contrario di una donna facile. Nelle sue parti di giovinetta smarrita, di puttanella senza casa né tetto, Brigitte Bardot sembra facile preda di ogni desiderio: ma paradossalmente, ecco, rende timidi.

«Lei capisce» mi diceva un francese del ceto medio «quando una donna piace a un uomo, bisogna che egli possa pizzicarle il sedere». Il gesto tra il licenzioso e il familiare riduce la donna ad un oggetto disponibile a piacere senza che ci si debba preoccupare di ciò che accade nella sua testa, nel suo cuore, nel suo corpo. Ma Brigitte Bardot non ha la componente «buona ragazza» che permetterebbe di trattarla con tale licenziosa disinvoltura; nulla in lei è triviale: possiede una specie di spontanea dignità, e la serietà dell’infanzia.

La maggior parte dei francesi ama purificarsi della tendenza alla licenziosità attraverso itinerari mistici e viceversa: con Brigitte Bardot i conti non tornano. Li riduce alla franchezza, sono costretti ad ammettere la crudezza del loro desiderio.


«L’amore, voglio che sia senza ipocrisia, senza storia»


Estratto da: “Brigitte Bardot“, di Simone de Beauvoir
Traduzione italiana di Piero Del Giudice, Milano, Lerici, 1960 (Oggi nel mondo, 4)

☆ ♥ ღ

Tu non hai mai realmente separato il lavoro dalla tua vita. Mi pare che non sia mai stata solo un’immagine estranea alla tua esistenza. Non sei stata capace di fingere fino a questo punto. Incapace di una simile ipocrisia, si potrebbe dire. Per ciò, hai affascinato tanto la gente, anche se certi hanno voluto mettere in scena il tuo personaggio. Ma questo personaggio era una donna viva, non un ruolo. È proprio questo il tuo apporto a una rivoluzione culturale, in particolare nel cinema. Ma non solo. Prima che si chiedesse, per strada o altrove, nel Sessantotto, l’abolizione dei conformismi, tu l’avevi non solo chiesto ma fatto. Prima che le donne rivendicassero il diritto ad essere se stesse, a non conformarsi a modelli imposti, tu avevi dimostrato la forza di un atteggiamento eversivo rispetto a ciò che si fa o non si fa. E, più che in nome di qualche perversità sessuale, era, mi pare, in nome della realtà e verità di quella che sei. Il tuo modo di pervertire era di essere semplicemente te stessa.
Per la nostra cultura, nulla è più trasgressivo di questo. Ma è qualcosa che si paga molto caro! Immagino il numero di pelli che hai perso offrendoti in una nudità che non era solo finta, artificiosa, di circostanza o tecnica, direi. Non mi stupisce che abbia lottato tanto affinché non si togliesse la pelle agli animali. Ma non è solo la tua pelle che hai rischiato, è tutta la tua vita nella sua carne, nel suo soffio, nella sua anima – ammesso che le cose si possano distinguere.

di Luce Irigaray – filosofa, psicoanalista e linguista belga.

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