Non si muore d’estate

Le onde – Ludovico Einaudi (1996)

MITO

Verrà il giorno che il giovane dio sarà un uomo,
senza pena, col morto sorriso dell’uomo
che ha compreso. Anche il sole trascorre remoto
arrossando le spiagge. Verrà il giorno che il dio
non saprà più dov’erano le spiagge d’un tempo.

Ci si sveglia un mattino che è morta l’estate,
e negli occhi tumultuano ancora splendori
come ieri, e all’orecchio i fragori del sole
fatto sangue. È mutato il colore del mondo.
La montagna non tocca più il cielo; le nubi
non s’ammassano più come frutti; nell’acqua
non traspare più un ciottolo. Il corpo di un uomo
pensieroso si piega, dove un dio respirava.

Il gran sole è finito, e l’odore di terra,
e la libera strada, colorata di gente
che ignorava la morte. Non si muore d’estate.
Se qualcuno spariva, c’era il giovane dio
che viveva per tutti e ignorava la morte.
Su di lui la tristezza era un’ombra di nube.
Il suo passo stupiva la terra.

Ora pesa
la stanchezza su tutte le membra dell’uomo,
senza pena, la calma stanchezza dell’alba
che apre un giorno di pioggia. Le spiagge oscurate
non conoscono il giovane, che un tempo bastava
le guardasse. Né il mare dell’aria rivive
al respiro. Si piegano le labbra dell’uomo
rassegnate, a sorridere davanti alla terra.

Cesare Pavese
(da Paternità in Poesie edite e inedite, 1962)

Due Parole

Si chiude un’esperienza, un frammento di esistenza che non tornerà più. Per quanto belle, certe stagioni sono destinate alla conclusione, e si portano via illusioni e speranze, le nostre. Svanisce la sensazione di forza e invincibilità. Cosa rimane, allora? Inquietudine. Abbattimento. Interrogativi angoscianti. Gettati nel mondo senza rete di sicurezza. Desiderio di fermarsi, riavvolgere il nastro del tempo e ricominciare tutto da capo. Le prospettive adesso cambiano. Accettazione forzata, forse. Oppure solamente la consapevolezza di una vita nuova, quella vera… non necessariamente peggiore. Nel segno di un ricordo che farà palpitare cuore e anima, mentre una lacrima solca il nostro volto.

(Salvatore D’Anna)

La creazione è al tempo stesso, benefica e misteriosa e l’umanità è solo una parte di essa, non il suo eguale e molto meno che il suo padrone.

Wendell Berry, poeta americano

Sembra che, con tutte le sue mancanze, la cultura del passato, la cultura delle società tradizionali e preindustriali fosse armoniosa, qualcosa non solo intero a sé ma di una integrità o equilibrio che includeva insieme ciò che era conosciuto e ciò che non lo era.
Una cultura sana ha un carattere integro, un ordine comune di memoria, saggezza, valori e reverenza. E ci permette, o ci incoraggia, ad incarnare aspetti della vita che altrimenti non potremmo conoscere. Essa rivela le necessità ed i limiti umani. Chiarisce i nostri legami con la Terra e con ogni altro essere.
Non vi era, a quei tempi, alcuna parole per “arte” almeno nel senso che intendiamo adesso, arte era tutto quello che veniva fatto bene ed in verità.
Ognuno era visto non solamente come un centro di produzione per le necessità materiali ma come il paradigma di un’arte cosmogonica, un sentiero meditativo, un supporto alla contemplazione. In alcune società l’attitudine a cuocere il pane o rifinire le assi di una sedia era una vocazione nel vero senso della parola: una parte inseparabile all’uomo che agisce, una parte inseparabile di una vita in cui espressione e bellezza erano caratteri integrati della vita come un tutto. Noi troviamo ciò riconfermato in molti oggetti, storie folk e miti, nei canti dei Navajos:

Io cammino nella bellezza
Verso la bellezza davanti a me io procedo
Alla bellezza sopra me io ascendo
Così si arriva (di nuovo) alla bellezza
Tutto finisce in bellezza.

Ogni volta che riconosciamo la bellezza, rispondiamo all’amore o ad alcuni aspetti della verità che muovono a noi, come il mare stesso è attirato da una invisibile forza di gravità spirituale.

Il male del nostro tempo è il disincanto, l’attaccamento fuori dalla magia delle cose, il lento inesorabile inaridimento delle antiche primavere. Qualcosa di importante ci è stato rubato.

Estratto da: IL LINGUAGGIO DELL’ANIMA di John Lane
pittore e scrittore, direttore artistico di Resurgence

 

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