Costa tanta fatica apparire quelli che non siamo.
Per tutti quelli che girano come trottole intorno al mondo solo perché non sanno stare fermi, quelli che sono appena tornati dall’Egitto e già dicono “l’anno prossimo mi faccio il Nepal”, che non hanno visto niente e conosciuto nessuno ma che eruttano come lapilli e lava foto, filmini e souvenir. Per quelli che si comprano tutto e accumulano oggetti nella speranza che gli riempiano la vita e ignorano i soggetti che gli girano intorno, che la vita gliela potrebbero riempire e pure complicare. Per quelli che “dottore mi dia qualcosa, qualunque cosa, basta che mi faccia smettere di soffrire” e giù pillole, pozioni, impacchi e cerotti, pellegrinaggi tra ambulatori, erboristi e farmacie. Per quelli dell’oroscopo e delle cartomanti. Per quelli, e giuro che sono tanti e diversi tra loro, che pur di non guardare in faccia la realtà si raccontano le balle più inverosimili, accomunati soltanto da una malinconica anestesia trasversale”.
Pino Tossici
“Cento giorni sul comò” è la storia di Peppino, un bambino impertinente, imprevedibile e sognatore alle prese con una famiglia scombinata e una madre decisamente impegnativa. Piena di flashforwards verso l’attualità del quotidiano, la storia è ambientata negli anni ’50 e ’60 di un’Italia uscita a pezzi dalla guerra, in un Paese che si andava ricostruendo con orgoglio e fatica e che stava vivendo un periodo di straordinaria prosperità che verrà ricordato come l’epoca del boom economico. Per arrivare, forse, a capire che la felicità esiste: basta solo imparare ad accorgersi della sua presenza.
Fonte: teatro.org
Cento Giorni sul Comò” di Pino Tossici, con post-fazione di Duccio Demetrio della Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, nel seno del quale il suddetto testo ha visto la luce, è una saporita disquisizione autobiografica animata da una singolare e piacevolissima vis comica. Vi si trova un condensato dell’esistenza del giovane Tossici, diviso tra ricordi romanzati e pezzi di cruda realtà personale, poesie in latino e buffi soprannomi. E se il nostro eroe dall’equivoco cognome, idolo della PAGS (alias premiata associazione Grandi Simpatici) riuscì a superare la fase pre-adolescenziale, con i primi “pruriti amorosi”, e persino una deriva ben poco ortodossa, non fu certo grazie all’interessante e complesso tessuto familiare…o forse sì?
Sembra si tratti, neanche troppo in fondo, di una lucida e veloce disquisizione di un modesto megalomane, stretto tra un’amore viscerale per una madre geniale, melodrammatica protagonista di un vita colorata e sofferta, un padre comprimario, una sorella maggiore saggia e talentuosa (ma non preferita), sullo sfondo di accenni di depressione e fruttuosa psicanalisi. Tra episodi cruciali rivisitati in presunte rappresentazioni tragicomiche a scopo terapeutico e amletici dubbi esistenziali, operazioni alle tonsille e inconfessabili racconti di scacchi di mascolinità, sonetti danteschi e grandi maestri come Achille Tartaro, Pino divenne uomo, marito, padre e lacerato individuo pronto a lottare con le sue stesse incongruenze, citando il dolore di Alda Merini, suggestioni proustiane e ricordi di riferimenti classici come “Il Giovane Holden”.
Assorto in una paternità consapevole (ma non per questo meno dolcemente devastante), non piegato nemmeno da anni di lavoro in banca, e consegnato il suo racconto alle maglie strette della scrittura, Pino Tossici appare oggi tutt’altro che svelato.
di Sara Rania alias Kitsuné
“Costa tanta fatica apparire quelli che non siamo, un vero spreco di energie. Va bene raccontarsela un po’, bisogna pur tirare avanti e a volte è perfino necessario, ma c’è un limite alle narrazioni. Altrimenti la vita, quella vera, ti passa accanto ma non ti tocca. Ti fa marameo e ti lascia lì, abbracciato al tuo specchio truccato. Come un pirla”.
L’infaticabile Pino Tossici, eclettico, poliedrico artista romano ed esperto di autobiografie (classe 1947), laureato in giurisprudenza e con un background bancario, ha una innata passione per lo spettacolo che lo ha portato nei decenni a coltivare tenacemente musica, teatro e scrittura. Cantautore, più volte sul palco del Folkstudio di Roma, ha raccolto l’ultima produzione nel CD “Se le api sono poche”. Per il teatro, oltre allo spettacolo di teatro-canzone “Diario di border”, ha scritto numerose pieces. Tra esse, insieme a Francesca e Natale Barreca ha scritto “Fioretti d’amore” (2010), “Alfabeto muto” (2011) e “Il tabulè di Tito” (libero adattamento del “Tito Andronico” di William Shakespeare) (2012) e poi le ha interpretate sotto la direzione di Stefano Maria Palmitessa, regista romano con cui, nel 2009, ha fondato la compagnia Paltò Sbiancato. Come attore, tra i tanti ruoli, è stato anche Lopachin nel “Giardino dei Ciliegi” di Cechov nel 2008 al Teatro Eliseo di Roma per la regia di Claudio Jankowski.
Ma non finisce qui.
Counsellor autobiografico, Tossici collabora con la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR), presso la quale si era precedentemente diplomato, ed è socio fondatore di “Salva con nome”, associazione culturale per la conservazione e valorizzazione della memoria. Ha scritto biografie, tra cui “Il guerriero di Primavalle”, in dialetto romanesco. Dal 2006 al 2010 ha tenuto corsi di Scrittura di sé presso l’Università Popolare della Tuscia a Viterbo.
Fonte: teatro.org