Già durante la Prima Guerra Mondiale, la più grave disfatta nella storia dell’esercito italiano, in Italia si profilava quella che sarebbe stata una grave crisi economica che portò a una serie di lotte operaie e contadine, che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l’occupazione delle fabbriche del settembre 1920. Soprattutto nell’Italia settentrionale le agitazioni si estesero anche alle zone rurali e furono spesso accompagnate da scioperi, picchetti e scontri che suscitarono grande timore nella borghesia.
Questo periodo fu definito storicamente: il biennio rosso, con il quale negli anni 20 si volle giustificare la reazione fascista che ne seguì, mentre negli anni 70 fu esaltato come uno dei momenti di forte scontro di classe, esemplare sul versante dell’organizzazione della classe operaia e la spontaneità delle sue lotte.
In tutta l’Europa post-bellica gli ex combattenti, reduci di guerra, si costituirono in proprie associazioni diventando un elemento importante del quadro politico, difendendo il prestigio internazionale del proprio paese e rivendicando importanti riforme politiche e sociali.
In Italia gli ex combattenti si distinsero in due tipi di orientamenti politici:
uno più radicale, che trovò espressione nell’associazione degli arditi e nei nazionalisti estremisti come D’Annunzio e Marinetti, e dei Fasci di combattimento fondati da Mussolini nel 1919, che compirono rilevanti occupazioni soprattutto al sud dove incombevano le lotte sociali contro i latifondisti;
e un secondo orientamento più moderato, rappresentato dalla Associazione Nazionale Combattenti che si era posta come obiettivo un nuovo assetto democratico dello Stato, ispirandosi ai “Quattordici punti“.
Fu questo un discorso pronunciato dal presidente Woodrow Wilson nel 1918 davanti al Senato degli Stati Uniti con cui indicava i principi necessari per poter giungere a un possibile ordine mondiale e a una pace giusta e durevole:
- il diritto dei popoli all’indipendenza nazionale e all’autodeterminazione;
- il rispetto dei confini naturali dei singoli Stati;
- la riduzione degli armamenti;
- l’abolizione delle barriere doganali;
- la libertà dei commerci e dei mari;
- la fine della diplomazia segreta.
- Infine, un associazione generale di tutte le nazioni avrebbe dovuto far rispettare i diritti di tutti gli Stati e in particolare dei più piccoli e dei meno potenti.
LA RIVOLUZIONE RUSSA
I moti contadini e le lotte operaie al nord Italia invece furono egemonia dei socialisti, infiammati dalla Rivoluzione russa del 1917 che portò al rovesciamento del regime monarchico zarista e all’istituzione di un governo provvisorio gestito dai menscevichi, l’ala moderata del movimento rivoluzionario russo, più propensa a un’evoluzione graduale verso il socialismo attraverso una politica delle riforme.
Sebbene i tempi non fossero maturi, il partito bolscevico guidato da Lenin e Trotzkij a nome dei Soviet (associazioni) degli operai e dei contadini, proseguì la lotta con la Rivoluzione d’ottobre che portò alla nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, il primo stato al mondo ad essere socialista.
Dal 1917 al 1921 la Guerra Civile Russa vedrà la vittoria dell’Armata Rossa (bolscevichi) sull’Armata Bianca (contro-rivoluzionari). A seguito di ciò, nel 1922 verrà istituita l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), il primo passo verso una società comunista così come l’ha teorizzata Lenin, rielaborando gli scritti sul socialismo scientifico di Marx ed Engels.
In Italia nel 1919 dopo una giornata di scontri, scoppiò violenta la contrapposizione tra socialisti e nazionalisti, tra manifestanti e contro manifestanti, arditi, futuristi e i primi elementi fascisti dei neocostituiti Fasci italiani di combattimento, che si fecero notare per la prima volta a livello nazionale, e diedero sfogo a un antisocialismo, che fu ribattezzato antibolscevismo.
Nel 1921 all’interno del Partito Socialista Italiano avviene una scissione e nasce il Partito Comunista d’Italia che, accettando le condizioni poste, entra a far parte con una storia complessa e travagliata della Terza Internazionale.
In URSS alla morte di Lenin nel 1924 gli successe Stalin, che avviò un programma di rapida industrializzazione e di riforme agricole, sviluppando rapidamente l’economia socialista, prerogativa necessaria per imboccare la via matura che avrebbe portato al socialismo bolscevica. In realtà egli divenne progressivamente il dittatore del suo Paese, mettendo in atto una feroce repressione e un periodo di terrore, di Grandi purghe, di deportazioni nei gulag eliminando tutti i suoi reali o presunti avversari.
Durante la guerra civile spagnola (1936-1939) l’Unione Sovietica volle fornire aiuto ai repubblicani contro i nazionalisti, che avevano messo in atto un colpo di stato a favore del generale Francisco Franco usufruendo di consistenti aiuti da parte di Hitler e di Mussolini. Entrerà poi nella coalizione dei paesi democratici dell’Occidente unendo le forze contro le dittature nazi-fasciste, e avrà un ruolo determinante nella sconfitta di Hitler.
IL NAZIONALSOCIALISMO DI HITLER
Il Nazionalsocialismo è un’ideologia che esprime un nazionalismo e un totalitarismo di estrema destra che si contrappone al carattere internazionale e universale del socialismo marxista. Nel 1904, da una scissione interna al sindacato unitario in quello che allora era l’Impero austro-ungarico, nacque il Partito dei Lavoratori Tedeschi (DAP) che nel 1918 prese il nome di Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi.
In omaggio a questo partito austriaco, nel 1915 a Monaco di Baviera fu fondato un Movimento DAP. Esso derivò da una serie di piccoli gruppi politici locali di orientamento socialista, statalista, e anticapitalista nazionalista e di estrema destra che sorsero negli ultimi anni del primo conflitto mondiale. Nel 1919 si volle diventasse un partito, con l’auspicio di potersi mettere in contatto sia con le masse popolari che con i nazionalisti, diversamente dai partiti del ceto medio. Su di esso ebbe considerevole influenza la Società Thule, un’organizzazione di stampo razzista, fortemente antisemita e völkisch (ideologia di carattere conservatrice, emotivamente motivata da credenze, paure e speranze la cui priorità è la tutela del Volk, inteso come comunità di Sangue e Suolo. L’elemento nazionale, quello popolare e quello razziale si compenetrano con forza, alludendo a una complessa fisionomia nordico-germanica che tende a racchiudere in sé razza, popolo, stirpe, lingua e natura).
I membri iniziali erano circa 40 persone, vi entrò poi a far parte Adolf Hitler e il partito crebbe velocemente; nel 1921 il DAP fu rinominato come Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi o in forma abbreviata Partito Nazista (NSDAP). Il nome fu preso in prestito dal partito austriaco, nel tentativo di attrarre l’attenzione di una più larga parte della popolazione. Esso si basava su un programma politico indicato da Adolf Hitler nel suo libro Mein Kampf. Hitler interpretò in modo molto personale i concetti di nazionalismo e di socialismo.
Mentre il Nazionalismo, è citato come la devozione del singolo per la sua comunità nazionale, il socialismo è descritto come una responsabilità della comunità nazionale per l’individuo.
di Joachim Fest, Hitler. Una biografia (1973)
Il Nazismo è stato considerato affine al Fascismo ma le ideologie si distinguono, nel Nazismo per esempio lo Stato è considerato un’autorità messa al servizio del Partito, al contrario di ciò che avvenne in Italia, in cui il Partito Fascista venne messo al servizio dello Stato. Mussolini doveva rispondere ad un sovrano del proprio operato in qualità di primo ministro, Hitler non doveva rispondere ad alcuno delle proprie azioni.
Egli elaborò le sue teorie politiche partendo dalla convinzione che l’Impero austro-ungarico fosse stato indebolito dalla diversità etnica e linguistica, perciò una concezione di base del nazismo è il Pangermanesimo, ossia la riunificazione di tutti i territori germanofili. La democrazia era vista come una forza destabilizzante poiché poneva il potere nelle mani delle minoranze etniche.
Hitler conquistò il potere cavalcando da un lato lo scontento e l’orgoglio ferito del popolo tedesco insorto per la sconfitta subita nella Prima Guerra Mondiale, dall’altro le difficoltà nel tentare di stabilire per la prima volta una democrazia liberale in Germania (denominata allora Repubblica di Weimar dal 1919 al 1933, dal nome della città dove venne adottata la Costituzione).
In aggiunta, era in atto una grave crisi economica, aggravata dalle forti sanzioni imposte con il Trattato di Versailles (1919) in seguito al quale oltre a perdere le colonie d’oltremare e alcuni territori metropolitani, la Germania dovette pagare ingenti danni di guerra, a cui si aggiunse la grande depressione del 1929. Un insieme di fattori che fecero scivolare la nazione in uno stato di caos.
Nel 1934 Hitler salì al potere attribuendosi per legge il titolo di Führer e Cancelliere del Reich, accentrando nelle sue mani i poteri dello Stato e instaurando un regime dittatoriale con un unico partito, il suo. Per accrescere il consenso tentò anche un approccio con le istituzioni religiose, senza per questo esimersi dal confutare con argomenti razionali la veridicità delle dottrine. Nella propaganda del suo regime fece un uso distorto dei sentimenti religiosi e dei simboli esoterici legati alla vittoria e a tutto ciò che è luminoso e grandioso. La Croce Solare e la Svastica ad esempio sono simboli di devozione verso il Sole propri del Paganesimo, una delle forme più antiche di religione, in Oriente è simbolo del legame dell’astro con la terra (Sol Levante).
Un possente ed efficace programma di ristrutturazione economica e di riarmo militare permise a Hitler di perseguire una politica estera estremamente aggressiva, di forte espansione a spese delle popolazioni dell’Europa orientale. Fu un susseguirsi di atti di sfida che la comunità internazionale inutilmente cercò di mediare. Nell’imminente scoppio della Seconda Guerra Mondiale le potenze occidentali non furono in grado di giungere ad un accordo con l’Unione Sovietica per un’alleanza contro la Germania. Hitler ne approfittò concludendo con Stalin un patto di non aggressione (che poi non rispetterà, quando nel 1941 con l’Operazione Barbarossa invaderà l’Unione Sovietica).
Alla sua ultima pretesa, ma non concessa, restituzione di Danzica (territorio tedesco ceduto alla Polonia con il Trattato di Versailles), forte del patto con Stalin, giunse a invadere la Polonia il 1º settembre del 1939, provocando lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Il Führer mise in atto un programma di sistematica segregazione ed eliminazione anche fisica degli avversari politici e di persone appartenenti a categorie ritenute inferiori o dannose per la società, legittimando lo sterminio delle popolazioni slave, di etnie romanì (zingari e Rom), Testimoni di Geova, omosessuali, disabili fisici e mentali, prigionieri di guerra, comunisti, oppositori politici, e in particolar modo i pogrom (uccisioni di massa) degli ebrei russi e degli ebrei in genere, considerati coinvolti nelle speculazioni della prima guerra mondiale. Il Movimento völkisch li ritenne i veri responsabili di una sconfitta… inaspettata.
Oramai queste forme di autoritarismo non hanno più senso d’essere in un mondo percepito in modo globale come quello di oggi, in cui appare evidente che niente ci appartiene, di ogni risorsa che ci viene donata ognuno ha il diritto di beneficiarne, ma anche il dovere di prendersene cura, responsabilmente. Un bene comune che la Comunità intera è tenuta ad amministrare perchè sia durevole. L’inedia, l’arroganza, la prepotenza non sono che espressione della nostra reale impotenza di fronte a un’effimera sostanza che noi ci illudiamo di possedere (la Natura ce lo ricorda, basta un nulla per perdere tutta l’impalcatura che ci abbiamo costruito sopra). È una mancanza che può essere colmata solo se ci percepiamo come comunità, in cui l’uno non sfrutta o domina l’altro, ma si sostengono vicendevolmente in un clima di reciproca fiducia. È responsabilità di ognuno prendersi cura dell’altro, così come la comunità globale deve prendersi cura del singolo e garantire a tutti un minimo di sussistenza, una base da cui partire per potersi creare una dignitosa esistenza.