Attenzione: contenuto potenzialmente sensibile, non adatto ai minori d’età.
Col nostro corpo, non abbiamo mai avuto un rapporto felice. Abbiamo i capelli troppo ricci o troppo lisci, il naso troppo largo o troppo stretto, il seno troppo abbondante o troppo scarso. Peli e odori del nostro corpo ci fanno ribrezzo. Abbiamo la pancia, siamo ossute. Quanto agli organi genitali, cerchiamo di ignorarli (sono le “vergogne”) come cosa un po’ sporca, che non si può nominare. E poi ci sono quei piccoli particolari, come un neo dietro l’orecchio sinistro, che ci fanno impazzire.
In altre parole facciamo sempre dei paragoni, non siamo soddisfatte di come siamo: brutte, misere. E non c’è da stupirsi!
La donna ideale è un modello in continua trasformazione, che cambia con la moda (per esempio, ora si esalta il seno piccolo, ora quello prosperoso), ma che è sempre lì, a imporci di misurarci con lei. Sfortunatamente questo modello non è il nostro ideale: non l’abbiamo creato noi. Eppure la famiglia, gli amici, la scuola, la chiesa, la televisione, il cinema, tutti ci chiedono di modificarci per corrispondere a questa immagine, di standardizzarci e di nascondere le nostre differenze individuali.
Ci spingono a sentire che il nostro corpo non è nostro. La “figura” è destinata all’ammirazione di un (potenziale) compagno: i seni alle carezze dell’“uomo della nostra vita”, alla poppata dei bambini, all’esame del medico; e lo stesso messaggio, “giù le mani”, vale ancor più per la vagina. Diamo per scontato che spetti agli altri, chiunque siano, di giudicare senza appello se abbiamo messo in giusto risalto i nostri “più” e minimizzato i nostri “meno”, e tuttavia sappiamo, chissà come, che assai più delle carte in nostro favore saranno notate e ricordate quelle sfavorevoli.
Siamo state educate a ritenere la mente superiore al corpo. Vogliono da noi un “approccio razionale”, non una reazione emotiva.
Quando ho avuto il mio primo bambino, per la prima volta nella mia vita ho capito che il fisico è importante tanto quanto la mente. Sentivo tutto intero il mio corpo. Allora mi sono lasciata andare, mi sono resa conto che il mio corpo è straordinario.
D’altro lato, siamo costrette ben presto a riconoscere che l’“emotività” è una debolezza inevitabile del nostro sesso. Ne risulta che siamo battute in partenza: se abbiamo reazioni emotive siamo deboli, e se abbiamo le idee chiare non siamo femminili. Non esistono modelli culturali che trovino un punto d’incontro tra queste immagini inconciliabili di noi stesse.
L’esperienza del movimento femminista ha operato un mutamento radicale del nostro modo di pensare e di sentire il nostro corpo.
Di recente, prendendo coscienza del mio corpo, mi sono resa conto che certe parti che io avevo l’impressione di sentire non esistono, e che altre sono composte da numerosi elementi minori.
Ho scoperto anche che esistono processi mentali e processi fisici che operano insieme: che quando ho il petto oppresso e come risucchiato mi sento infelice o depressa, che quando sono triste mi si chiude la gola. Rendendomi conto di certi nessi, ho cominciato a modificarmi. Gradualmente ho percepito una nuova forma di armonia, di interiorità, mentre le mie due realtà, mentale e fisica, si fondevano in una cosa sola.
Ci siamo descritte a vicenda le occasioni in cui ci sentiamo inferiori, soprattutto dal medico, per ignoranza di noi stesse; a vicenda ci siamo aiutate ad affrontare lo studio del nostro corpo per essere in grado di incidere in questa situazione.
Finchè non abbiamo cominciato a preparare questo materiale, molte di noi non conoscevano nemmeno i nomi delle diverse parti anatomiche.
Alcune avevano captato frammenti di informazione riguardo a talune funzioni specifiche del corpo (mestruazioni, ad esempio), ma non si erano mai spinte oltre.
Tutti questi tabù sul corpo ci sono sembrati tanto più profondamente radicati non appena il discorso riguardava il sesso o la riproduzione.
La conoscenza di nozioni fondamentali inerenti alla nostra anatomia e fisiologia ci aiuta ad avere maggiore familiarità col nostro corpo. Imparare tutto questo per noi è stato molto bello. È meraviglioso scoprire che questa materia non è poi così difficile come credevamo. Conoscere la terminologia medica significava essere in grado di capire ciò che dice il medico. Comprendere il linguaggio dei medici li rende meno misteriosi e terrorizzanti. Ci sentiamo più fiduciose nel porre domande. Talvolta un medico si stupiva nello scoprire che parlavamo il “suo” linguaggio. “Come mai sa questo? Forse studia medicina?” ci chiedevano spesso. “Non sono cose che riguardano una ragazza carina come lei”.
E invece ci riguardano. Grazie ai nostri interessi, noi acquisiamo conoscenze mediche.
Le nostre domande sono servite a far capire a molti medici che la donna vuol saperne sempre di più sui fatti clinici, trovando in alcuni di loro una disponibilità sincera, mentre altri, apparentemente d’accordo, continuano invece a “sistemare” le pazienti con tattiche nuove.
Cosa altrettanto importante dell’apprendimento di nozioni specialistiche, abbiamo messo in comune le nostre esperienze; abbiamo maturato una consapevolezza sia delle differenze sia delle somiglianze presenti nella nostra anatomia e fisiologia. Abbiamo cominciato ad aver fiducia in ciò che sappiamo, e questa fiducia ci ha aiutato a parlare delle nostre sensazioni.
Ero solita chiedermi se il mio corpo fosse anormale, anche se non avevo alcun motivo per crederlo. Non avevo alcun termine di paragone finchè non cominciai a parlare con le altre donne. Ora non ho più l’impressione di essere un fenomeno.
Abbiamo capito che facevamo un gran parlare dei nostri organi genitali, ma che non avevamo con essi la stessa familiarità che avevamo con le altre parti del corpo. Abbiamo scoperto che è utile usare uno specchio per guardarci.
Tra noi, alcune hanno stentato a superare le inibizioni relative al toccarsi e guardarsi i genitali.
Quando mi dissero due anni fa, “Con un dito puoi toccarti l’estremità del collo dell’utero”, la cosa mi incuriosì ma mi mise a disagio: non mi ero mai messa un dito nella vagina e provavo fastidio a toccarmi in quel posto “riservato” all’amante e al medico. Mi ci vollero due mesi per farmi coraggio: poi, un pomeriggio, molto nervosa, in bagno mi accucciai e infilai un dito in profondità nella vagina. Eccola lì, scivolosa e arrotondata al tatto, con al centro una scanalatura lungo la quale, mi resi conto, scendeva il flusso mestruale. Era a un tempo interessantissimo e perfettamente normale.
Verso noi stesse proviamo ancora sensi di disagio difficili da riconoscere. Non abbiamo potuto, s’intende, cancellare in cinque anni decenni di condizionamenti sociali: ma abbiamo imparato ad avere fiducia in noi, a sapere che siamo in grado di badare a noi stesse.
Come viviamo le mestruazioni
Molte di noi si sono spaventate oppure si sono sentite imbarazzate quando hanno avuto le mestruazioni per la prima volta. Siamo cresciute quasi senza sapere come e perchè sangue e tessuti a un certo punto fuoriescano e talvolta producano dolore. Alcune di noi hanno addirittura pensato di poter morire quando hanno visto per la prima volta il sangue mestruale. Altre ancora si sono sentite in qualche modo sminuite se non avevano le mestruazioni.
Mi preoccupavo molto delle mie mestruazioni. Sembrava che tutte le mie amiche le avessero già o cominciassero ad averle. Mi sentivo esclusa. Cominciai a pensarci come a un simbolo. Quando fossero arrivate, sarei diventata una “donna”.
L’inizio delle mestruazioni sarà sempre diverso per ciascuna di noi: alcune saranno felici di averle, altre le avvertiranno come un nuovo fastidio. Ma dobbiamo sempre parlarne ai nostri figli, maschi e femmine, in modo che acquistino confidenza con questo fenomeno e lo considerino con naturalezza.
Tratto da: Noi e il nostro corpo, scritto dalle donne per le donne, Feltrinelli 1974