Giuseppe Verdi e il Gattopardo

VALZER inedito di GIUSEPPE VERDI

dal film IL GATTOPARDO

Valzer brillante di Giuseppe Verdi, trascrizione per orchestra di Nino Rota dalla versione originale per pianoforte, dedicata alla contessa Maffei.

Il manoscritto fu acquistato a Roma presso una libreria antiquaria da Mario Serandrei, montatore del film, che ne fece dono a Visconti stesso. Egli ne effettuò la registrazione a Palermo in un provino con gli altri sei ballabili e l’insieme formerà il divertisserment; l’ esecuzione un po’ approssimativa che l’ orchestra ne diede fu accettata di buon grado da Visconti il quale voleva che anche nel film la qualità dell’ interpretazione testimoniasse “in campo” il carattere raccogliticcio della compagine.

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Il film Il Gattopardo, è un raffinato affresco realizzato da Luchino Visconti nel 1962 con il sistema di ripresa Technirama. Uscito nel 1963 segna una svolta nella produzione registica di Visconti: infatti “le tematiche della soggettività, quelle della solitudine e della morte, dell’enigma e della infelicità individuale [..] hanno gli stessi diritti, estetici e culturali delle tematiche dell’oggettività.[…] Il Gattopardo di Visconti puo’ essere definito un’opera di transizione: dal primo Visconti (quello dei film neorealistici) in cui il mondo oggettivo riesce a prevalere; al secondo Visconti, in cui le tematiche del decadentismo e del crepuscolo hanno il sopravvento sulle urgenze della Storia, dell’Ideologia e della Politica” (Lino Micciché)

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All’ interno del film la musica occupa un ruolo fondamentale. In molti episodi infatti la colonna sonora rimpiazza dialoghi, monologhi o situazioni  che altrimenti lo spettatore non riuscirebbe a scoprire in tutti gli aspetti. Tale funzione è evidenziata oltre che nelle scene prive di dialoghi anche ad esempio nella circolarità del mega-episodio del ballo dove l’atmosfera è sottolineata dalla musica, che costituisce una vera e propria  griglia narrativa, con la funzione di cucire insieme i vari episodi, oppure di stabilire delle volute cesure.

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Il film è tratto dal romanzo omonimo di don Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa, scritto tra il 1954 e il 1957, a seguito di una lunga meditazione interiore, fu pubblicato nel 1958 da Feltrinelli, a cura di Giorgio Bassani. La vicenda, ambientata in Sicilia, si apre nel 1860 e racconta la storia del Principe Fabrizio Corbera principe di Salina e della sua famiglia.

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Noi fummo i gattopardi, i leoni.
Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene.
E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore,
continueremo a crederci il sale della terra.

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…al suo centro, come nel libro, c’è un personaggio che domina su tutti gli altri, quello del principe palermitano Fabrizio di Salina, travagliato da una crisi personale che è anche la crisi del suo tempo. È un gentiluomo di antica razza venuto a trovarsi, per nascita, a cavallo tra due generazioni, quella che ha lealmente servito gli ultimi Borboni di Napoli e Sicilia e quella che, con lo sbarco dei Mille e la proclamazione del Regno d’Italia, si affaccia ai tempi nuovi, pronta a dimenticare il passato e a profittare dell’avvenire. Egli, però, anche se non stima gli attuali Borboni, non può dimenticare del tutto il legame che li univa a quelli passati e, per quel che riguarda l’avvenire, vede il nuovo Regno troppo facile strumento di una casta fino a ieri tenuta a distanza, per poter allearsi senza riserve a della gente che, in fondo, non apprezza; così, dopo un primo, contraddittorio e quasi cinico tentativo di venire a patti con i tempi nuovi, se ne ritrae silenziosamente, lasciando ai più giovani di seguire il destino della loro generazione.

di Gian Luigi Rondi, Il Tempo

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“Dobbiamo cambiare tutto affinchè non cambi niente”

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Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nasce il 10 ottobre 1813 a Roncole di Busseto, in provincia di Parma. Il padre, Carlo Verdi, è un oste, la madre invece svolge il lavoro della filatrice.
Fin da bambino prende lezioni di musica dall’organista del paese, esercitandosi su una spinetta scordata regalatagli dal padre. Gli studi musicali proseguono in questo modo sconclusionato e poco ortodosso fino a quando Antonio Barezzi, commerciante e musicofilo di Busseto affezionato alla famiglia Verdi e al piccolo Giuseppe, lo accoglie in casa sua, pagandogli studi più regolari ed accademici.
Nel 1832 Verdi si trasferisce quindi a Milano e si presenta al Conservatorio, ma incredibilmente non viene ammesso per scorretta posizione della mano nel suonare e per raggiunti limiti di età. Poco dopo viene richiamato a Busseto a ricoprire l’incarico di maestro di musica del comune mentre, nel 1836, sposa la figlia di Barezzi, Margherita.
Nei due anni successivi nascono Virginia e Icilio. Intanto Verdi comincia a dare corpo alla sua vena compositiva, già decisamente orientata al teatro e all’Opera, anche se l’ambiente milanese, influenzato dalla dominazione austriaca, gli fa anche conoscere il repertorio dei classici viennesi, soprattutto quello del quartetto d’archi.
Nel 1839 esordisce alla Scala di Milano con “Oberto, conte di San Bonifacio” ottenendo un discreto successo, purtroppo offuscato dall’improvvisa morte, nel 1840, prima di Margherita, poi di Virginia e Icilio. Prostrato e affranto non si dà per vinto. Proprio in questo periodo scrive un’opera buffa “Un giorno di regno“, che si rivela però un fiasco. Amareggiato, Verdi pensa di abbandonare per sempre la musica, ma solo due anni più tardi, nel 1942, il suo “Nabucco” ottiene alla Scala un incredibile successo, anche grazie all’interpretazione di una stella della lirica del tempo, il soprano Giuseppina Strepponi.
Seguiranno anni contrassegnati da un lavoro durissimo e indefesso. I titoli che sforna vanno da “I Lombardi alla prima crociata” a “Ernani“, da “I due foscari” a “Macbeth“, passando per “I Masnadieri” e “Luisa Miller“. Sempre in questo periodo, fra l’altro, prende corpo la sua relazione con Giuseppina Strepponi con la quale inizia a convivere trasferendosi a Parigi.
Dal 1851 al 1853 compone la celeberrima “Trilogia popolare”, notissima per i tre fondamentali titoli ivi contenuti, ossia “Rigoletto“, “Trovatore” e “Traviata” (a cui si aggiungono spesso e volentieri anche “I vespri siciliani“). Il successo è clamoroso.
Conquistata la giusta fama si trasferisce con la Strepponi nel podere di Sant’Agata, frazione di Villanova sull’Arda (in provincia di Piacenza), dove vivrà gran parte del tempo.
Nel 1857 va in scena “Simon Boccanegra” e nel 1859 viene rappresentato “Un ballo in maschera“. Nello stesso anno sposa finalmente la sua compagna.
Dal 1861 s’impegna anche politicamente. Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore. In questi anni compone “La forza del destino“, “Aida” e la “Messa da requiem“, scritta e pensata come celebrazione per la morte di Alessandro Manzoni.
Nel 1887, all’incredibile età di ottant’anni, dà vita all'”Otello“, confrontandosi ancora una volta con Shakespeare; nel 1893 con l’opera buffa “Falstaff“, altro unico e assoluto capolavoro, dà addio al teatro e si ritira a Sant’Agata. Giuseppina muore nel 1897.
Giuseppe Verdi muore il 27 gennaio 1901 presso il Grand Hotel et De Milan, in un appartamento dove era solito alloggiare durante l’inverno. Colto da malore spira dopo sei giorni di agonia. I suoi funerali si svolgono come aveva chiesto, senza sfarzo né musica, semplici come la sua vita era sempre stata.

Luchino Visconti – regista (1906-1976), iniziò la sua carriera nel 1943 con Ossessione; nel 1948 con La terra trema (dai Malavoglia di Verga) e nel 1952 con Bellissima diede due capisaldi del neorealismo. Con Senso (1954) da un racconto di Camillo Boito, affrontò il mondo dell’800. Dopo Le notti bianche (1957) e Rocco e i suoi fratelli (1960), diresse Il Gattopardo, che uscì nel 1963. Seguirono Vaghe stelle dell’orsa (1965), La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwig (1973). Molte le regie teatrali, anche di opere liriche soprattutto verdiane.

 LA SICILIA NEL 1860

I democratici con la spedizione garibaldina in Sicilia rilanciarono con successo la via rivoluzionaria per il raggiungimento dell’unità italiana. L’occasione per la conquista garibaldina del Regno delle Due Sicilie, dove dal 1859 regnava il giovane Francesco II, si presentò in seguito al fallimento dell’insurrezione di Palermo del 4 aprile del 1860. Il moto fu infatti facilmente domato, ma l’agitazione si diffuse nelle campagne, mentre un gruppo di intellettuali di orientamento democratico, tra cui Francesco Crispi e Rosolino Pilo, chiesero a Garibaldi di intervenire militarmente in Sicilia. Ebbe così inizio la preparazione materiale della spedizione dei mille volontari garibaldini, che all’alba del 6 maggio 1860 salpò da Quarto, in Liguria, e l’11 maggio approdò a Marsala (inizio del romanzo).

LAMPEDUSA

Lampedusa era un’isola aperta ai venti,
un crocevia di infiniti passaggi,
uno squarcio di terra arsa nel blu.
L’hanno divorata, consumata, maltrattata,
per ridurla alla dimensione quadrangolare della scatola
che ogni giorno, ad ogni ora,
ci imbruttisce, ci avvilisce, ci stordisce.
Questo palcoscenico di vento, e cielo, e miraggi,
l’hanno scurito e calpestato
per renderlo una quinta adatta ad ospitare il fetore
di una massa informe di disperati che vengono lì
lasciati ad ammassare e marcire
per ricordarci che dobbiamo avere paura.
Sentire la minaccia, l’oscurità, l’informe che vi transita,
il cupo borbottio della notte
che sta per abbattersi sul nostro benessere,
sulle nostre donne, sui nostri figli.
Se non votiamo per l’ordine e la sicurezza.
Se non ci risolveremo definitivamente a diventare
sempre un pochino di più razzisti.
Se non impareremo finalmente a capire
che l’incubo della guerra, della fama,
di un’umanità derelitta, si combatte
con altri incubi. Prodotti ad hoc.
Lampedusa è diventata uno spot.

di Marino Bocchi

Lampedusa, Linosa, Lampione:tre isole della Sicilia

La Sicilia: tre film e un regista

 

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