Essere nel mondo e col mondo

I rapporti umani racchiudono un insieme di nozioni come il pluralismo, la capacità di giudizio critico, la creatività e la dimensione temporale.
Incominciamo col dire che l’uomo è soggetto di rapporti e non solo di contatti, perché non solo è nel mondo ma fa parte del mondo. Il suo essere col mondo deriva dal suo essere aperto alla realtà, per cui egli diventa soggetto di rapporti.
Mano a mano che l’uomo risponde alle molteplicità delle sollecitazioni che gli vengono dal mondo, i suoi rapporti diventano pluralistici.
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Nel gioco continuo delle risposte l’uomo diviene un altro nell’atto stesso di rispondere. Si organizza. Sceglie la risposta migliore. Si conosce. Agisce. Opera con la sicurezza di chi usa uno strumento, e la coscienza di chi si trova di fronte ad una realtà che lo sollecita.
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Quando l’uomo coglie i dati oggettivi della realtà o i rapporti che legano un fatto ad un altro, il suo agire diventa naturalmente critico, cioè riflessivo e non riflesso, come avviene nella sfera dei semplici contatti.
Nel momento in cui l’uomo si accorge di esistere, e non solo di vivere, egli scopre la radice della sua dimensione temporale, cioè, superando la unidimensionalità del tempo, prende coscienza del passato, del presente e del futuro.
Esistere è più che vivere, perché è più che essere nel mondo. È essere nel mondo e col mondo.
Il potere di trascendere, di discernere, di dialogare (comunicare e partecipare) è esclusivo dell’esistere.
L’esistenza è individuale, ma si realizza solo in rapporto ad altre esistenze, in comunicazione con esse.
In tutta la storia della sua cultura, è questo il primo atto della conoscenza umana.
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L’uomo esiste nel tempo. Vi è immerso e ne è fuori, accoglie il passato, lo assimila, lo modifica.
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L’uomo non è soltanto uno spettatore della realtà ma è immesso nell’esercizio di un potere che gli spetta esclusivamente: il dominio della Storia e della Cultura. Ed egli lo esercita accogliendo l’esperienza del passato, creando e ricreando, integrandosi nel contesto della sua storia, rispondendo alle sfide del tempo, oggettivandosi, coscientizzandosi e trascendendo la realtà.
L’integrazione consiste nella possibilità di entrare in accordo con la realtà e allo stesso tempo di trasformarla, a cui si aggiunge il potere di scegliere, che si basa essenzialmente sul giudizio critico.
Nella misura in cui l’uomo perde la possibilità di scegliere e si adatta al giudizio degli altri, viene diminuito, perché non esercita più la sua libertà.
Non può più integrarsi, si adatta. Invece l’uomo che si integra è un soggetto. L’integrazione o la partecipazione lo rendono attivo, mentre l’adattamento lo rende passivo. Questa passività si rivela quando l’uomo, non essendo più capace di trasformare la realtà, trasforma se stesso per adattarsi. Ne deriva che coloro i quali rifiutano di adattarsi e danno prova di uno spirito rivoluzionario, sono chiamati sovversivi e disadattati.
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Ogni qual volta si opprima la libertà, l’uomo diventa un essere che può soltanto accomodarsi e adattarsi e che, circoscritto e minimizzato ad un adattamento impostogli, senza alcun diritto a discuterlo, deve per forza sacrificare la sua capacità creativa. Non si può paragonare Sparta ad Atene; Toynbee ci dice che a Sparta non esisteva dialogo, mentre ad Atene c’era una disponibilità permanente alla discussione e al dibattito delle idee. La prima era «chiusa», la seconda era «aperta». La prima era rigida, la seconda era plastica, disponibile ad accogliere il nuovo.
Nella misura in cui l’uomo crea, ricrea e decide, le epoche storiche si vanno delineando; ed è creando, ricreando e decidendo che l’uomo vi partecipa. E tanto più vi parteciperà quanto più, integrandosi nello spirito della storia, farà suoi i motivi fondamentali che la ispirano e riconoscerà i compiti che in essa gli competono.
Una delle più grandi tragedie dell’uomo moderno, per non dire la maggiore, consiste nel fatto che oggi egli è dominato dalla forza dei miti, guidato dalla pubblicità organizzata, sia essa ideologica o no, per cui sta rinunziando sempre di più e senza accorgersene alla sua capacità di decidere. L’uomo viene espulso dall’orbita delle decisioni. L’uomo semplice non coglie i compiti che gli spetterebbero perché una élite glieli presenta già interpretati e glieli consegna come si fa con una ricetta prescritta dal medico per essere soltanto applicata. E quando pensa di salvarsi osservando gli ordini, affoga nell’anonimato massificante che livella tutto, uccidendo la speranza e la fede, diviene un essere addomesticato e adattato; non è più «soggetto», è solo un «oggetto», è diventato una cosa. «Si è liberato» dice Fromm «dai vincoli esterni che gli impedivano di lavorare e di pensare d’accordo con quello che aveva creduto giusto. Adesso sarebbe libero di agire secondo la sua volontà se sapesse quello che vuole, quello che pensa e che sente. Ma non lo sa. Si adatta agli ordini di autorità anonime e adotta un io che non gli appartiene. Quanto più va avanti per questa strada, tanto più si sente costretto a conformare la sua condotta alla volontà altrui. Nonostante cerchi di ingannarsi con l’iniziativa e l’ottimismo, l’uomo moderno è schiacciato da un profondo sentimento di impotenza che gli fa guardare fisso, quasi con occhi paralizzati, le catastrofi che incombono».
Da tutto quanto si è detto risulta evidente la necessità di un permanente atteggiamento critico come unico mezzo che permetta all’uomo di realizzare la sua vocazione naturale all’integrazione, superando il semplice adattamento per assumere i temi ed i compiti specifici del suo tempo.
Si può dire che un’epoca è realizzata quando i suoi grandi temi sono colti e i suoi compiti realizzati. Invece è superata quando spuntano nuove aspirazioni che richiedono una maniera nuova di guardare le idee antiche.
Un tale spirito critico diviene indispensabile per cogliere le gravi contraddizioni esistenti tra i valori che emergono e sollecitano affermazioni e pienezza, e i valori del passato che chiedono soltanto la conservazione.
Lo choc tra lo «ieri» che si svuota ma vuol conservarsi e il «domani» che cerca nuovi contenuti caratterizza la fase di passaggio come un tempo pregno di annunci.
Quando i temi incominciano a svuotarsi di significato e nuovi temi sorgono, vuol dire che la società incomincia a passare in un’epoca nuova. È in queste fasi che l’integrazione dell’uomo diventa indispensabile. Egli deve scoprire la sua capacità di cogliere il mistero dei cambiamenti, altrimenti diventa il loro zimbello.

dal libro L’educazione come pratica della libertà – I fondamenti sperimentali della «pedagogia degli oppressi»
di Paulo Freire – Arnoldo Mondadori Editore, 1973

 

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