Che guaio chi confonde la giusta e sacrosanta necessità di essere autorevoli con l’inutile esercizio dell’autoritarismo!
Non molti anni fa un’intera generazione si è scontrata con la violenza dei propri genitori; ne è nata una transizione che ha portato a grandi conquiste di libertà (al divorzio, alla chiusura delle scuole speciali e dei manicomi). Tuttavia proprio quella stessa generazione, quando si è assunta la responsabilità di mettere al mondo i figli, ha fatalmente confuso la necessità di combattere le nuove forme di autoritarismo, con l’obbligo di essere autorevoli. Ne è nata un’immensa confusione di ruoli e relazioni: le mamme diventano le migliori amiche delle loro figlie, i padri, piuttosto che assumere una decisione, preferivano essere assenti o dire «Lascia perdere».
In poco tempo si è dunque passati dai genitori maneschi e autoritari ad altri confusi e privi di sicurezze. Caratteristiche che hanno aggravato la fragilità delle nuove generazioni di bambini e adolescenti.
Il modo più frequente di educare è oggi basato assai più sul sì che sul no e questo dipende in buona misura dai sensi di colpa che gran parte dei genitori si sentono addosso come pietre…
Non c’è maggior fragilità per un genitore che basare la propria funzione educativa su sensi di colpa irrisolti.
La regola e il divieto non hanno importanza solo in quanto istruzioni alla convivenza familiare e sociale, ma come rinforzi a un legame…
I no, come le buone regole, aiutano a crescere ancor più dei sì proprio perchè permettono a chi deve educare di manifestare autorevolezza.
Un no, perchè abbia peso e valore, deve essere spiegato, non può essere solo imposto.
Un no, come una regola, richiede coerenza, componente essenziale dell’autorevolezza.
Il passaggio dalle forme di autoritarismo a quelle di autorevolezza misura la crescita di una civiltà pedagogica.
Trent’anni fa alcuni sociologi tedeschi, riferendosi a ciò che era accaduto nel loro paese con l’ascesa al potere del nazionalsocialismo, parlavano di una «società senza padri»: ovvero di un comunità senza regole, dunque anaffettiva, che non sa educare alla relazione. Il nazismo è stato costruito da adulti incapaci di sentire emozioni.
Simone Weil scriveva:
Viviamo in un’epoca in cui la maggior parte delle persone sente confusamente, ma vivamente, che la cultura illuministica, compresa la scienza, costituisce un nutrimento spirituale insufficiente, anche se questo sentimento sta per condurre l’umanità verso i peggiori destini.
Il bisogno di spiritualità implica, rincorre la necessità di una società etica, cioè di una comunità delle regole.
di Paolo Crepet, estratto da Non siamo capaci di ascoltarli, Einaudi 2001