Una volta un mago inventò una macchina per fare le comete. Somigliava un tantino alla macchina per tagliare il brodo, ma non era la stessa e serviva per fabbricare comete a volontà, grandi o piccole, con la coda semplice o doppia, con la luce gialla o rossa, eccetera.
Il mago girava per paesi e città, non mancava mai ad un mercato, si presentava anche alla Fiera di Milano e alla Fiera dei cavalli, a Verona, e dappertutto mostrava la sua macchina e spiegava com’era facile farla funzionare. Le comete uscivano piccole, con un filo per tenerle, poi man mano che salivano in alto diventavano della grandezza voluta, ed anche le più grandi non erano più difficili da governare di un aquilone. La gente si affollava intorno al mago, come si affolla sempre intorno a quelli che mostrano una macchina al mercato, per fare gli spaghetti più fini o per pelare le patate, ma non comprava mai neanche una cometina piccola così.
«Se era un palloncino, magari, – diceva una buona donna, – ma se gli compro una cometa il mio bambino chissà che guai combina».
E il mago: «Ma fatevi coraggio! I vostri bambini andranno sulle stelle, cominciate ad abituarli da piccoli.»
«No, no, grazie. Sulle stelle ci andrà qualcun altro, mio figlio no di sicuro.»
«Comete! Comete vere! Chi ne vuole?»
Ma non le voleva nessuno.
Il povero mago, a furia di saltar pasti, perché non rimediava una lira, era ridotto pelle ed ossa. Una sera che aveva più fame del solito, trasformò la sua macchina per fare le comete in una caciottella toscana e se la mangiò.
di Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi 1962