Ah, non dimenticherò mai quel luglio caldo, quando un gruppetto di loro venne a Montecitorio. Piangevano: «Signora, con questo caldo, 14 ore chiuse dentro una camera, a servire 120 uomini al giorno, signora, non è possibile, chiuda quelle case e sarà una santa!». In carcere, io sono stata prigioniera politica in sette carceri, sognavano sempre che qualcuno le chiudesse, quelle case. Sere fa ne ho trovata una: clandestina. Vede, signora, mi dice, è sempre un gran mestieraccio: ma ora almeno vado con chi voglio e più di due o tre clienti per sera non mi permetto. Un gran sollievo. Capirà… E poi, non essendo più schedate, possono anche smettere.
…dicono che la sua legge è incostituzionale perché non tiene conto dell’articolo della Costituzione col quale lo Stato si impegna a difendere la salute del cittadino.
Io sono stata uno dei 70 soloni che hanno fatto la Costituzione, sa, la Costituzione io la conosco, e conosco l’articolo sulla salute pubblica perché l’ho voluto. Che dice questo articolo? «La Repubblica ha il dovere di difendere la salute dei cittadini purché ciò non offenda la loro dignità umana».
La accusano che la prostituzione non si sia per niente abolita, anzi che continui come prima, nella stessa brutale umiliazione morale, nello stesso sfruttamento, nella stessa desolazione.
E chi pretendeva di abolire la prostituzione? Io?!? La mia legge mirava solo a impedire la complicità dello Stato. Rilegga il titolo: «Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui». Stop. Io avevo anche aggiunto «… e contro il pericolo delle malattie veneree», ma me l’han tolto perché c’era già una legge. Davvero mi meraviglio che dica simili bestialità. La prostituzione non è mica un crimine, è un malcostume.
E ammettiamo che per taluni sia un crimine: la differenza tra le clandestine e le regolamentate è la stessa che passerebbe tra i ladri autorizzati a rubare e i ladri che come in tutto il mondo rubano di nascosto. Scusi, conosce un Paese in tutto il globo terrestre, uno solo, dove non esista la prostituzione?
La Cina, almeno a sentire le testimonianze dei cinesi. E in questo credo che siano sinceri.
Può darsi. In uno Stato dittatoriale è possibile. Le fucilano. Ma io non accetto la dittatura, nessuna specie di dittatura. Io voglio vivere in un Paese di gente libera: libera anche di prostituirsi, purtroppo. Ma libera.
Estratto da un’intervista realizzata da Oriana Fallaci e pubblicata da L’Europeo nel 1963
Commento: non ricordo commenti sulle case chiuse da parte dei miei genitori, ma ho sempre sentito nominare la senatrice Merlin con grande stima. E non credo che gli uomini di oggi siano contenti di essere percepiti come delle bestie incapaci di dominare i propri istinti sessuali…
Poi per quanto riguarda le case chiuse e la proposta di riaprirle ventilata da alcuni personaggi, vale lo stesso discorso del gioco d’azzardo: lo Stato italiano dal 1958 ha vietato con una Legge lo sfruttamento della prostituzione a difesa della dignità della donna e ora con vari pretesti la si vorrebbe promuovere e incentivare al solo scopo, diciamocelo, di rimpinguare le casse.
Lina Merlin (1887-1979) È stata maestra elementare, politica e partigiana italiana, membro dell’Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato. Il suo nome è legato alla legge 20 febbraio 1958, n. 75 – conosciuta come Legge Merlin – con cui venne abolita la prostituzione legalizzata in Italia.
Visse a Chioggia per tutta l’infanzia e la giovinezza. Conseguita la maturità magistrale si trasferisce in Francia e nel 1914 si laurea in Lingua e Letteratura Francese.
La giovane maestra cominciava a rendersi conto delle condizioni in cui vivevano le donne del suo tempo: in particolare non tollerava l’ipocrisia dei capi di famiglia religiosi e osservanti, che non trovavano alcuna contraddizione tra i loro principi e il frequentare le prostitute. Le case chiuse erano infatti considerate luogo di svago dove i giovani potevano fare esperienza, mentre sarebbe stato scandaloso per una donna avere rapporti sessuali fuori del matrimonio.
Nel 1919 un amico la invita a far parte del movimento fascista: c’è bisogno di organizzare le donne e lei sembra la persona ideale. Lina si sente attratta invece dagli ideali del socialismo che ritiene più vicini alla sua mentalità e alla sua morale. Si iscrive perciò al Partito Socialista Italiano, cominciando a collaborare al periodico “La difesa delle lavoratrici”, di cui in seguito assumerà la direzione. Collabora con il deputato socialista Giacomo Matteotti a cui riferisce nei dettagli le violenze perpetrate dalle squadre fasciste nel padovano. Quando, nel 1925, dopo l’assassinio di Matteotti, Mussolini consolida il suo potere, vengono messi al bando i partiti politici e in meno di ventiquattro mesi viene arrestata cinque volte. Inoltre nel 1926 viene licenziata dal suo impiego di insegnante perché si rifiuta di prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista, obbligatorio per gli impiegati pubblici.
In seguito alla scoperta del complotto per attentare alla vita del duce da parte di Tito Zaniboni, il suo nome viene iscritto nell’elenco dei “sovversivi” affisso nelle strade di Padova. Lina quindi si trasferisce a Milano e comincia a collaborare con Filippo Turati, ma viene arrestata e condannata a cinque anni di confino in Sardegna.
Tornata a Milano nel 1930, durante una riunione clandestina incontra il medico Dante Gallani, si sposano nel 1932, ma appena quattro anni dopo rimane vedova a 49 anni, prende parte attivamente alla Resistenza.
Dopo la Liberazione Lina si trasferisce a Roma alla direzione nazionale del PSI prendendo familiarità con l’ambiente politico della capitale, dove l’astuzia e il carrierismo, lontanissimi dalla sua concezione della politica, sembravano dominanti nella nuova classe dirigente.
Nel 1946 viene eletta all’Assemblea Costituente.
I suoi interventi nel dibattito costituzionale risulteranno determinanti per la tutela dei diritti delle donne, e lasceranno un segno indelebile nella Carta Costituzionale. A lei si devono infatti le parole dell’articolo 3: “Tutti i cittadini… sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”, con le quali veniva posta la base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna.
A lei si devono, tra l’altro, l’abolizione dell’infamante dicitura “figlio di N.N.” che veniva apposta sugli atti anagrafici dei trovatelli, l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la Legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri, e la soppressione definitiva della cosiddetta “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano.
Viene eletta al Senato della Repubblica il 18 aprile del 1948.
Il suo primo atto parlamentare fu quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l’uso statale di riscuotere la tassa di esercizio. Un incentivo alla sua azione legislativa venne dall’adesione dell’Italia all’ONU. In virtù di questo evento, il governo dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del 1948) che, tra l’altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto “la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione”.
Nella sua battaglia, Merlin seppe mostrare tutta la sua tenacia e – in virtù del rispetto e dell’autorevolezza di cui godeva – seppe ribattere in maniera efficace e tagliente alle battute, talvolta assai poco cavalleresche, che le venivano spesso rivolte nei corridoi di Palazzo Madama dai colleghi.
La sua intransigenza di militante appassionata e la sua inflessibilità con sé stessa e con gli altri, nonché la stizza di molti uomini che le imputavano la scomparsa del loro “intrattenimento” preferito, le procurarono ostilità e inimicizie persino nell’ambito del suo stesso partito. Nel 1961 le venne fatto sapere che il partito non intendeva ripresentare la sua candidatura e lei reagì strappando la tessera.
A 77 anni, nonostante le esortazioni dei suoi sostenitori che avrebbero voluto rivederla candidata anche nelle elezioni del 1963 come indipendente, Lina Merlin decise di ritirarsi dalla politica e di tornare a vivere nella sua casa di Milano.