Per molti anni, per motivi politici e interni,
si è preferito non parlare dei fatti avvenuti tra il 1943
e il 1947 al confine con la ex Jugoslavia,
dove i titini hanno compiuto crimini efferati.
Ma tenere viva la memoria è un dovere culturale,
politico, e un atto di grande impegno civile.
Daniele Biacchessi – 10 febbraio 2012
Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, essa commemora le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
Il Giorno del ricordo viene celebrato dalle massime autorità politiche italiane con una cerimonia solenne nel palazzo del Quirinale al cospetto del Presidente della Repubblica, che conferisce le onorificenze alla memoria ai parenti delle vittime.
In contemporanea in molte città si tengono celebrazioni di commemorazione presso i monumenti e le piazze dedicate ai tragici avvenimenti.
Nel 2006 l’allora presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi durante le celebrazioni dichiarò:
«L’Italia non può e non vuole dimenticare: non perché ci anima il risentimento, ma perché vogliamo che le tragedie del passato non si ripetano in futuro».
Il discorso venne ripreso nel 2007 da Giorgio Napolitano, che attribuì l’origine delle foibe a «…un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica» e sostenne come «la disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie» come della necessità di «consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra fascista a quello espresso nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia. La nuova Europa esclude naturalmente anche ogni revanchismo».
di Chiara Bartoli
(Revanchismo: spirito di rivincita)
Cosa sono le Foibe?
Le foibe sono delle cavità naturali, dei pozzi, presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell’Istria). Alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani comunisti di Tito, pseudonimo dell’uomo politico e capo militare iugoslavo Josip Broz, gettarono (infoibarono) in queste cavità migliaia di persone, alcune dopo averle fucilate, alcune ancora vive, colpevoli di essere italiane o contrarie al regime comunista yugoslavo.
Quanti furono gli infoibati?
Purtroppo è impossibile dire quanti furono gettati nelle foibe: circa 1.000 sono state le salme esumate, ma molte cavità sono irraggiungibili, altre se ne scoprono solo adesso (60 anni dopo) rendendo impossibile un calcolo esatto dei morti. Approssimativamente si può parlare di 6.000 – 7.000 persone uccise nelle Foibe, alla quali vanno aggiunte più di 3.000 persone scomparse nei gulag (campi di concentramento) di Tito.
Chi erano gli infoibati?
Gli infoibati erano prevalentemente italiani. In generale tutti coloro che si opponevano al regime comunista titino: vi erano quindi anche sloveni e croati. Tra gli italiani vi erano ex fascisti, ma soprattutto gente comune colpevole solo di essere italiana e contro il regime comunista.
Cosa vuol dire “infoibare”
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite il di ferro. I massacratori si divertivano, nella maggior parte dei casi, a sparare al primo malcapitato del gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba spingendo con sé gli altri facendo un volo di 200 metri.
Il monumento della Foiba di Basovizza
La cosiddetta “Foiba di Basovizza” è in origine un pozzo minerario: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia e successivamente giustiziati a Basovizza.
Le vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, venivano prelevate nelle case di Trieste, durante i 40 giorni di occupazione jugoslava della città (dal 1 maggio 1945). A Basovizza arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati.
Nel 1980, in seguito all’intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il pozzo di Basovizza e la Foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d’interesse nazionale. Il sito di Basovizza, sistemato dal comune di Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio delle più alte cariche dello Stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno cruciale per la dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni più tardi dal successore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 aveva dichiarato la Foiba di Basovizza “monumento nazionale”.
a cura della Lega Nazionale di Trieste e del Comitato Onoranze Martiri delle Foibe
Il Tenente Graziano Udovisi (1925-2010) è stato uno dei pochi superstiti delle foibe e ha raccontato la sua esperienza in un libro “Sopravvissuto alle foibe” e in numerose interviste, affinché gli italiani prendano coscienza di quello che è veramente successo. Per Graziano non è stato facile, però, riportare alla memoria eventi tanto drammatici: l’orlo di un baratro, e poi una morte quasi certa, dalla quale però riuscii a salvarsi. Sull’orlo del baratro della foiba di Fianona giunse il 14 maggio del 1945, trascinato dai partigiani titini. Lungo il tragitto che lo condusse da Pola sino a Chersano le vessazioni furono continue. Costringevo Graziano e i suoi compagni di sventura ad ingoiare sassi, pezzi di carta; li prendevano a calci; li costringevano a correre a testa bassa sino a sbattere la testa al muro, sino al punto di perdere coscienza. Giunti nei pressi della foiba l’angoscia colse Graziano, che però seppe fare una scelta cruciale. Liberatosi del ferro spinato che gli legava le mani, si gettò nella foiba. Dopo aver annaspato nell’acqua, riuscì a porsi in salvo trascinando con sé, e salvando, anche un altro uomo, Giovanni Radeticchio. In seguito alla sua insperata salvezza, Graziano fu processato nel Tribunale di Trieste per “collaborazionismo col tedesco invasore” e nonostante dichiarasse di “aver difeso il suolo italiano dallo slavo invasore” venne condannato. Nel 1947 fu liberato a Civitavecchia.
di Chiara Bartoli
Tratto dal blog: cadoinpiedi.it
«È in Europa che dobbiamo trovare nuovi stimoli, facendo leva anche sulle minoranze che risiedono nei nostri Paesi e costituiscono una ricchezza da tutelare, un’opportunità da comprendere e cogliere fino in fondo. È la visione europea che ci permette di superare ogni tentazione di derive nazionalistiche, di far convivere etnie, lingue, culture e di guardare insieme con fiducia al futuro».
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante le celebrazioni del Giorno del Ricordo tenutesi a Roma.
Commento: Veramente oggi si fa fatica a capire come possano essere successi fatti così e come sia possibile che tanta cattiveria unisca degli uomini contro altri uomini.
Del generale Tito ne ho sentito parlare molto da bambina, delle foibe mai, ricordo solo qualche accenno al fatto che gli italiani dovettero andarsene dalle loro case perchè la Jugoslavia aveva conquistato Fiume che era territorio italiano prima della guerra.
Una cosa che mi lasciò di stucco, fu ciò di cui venni a conoscenza nel 1990. Prima di allora del generale Tito ne avevo sempre sentito parlare bene perchè, si diceva, aveva reso possibile l’unificazione della Jugoslavia. In quell’anno andai in vacanza in Croazia dove fui ospitata da una famiglia di origine croata che abitava nei pressi di Zara, e mi fu spiegato che in realtà Tito aveva costretto i vari stati a coesistere, ma non aveva risolto alcun problema per rendere possibile un’unificazione vera e duratura e che nazionalismo e odi etnici erano soltanto sopiti. Infatti due settimane dopo a Knin e a Zara iniziarono i primi scontri ed ebbe inizio la terribile guerra civile che durò fino al 1995.