Elogio della cortesia

L’attenzione per gli altri come forma di intelligenza.

In molti ambiti della vita quotidiana (la scuola, il lavoro, la politica, lo sport, lo spettacolo) vengono esaltati il desiderio di imporsi, la spinta a primeggiare e perfino la “sana” aggressività.
Chi è più sgarbato e arrogante, più si fa notare e meglio si fa largo. A tale malinconica degradazione dei rapporti umani si rivendica la cortesia e la gentilezza e il loro pieno spessore culturale. Manifestazione di rispetto, attenzione e sollecitudine per i propri simili, la cortesia è infatti un potente strumento di composizione dei conflitti e di promozione della convivenza, una dimostrazione di intelligenza nel difficile tentativo di comprendere e valorizzare le ragioni altrui.

di GIOVANNA AXIA- Elogio della cortesia

Elogio della cortesia
di Giovanna Axia
Genere: saggistica
Editore: Il Mulino, 2012

Era da qualche tempo che mi interrogavo sul ruolo della cortesia nelle relazioni sociali, che rimanevo senza risposta alla disattenzione civile che sconfina quasi sempre nella maleducazione di chi non risponde nemmeno a un saluto (a cominciare dai miei amabili condòmini). E d’altronde non è un caso che in epigrafe sul mio blog campeggi una frase di Cormac McCarthy: “Quando non si dice più ‘grazie’ e ‘per favore’ la fine è vicina”.
Poi finalmente ho trovato questo volumetto di Giovanna Alexia (1950-2007), originariamente pubblicato nel 1996 e rimesso in circolazione nel 2012 da Il Mulino. Non si tratta di una versione aggiornata dei precetti di Giovanni Della Casa né di un abbecedario da galateo linguistico. Piuttosto, Elogio della cortesia parte da una prospettiva psicologica con incursioni nella sociolinguistica e nella sociologia per proporre una lettura della cortesia come lubrificante sociale. Pur richiamandosi nella sua accezione etimologica alle regole della vita di corte, la cortesia viene qui definita dall’autrice senza essere confinata a una mera dimensione formale, bensì come la capacità di usare il linguaggio avendo cura di non offendere i sentimenti altrui, di non limitare lo spazio di libertà degli altri.

Da questo punto di vista, la cortesia si articola su tre fattori: il potere, che lega i due attori della comunicazione; la distanza sociale (che però, diversamente dal potere, è una relazione di tipo orizzontale, laddove il potere è verticale) e il costo dell’atto linguistico. Già perché la cortesia ha “la capacità di ottenere azioni con le parole” e di conseguenza “ogni atto linguistico che in qualche modo minaccia i sentimenti degli altri ha un costo, più o meno alto, a seconda delle circostanze”. In più, come ha suggerito Goffman, la cortesia ha una faccia positiva e una negativa. Non nel senso che esista anche una cortesia negativa – per quanto esistano invece dei paradossi della cortesia, quando questa sconfina in un eccesso di formalità che sancisce freddezza e distacco (la gelida cortesia) – ma nel senso che si possono compiere atti linguistici che coincidono con l’universale “desiderio di essere liberi da imposizioni altrui e di vedere rispettato il proprio territorio”. La faccia positiva della cortesia si estrinseca invece nel “desiderio che la persona con cui sto parlando desideri per me tutte le cose che desidero io”. Ancora più interessante è vedere come la Axia, che ha esplorato a lungo le relazioni tra infanzia e cortesia per individuare il momento in cui i bambini cominciano ad apprendere le regole della cortesia, sia andata a operativizzare il concetto stesso in sede di osservazione empirica. In questo caso gli indicatori sono quattro: la forma interrogativa (per esempio: “mi dai la matita” contro “dammi la matita”); la presenza di “per piacere” (o sue varianti); l’uso dell’ausiliare (“mi puoi dare la matita?” contro “mi dai la matita?”) e la presenza di una giustificazione per la richiesta (“…ho dimenticato la mia a casa”).

Si scopre allora che intorno agli 8-9 anni i bambini sono già pienamente consapevoli di queste regole, sanno addirittura verbalizzarle, ma già a cinque sono in grado di distinguerle. Con una fitta rete argomentativa e di riscontri empirici, l’autrice mostra come l’uso della cortesia sia in stretta correlazione con l’intelligenza (sebbene la Axia trascuri di prendere in considerazione l’ipotesi di una relazione spuria condizionata dal livello culturale della famiglia di appartenenza) e come vi sia anche una base morale della cortesia.

Un libro che affonda dunque la sua forza argomentativa nella psicologia e nella filosofia del linguaggio (Austin su tutti), che traccia una precisa linea di demarcazione tra cortesia e concetti affini (dalla deferenza fino alla piaggeria come uso machiavellico della cortesia stessa), anche se non di rado inciampa su osservazioni scontate.

A lettura finita ho trovato la risposta che cercavo. Sta in queste parole: “le persone sono scortesi non tanto perché non sanno parlare bene, quanto piuttosto perché non si interessano dei sentimenti altrui o non si sforzano di capirli”. Amen.

di Stefano – saggistica.blogspot.com

Sempre nei nostri cuori

In ricordo dell’amica e collega Vanna Axia.

di Beatrice Benelli

In un periodo già triste per la scomparsa di un altro amico e collega, Alberto Mazzocco, anche Vanna ci ha lasciato, il 2 Giugno 2007. La partecipazione alla cerimonia ufficiale tenutasi al Bo’ è stata, per i più, un dolente saluto ad un’attivissima e valentissima studiosa, capace di proporre filoni diversificati di ricerca, sempre con grande creatività di idee e rigore di metodo; per alcuni, il che non significa pochi, è stato anche l’addio ad una amica, ad una compagna di avventure accademiche e culturali, ad una complice nella evoluzione intellettuale e personale.
Consapevole di tralasciare sicuramente molti aspetti qualificanti del suo lavoro (dei meriti scientifici parla da solo il suo curriculum) vorrei in questa sede evidenziare la molteplicità degli interessi scientifico-culturali di Vanna, cercando di delineare quella che mi è sempre sembrata una singolare corrispondenza fra alcuni di questi interessi e gli aspetti centrali del suo modo di essere. (Credo in realtà che questo sia vero per ciascun ricercatore, e sarebbe un buon esercizio di psicologia non spicciola riflettere sulle origini degli argomenti dei nostri studi). Inizierei dai lavori sulla  “politeness”, termine solitamente tradotto in italiano con “gentilezza” o meglio ancora  “cortesia” (come in uno dei suoi libri di maggiore successo) ma il cui vero nucleo semantico ha in sé qualche cosa di più: quella mistura di rispetto dei sentimenti degli altri, di attenzione verso gli aspetti più eleganti delle interazioni sociali, ma anche di chiarezza nel portare avanti le proprie istanze che, non a caso, contraddistingueva proprio lei, come persona.
Più recenti, e più rappresentativi del suo interesse verso la complessità dell’individuo e del comportamento, sono gli studi sul temperamento, cioè su quei fattori che fanno sì che ciascuno di noi “è quello che è”, pur potendo rientrare – come caratteristiche di base del funzionamento psicologico – in più vaste categorie di persone simili. Vanna era definibile sicuramente come “vulcanica”, (se gli studiosi del temperamento mi perdonano questa nuova tipologia) ma la sua esuberanza affettiva e intellettuale era sempre temperata da un innato senso della “appropriatezza”, cioè dalla sensibilità al contesto in cui agiva, dalla attenzione verso le regole istituzionali e dalla consapevolezza dei propri compiti e dei propri ruoli, sia nel pubblico sia nel privato. Questo aspetto, che coglie il senso dell’agire delle persone nella realtà in cui sono inserite e analizza le similarità e le differenze fra i diversi contesti sociali, è evidente proprio nei suoi studi di psicologia culturale. Infine, e forse quest’ultimo punto ha una valenza di triste profezia, la sua sensibilità alla sofferenza altrui si è, più recentemente ancora, manifestata negli studi sull’impatto emotivo nei bambini di grandi eventi traumatici (psicologia della emergenza) e soprattutto dell’insorgere di gravi malattie (psico-oncologia pediatrica).
Se da questo ritratto esce una Vanna sempre impegnata, seriosa ed efficientista, vuol dire che non è un buon ritratto, o almeno è un ritratto molto parziale: Vanna era ironica e auto-ironica, affettuosa e accogliente, con la battuta sempre pronta e con la capacità di cogliere il senso umoristico e paradossale di molte situazioni. Una delle cose più immediate che mancano (in particolare a me che ero sua vicina di studio) è la sua risata: improvvisa, prorompente e contagiosa; l’altra è il gusto per i piccoli riti, per le interruzioni “di straforo” del lavoro per andare in qualche pasticceria a “prendere il tè come le vere signore” (dal che si evince che il gusto per le cose buone era un’altra delle sue caratteristiche!).
Vanna Axia era tutto questo, e certo molto di più! Ci auguriamo di poter mantenere nel tempo affettuosi e reciprocamente benefici contatti con chi le ha voluto bene più di tutti: suo marito Gabriele e sua figlia Angela. Quest’ultima è quella che, in un tema alle elementari, ha dato il ritratto che riassume tutta la “rotondità” psicologica (e fisica!) di Vanna: “La mia mamma è comoda come una poltrona!”.

Tratto da: DPSS – Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione

 

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