Era una splendida domenica
di settembre nel parco, io e un amico
notammo uno sconosciuto, a terra,
che lottava tra la vita e la morte.
Lo portammo dal medico più vicino,
un vecchio austero.
Lo visitò per un’ora
gli fece varie iniezioni
lo rifocillò e gli diede da bere
(l’ultimo caffè che aveva in casa).
Io e il mio amico cominciammo
a temere
di dover sborsare una bella somma
e ci chiedevamo dove avremmo trovato
i soldi per pagare.
E quando poi ci diede la ricetta
per farlo ricoverare in ospedale
ci infilò un biglietto da 25 corone:
per il taxi… borbottò
e arrossì persino:
Dopo alcuni mesi leggemmo
che quel medico
era stato condannato a morte
per tradimento e attività sovversiva.
Allora penso di aver capito
per la prima volta vagamente
cosa sia pena di morte.
Václav Havel, scrittore e drammaturgo, ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo della Repubblica Ceca, è morto a Praga – città in cui era nato nel 1936 – dopo una lunga malattia. Di Havel tutti conosciamo l’impegno politico e quello di scrittore di testi teatrali: le sue opere sono state rappresentate su moltissimi palcoscenici e sono sempre stati letti in chiave politica e ideologica. In Italia è edito principalmente da Garzanti, anche se non mancano suoi titoli nei cataloghi di altre case editrici.
Oltre che drammaturgo, Václav Havel era anche poeta: da giovane, negli anni Cinquanta, faceva parte del gruppo letterario “Classe del ‘36”, gruppo che poi si è sciolto quasi subito. Nei testi poetici del giovane Havel si può notare già il tema del dissenso che poi caratterizzerà le opere della sua maturità.
di Roberto Russo
18 dicembre 2011
LA SPERANZA
“O abbiamo la speranza in noi, o non l’abbiamo; è una dimensione dell’anima,
e non dipende da una particolare osservazione del mondo o da una stima della situazione.
La speranza non è una predizione,
ma un orientamento dello spirito e del cuore;
trascende il mondo che viene immediatamente sperimentato,
ed è ancorata da qualche parte
al di là dei suoi orizzonti…”
Havel Vaclav, Disturbing the Peace
Ho letto in biblioteca
molti libri arguti sul socialismo.
Ma mentre poi rincasavo in tram
con la testa piena di concetti,
mi son reso conto
che tutti quei grandi concetti
sull’ordine più perfetto che
esista al mondo,
sono solo ridicole costruzioni di carta
se per i loro araldi non è naturale
cedere il posto in tram
a una signora anziana
o aiutare una vecchina a raccogliere
le mele cadute lungo il marciapiede.
Hope is not the conviction,
that something will work,
but it is the belief,
that something is meaningful,
no matter how it turns out.”
“Speranza e ottimismo
non sono la stessa cosa.
La speranza non è la convinzione
che una determinata cosa andrà bene,
ma la certezza che essa ha un senso,
indipendentemente da come andrà a finire.”
Omaggio a Vaclav Havel
L’uomo (e l’eroe della verità) che avrei voluto essere – Il ricordo di Michael Novak
Vaclav Havel è stato l’eroe che da ragazzo avrei voluto essere: un artista di caratura mondiale, un dissidente che per il proprio coraggio ha patito quattro anni di reclusione, un presidente saggio ed eloquente di una nazione appena liberata, un uomo sfacciatamente onesto che per la stessa onestà si può collocare tra coloro che “si rifutarono di vivere nella menzogna”. Una volta, quando finalmente il Congresso mondiale cecoslovacco fu libero di potersi riunire nel proprio paese, nel 1990, andai con loro nel famoso pellegrinaggio che veniva fatto ogni anno in una zona montuosa del Paese. Un’escursione a piedi, anche sotto la pioggia, che in passato vedeva migliaia di contadini, per due o tre notti all’addiaccio, pregare nel tentativo di sfidare il regime di allora, ateo e aggressivo. Quella volta invece il neoletto presidente Havel arrivò dall’allora Cecoslovacchia per rendere omaggio a questo appuntamento. I leader del Congresso mi avevano inserito nella delagazione che avrebbe dovuto parlare con Havel. Mi disse che lui e i suoi amici avevano studiato The Spirit of Democratic Capitalism (libro di Novak pubblicato nel 1982, ndt) un capitolo alla volta, nella sua villetta appena fuori Praga. E mi aveva invitato a fargli visita. L’ho preso in parola più di una volta. In quelle occasioni era lui a parlare, con quel misto di passione e distacco, grande visione e forte impegno, io rimanevo praticamente senza parole.
Ci sono poche parole a questo mondo alla cui presenza uno si possa sentire così tranquillo e al contempo essere testimone di tanta grandezza. E’ come un fuoco pieno di verità che brucia. Ma Havel il presidente, il drammaturgo, il politico è stato anche generoso con coloro che considerava degli amici. Aveva invitato una cinquantina di artisti e intellettuali ai suoi incontri, tra il pubblico e il privato, di “Forum 2000″, appuntamenti che si sono svolti fino allo scorso anno. La maggior parte veniva dall’Europa, un gruppetto dall’America e un’altra manciata dall’Asia. Sono stati prodotti documenti. Un succinto manifesto politico è stato discusso con un dibattito democratico e appassionato, firmato e reso noto durante un incontro pubblico. Ogni anno, abusi sui diritti umani che venivano ignorati dalla maggior parte della stampa mondiale, diventavano oggetto delle lettere di Havel, stilate a Praga con i suoi collaboratori più stretti e poi fatte girare per la raccolta delle firme. Un anno mi invitò nella capitale ceca per alcuni brevi colloqui e per consegnarmi la più onorifeficenza che il governo ceco può attribuire a un cittadino straniero: il premio Thomas Garigue Masaryk (dal nome di un eroe di Havel) le cui analisi sul comunismo scritte nel 1920, mi furono presentate ad Harvard come le migliori mai fatte sul marxismo. Insomma, alla presenza di Havel e di tanti eroi che avevano sofferto, mi sentivo un ipocrita.
Nel 1978 ero stato invitato a Praga per tenere un discorso in favore di “Charta 77″. I coraggiosi firmatari di quella protesta contro il regime languivano in prigione. Ma proprio quando mi stavo accingendo a prendere il treno per Praga dalla Polonia, l’ambasciata americana mi fece sapere che il mio visto era stato improvvisamente revocato, ed io non osai salire su quel treno. Era il 1978 e la loro sofferenza durò fino alla grande protesta che mise fine al regime, più di un decennio più tardi.
Un altro esempio di ciò che erano le persone che circondavano Havel durante quei lunghi anni: un giovane e coraggioso praghese, Pavel Bratinka, fu tra quelli che alla fine vennero arrestati. Era un fisico nucleare molto promettente e suo suocero era un alto funzionario del Partito comunista cecoslovacco. Il che non lo salvò dall’essere privato di ogni possibilità di studio e di lavoro. E condannato ad anni di lavori forzati, come fuochista a spalare carbone in un grande edificio residenziale. Invece di piangere sulla propria sorte, Bratinka scoprì che lavorando alacremente avrebbe potuto finire presto i compiti da fuochista e dedicarsi alla lettura di libri. Letture di libertà. Tenuti costantemente d’occhio dagli informatori che li circondavano, a volte tra gli stessi amici e tra i vicini di casa più degni di fiducia, questi eroi sapevano bene di essere impotenti e che nessuno avrebbe mai saputo del loro destino, nessuno avrebbe potuto modificarlo oppure occuparsene. Non passava giorno in cui ognuno di loro potesse sfuggire alla grande Menzogna. Bratinka e anche altri mi hanno confessato che la cosa peggiore era la certezza apparente che non ci fosse giustizia in questo mondo. I delinquenti governavano e avrebbero continuato a governare. I dissidenti venivano schiacciati, con l’amara certezza che non ci sarebbe stato alcun sollievo a ciò che stavano passando per un altro mezzo secolo, ben oltre il tempo della loro fine. Questa era la cosa più difficile di tutte.
In America nessuno di noi doveva affrontare niente di simile, rispetto a questi uomini e donne straordinari. Questi erano esseri umani che si erano rifiutati di vivere nella Menzogna. Anche quando la Menzogna è esplosa tutta intorno, il loro coraggio è rimasto costante, come lo stesso Havel ha dimostrato e ispirato in molti altri. Havel è il campione di coloro che “liberano i prigionieri” che minarono la persistente Menzogna pubblica, con semplice onestà, che hanno sofferto terribilmente per lo loro generosa, buona, coraggiosa e perseverante azione (“nessuna buona azione resterà impunita”). E poi nell’ultimo atto hanno portato l’inferno a crollare, senza violenza, senza spargimento di sangue, ma con un guanto di velluto. Il “guanto” della costante affermazione della verità. Potremmo dover aspettare a lungo prima di rivedere un altro Vaclav Havel.
Carlo Lazzeroni