Il giorno prima della felicità

Il giorno prima della felicità
di Erri De Luca
Genere: romanzo
Editore: Feltrinelli, 2011

Gaetano è uomo tuttofare in un grande caseggiato della Napoli popolosa e selvaggia degli anni cinquanta: elettricista, muratore, portiere dei quotidiani inferni del vivere. Da lui impara il giovane chiamato “Smilzo”, un orfano formicolante di passioni silenziose. Don Gaetano sa leggere nel pensiero della gente e lo Smilzo lo sa, sa che nel buio o nel fuoco dei suoi sentimenti ci sono idee ed emozioni che arrivano nette alla mente del suo maestro e compagno. Scimmia dalle zampe magre, ha imparato a sfidare i compagni, le altezze dei muri, le grondaie, le finestre — a una finestra in particolare ha continuato a guardare, quella in cui, donna-bambina, è apparso un giorno il fantasma femminile. Un fantasma che torna più tardi a sfidare la memoria dei sensi, a postulare un amore impossibile. Lo Smilzo cresce attraverso i racconti di don Gaetano, cresce nella memoria di una Napoli (offesa dalla guerra e dall’occupazione) che si ribella — con una straordinaria capacità di riscatto — alla sua stessa indolenza morale. Lo Smilzo impara che l’esistenza è rito, carne, sfida, sangue. È così che l’uomo maturo e l’uomo giovane si dividono in silenzio il desiderio sessuale di una vedova, è così che l’uomo passa al giovane la lama che lo dovrà difendere un giorno dall’onore offeso, è così che la prova del sangue apre la strada a una nuova migranza che durerà il tempo necessario a essere uomo.

La prima cosa che colpisce di un romanzo di Erri De Luca è il vento. C’è sempre un’aria tesa che soffia dalle parole, che si incatenano l’una con l’altra a formare file di un corteo che marcia. Questa è un’immagine. l’impressione più immediata che può venire dal suo stile. Inconfondibile, calibrato negli anni — e i suoi lettori lo sanno. Un procedere serrato, con definizioni fulminanti, un misto di dolcezza e pugno. Brevi righe come sentenze. Storie accese e un’idea ferma: trasmettere quell’universo di domande, di umori, di passioni, di sensi e di parole che precede sempre un evento, una storia che la vita ti consegna anche se non atteso. Quando lo vivi, te lo pigli, quel destino; ci sarà tempo poi per far filosofia…

Questo romanzo è infatti una storia scritta dal “dopo”, per voce del suo protagonista io narrante , su un quaderno a righe mentre ripercorre la sua e mille altre storie che ha vissuto che ha sentito, nel suo vicolo, nella sua città. Erri De Luca in questo libro sembra una sorta di  Mafuz italiano: gli basta un cortile, definisce una nazione. Gli bastano quattro personaggi umili, affresca un popolo.

di Mario De Santis

Commento: ho ascoltato Erri De Luca a “Le Invasioni Barbariche” e mi ha attratto molto per il suo modo di parlare molto sobrio e molto efficace, sembra un uomo d’altri tempi, antico, ma allo stesso tempo molto attuale. È stato il primo libro che ho letto di Erri De Luca e ho ritrovato questo stile tale e quale anche nella scrittura, con quel suo modo determinato ed essenziale di raccontare le cose pur trasmettendo nel racconto un’immagine molto vivida e reale di ciò che accade.
Il romanzo è molto scorrevole, ricco di storia italiana e della cultura napoletana, si lascia leggere…e ti prende molto in certi passi, portandoti con sè nell’immaginario.

Lo consiglio a chi cerca una lettura piacevole.

Vedi anche: Parole e passione: Erri De Luca

La libertà uno se la deve guadagnare e difendere.
La felicità no, quella è un regalo,
non dipende se uno fa bene il portiere e para i rigori.
La felicità: come mi permettevo
di nominarla senza conoscerla?

Poi mi prese la faccia fra le mani e spinse la bocca
ritoccata a rosa contro la mia respirando profondo.
Fu il più speciale dolore, una fitta agli occhi
e uno squaglio di cioccolata in bocca.

Il tempo non è un sacco, magari è un bosco.
Se hai conosciuto la foglia, poi riconosci l’albero.
Se l’hai vista negli occhi, la ritroverai.
Pure se è passato un bosco di tempo.

Anna: “Hai paura?”
    Smilzo: “Sì.”
    Anna: “Di me?”
    Smilzo: “Sì e nessun coraggio sarà bello
come questa paura.”

“Non sono al tuo fianco, Anna, io sono il tuo fianco”

  “Sei la parte mancante che torna da lontano a combaciare”

Arrivammo nello stanzone dove ero entrato dieci anni prima. Poggiai la candela su una sporgenza alta, restammo fermi. La candela buttava coriandoli di fiamme sui capelli, la fronte. I suoi occhi rispondevano alla luce con scintille. Il fiato era quieto, non spostava l’aria. Non ero sceso lì da allora, le dissi.
«Tutto in questo palazzo è più piccolo di come lo ricordo da bambina, tranne tu.»
La sua voce attraversò le età. Iniziò infantile e finì adulta. Quando arrivò al tu, mi toccò il braccio. Seguii la sua mano che me lo sollevava fino alla sua spalla. L’altro braccio andò da solo al giro del suo fianco: la figura d’inizio di un ballo.
«Ecco, così me l’ero immaginato. Tu scalavi il balcone per guardarmi, io scendevo le scale per venirti incontro. Tu avevi una segreta in una torre dove avremmo ballato. I desideri dei bambini danno ordini al futuro. Il futuro è un domestico lento, ma fedele.»
Anna parlava senza una briciola di accento, una lingua di libri. Il suo fiato erano righe accarezzate. Si fermò come per andare a capo. Toccava a me.
«Ti ho aspettato fino a dimenticare cosa. Mi è rimasta un’attesa nei risvegli, saltando giù dal letto incontro al giorno. Apro la porta non per uscire ma per farlo entrare.»
Appoggiai la tempia alla sua.
«Anna, è passata un’eternità.»
«È finita. Ora incomincia il tempo, che dura momenti.»

“Le donne hanno un’esaltazione fisica che noi non possiamo conoscere.
Noi ci possiamo esaltare per una donna, loro si esaltano per la forza contenuta dentro.
È una energia antica delle sacerdotesse che custodivano il fuoco.”

“Cominciai a leggere quei libri, seduto sulla scala a pioli dove entrava la luce. La bibbia no, Dio mi faceva impressione. Così presi il vizio di leggere.
Il primo si chiamava I tre moschettieri, ma erano quattro. In cima alla scala coi piedi a penzoloni, la mia testa imparava a prendere luce dai libri. Quando li finii ne volevo ancora.
In discesa dal vicolo dove abitavo ci stavano le botteghe dei librai che vendevano agli studenti. Fuori tenevano i libri usati in offerta nelle cassette di legno, sul marciapiede. Cominciai ad andare là, a prendere un libro e mettermi a leggere seduto per terra. Uno mi cacciò, andai da un altro e quello mi fece stare. Un brav’uomo, don Raimondo, uno che capiva senza spiegazioni. Mi dette uno sgabello per non farmi leggere per terra. Poi mi disse che mi prestava il libro se glielo riportavo senza sciuparlo.
Gli risposi grazie, che glielo riportavo il giorno dopo. Passai tutta la notte a finirlo. Don Raimondo vide che ero di parola e mi fece portare a casa un libro al giorno.
Sceglievo quelli sottili. Presi il vizio d’estate, per mancanza del maestro che insegnava le cose nuove. Non erano libri per bambini, molte parole in mezzo non le capivo, però la fine sì, la fine la capivo. Era un invito a uscire”.

Tornai verso casa continuando a pensare alle lezioni. C’era una generosità civile nella scuola pubblica, gratuita che permetteva a uno come me di imparare. Ci ero cresciuto dentro e non mi accorgevo dello sforzo di una società per mettere in pratica il compito. L’istruzione dava importanza a noi poveri. I ricchi si sarebbero istruiti comunque. La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori.

Studiavo come al solito di notte. Mi divertiva il latino, lingua escogitata da qualche enigmista. Tradurlo era cercare la soluzione. Non mi piaceva il caso accusativo, aveva un brutto nome. Bello il dativo, teatrale il vocativo, essenziale l’ablativo. Era pigro l’italiano che rinunciava ai casi.

La storia era una cucina di ingredienti, si cambiavano dosi e ne usciva tutt’un’altra pietanza.
Non potevo fare lo stesso gioco con la chimica e la fisica. Gli atomi si erano distribuiti il mondo in maniera pacifica, ma c’era stata un’epoca di guerra tra ossigeno e idrogeno prima di raggiungere la concordia attraverso la formula dell’acqua. L’acqua è un trattato di pace. La chimica era lo studio dell’equilibrio raggiunto dalla materia del mondo.

di Erri De Luca, da “Il giorno prima della felicità

 

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