Le motivazioni umane, secondo i loro obiettivi, possono venire raccolte in tre gruppi distinti: le motivazioni personali, le motivazioni famigliari, le motivazioni sociali.

LE MOTIVAZIONI PERSONALI

Sono orientate verso la conservazione dell’individuo, e la difesa e la soddisfazione dei suoi interessi vitali. Nelle forme più primitive, quelle che meno dipendono dall’esperienza e dal ragionamento, troviamo i fenomeni che sono stati raccolti sotto il nome collettivo di istinto di conservazione: l’individuo avrebbe innata dentro di sè la tendenza ad agire in modo tale da sopravvivere e da proteggersi dai pericoli. I bisogni fisiologici come la fame e la sete, con le attività del succhiare, masticare, e così via, o le reazioni di paura, di attacco e di fuga farebbero parte di queste funzioni istintive.
Successivamente, anche su questo tipo di comportamento primitivo influiscono fattori dovuti all’apprendimento e al processo di socializzazione dell’uomo. Allora più che di “istinto di conservazione”  sarebbe più appropriato parlare di “motivazione ad esistere” nel ritenere, ad  esempio, la propria sopravvivenza  indispensabile per gli altri, per la loro sopravvivenza e benessere, per la propria famiglia, per le persone care.
La motivazione ad esistere può dimostrarsi debole e, a volte, venire sopraffatta da altre motivazioni, come donare la propria vita per un ideale o per salvare la vita di altre persone, in cui il soggetto è lucido e cosciente nel suo sacrificio; oppure nei casi di suicidio, si entra nel campo patologico poichè rappresentano spesso l’epilogo di uno squilibrio psicologico.
Ai bisogni organici sopra indicati vanno aggiunti il bisogno di riposo e di sonno che variano a seconda dell’età (la privazione totale del sonno a lungo termine può portare alla morte), e anche il bisogno di attività (poche punizioni sono pesanti per un bambino come quella di dover rimanere immobile).

PSICOLOGIA DELLA NOIA

Numerosi studi sono stati fatti su quella che è stata definita privazione sensoriale: si è dimostrato che essere sottoposti per un determinato tempo a stimolazioni ridotte e, soprattutto, uniformi e monotone, prive di forma e di significato, può determinare prestazioni intellettive scadenti. Se infatti, combattere la noia in un primo momento è possibile, diventa difficilissimo o impossibile continuando l’isolamento: la mente si vuota, non riesce a concentrarsi e segue disordinatamente fantasticherie incontrollabili, che possono diventare vere e proprie allucinazioni.
Le conclusioni tratte dai risultati ottenuti, è che la monotonia quando viene spinta alle sue estreme conseguenze, deve essere considerata senz’altro dannosa.
Le ricerche sulle privazioni sensoriali sono state iniziate per conoscere le eventuali reazioni che avrebbe potuto mostrare un astronauta in condizioni di isolamento e di relativa inattività. I risultati rivestono un’importanza sociale ancora maggiore riguardo al progredire dell’automazione nell’industria e i compiti del lavoratore destinati a diventare monotoni e uniformi; gran parte degli incidenti sulle autostrade sono dovuti, molto probabilmente, alla monotonia della guida ed alla scarsa varietà di stimolazioni che si vengono ad avere, appunto, in tale circostanza.

 

La motivazione all’attività del resto è molto evidente nei primi anni di vita ed è fondamentale per prendere conoscenza del mondo: due aspetti importanti di essa sono l’esplorazione, che si rileva nel bambino ancor prima che egli sia in grado di muoversi attorno, e la manipolazione.
La curiosità è una delle motivazioni più forti, e sorge ogni volta in cui si è di fronte a uno stimolo nuovo; esiste una forte tendenza a cercare il nuovo, ad esplorare l’ignoto, a rendere massima la stimolazione che agisce sull’organismo, a mettere in azione ogni facoltà mentale. Accanto all’uomo come “organismo biologico” con i suoi bisogni fisiologici, si può dire, esiste anche un uomo “scienziato” che desidera conoscere le cose come sono, come funzionano, come si evolvono, che prova piacere nel pensare, nel tradurre in simboli, nel risolvere problemi. Molte persone trovano che il vero piacere del loro lavoro consiste nell’accettare la sfida dei problemi difficili e nel cercare la soluzione.

LE MOTIVAZIONI FAMIGLIARI

Le motivazioni familiari hanno per obiettivo la conservazione della specie, con l’instaurazione di rapporti positivi tra i due sessi e tra genitori e figli.
La tendenza generica a reagire con un atteggiamento protettivo nei confronti di piccoli esseri viventi è molto comune e si comincia ad osservare nel bambino verso la fine del primo anno di vita. Questa tendenza è alla base dell’amore per i bambini ed appartiene sia alle donne che agli uomini.
Inizialmente non si notano differenze significative tra maschi e femmine, ma col passare degli anni in genere queste ultime dimostrano di conservare tale genere di comportamento ed, anzi, di accentuarne alcune caratteristiche chiaramente sollecitate dai modelli sociali.

Con la maturità sessuale questi impulsi generali in genere si affinano ed approfondiscono per arrivare a quello che chiamiamo impulso materno, aspetto assai comune nelle specie animali.
Quali sono i fattori più importanti per definire l’impulso materno? Possiamo distinguere:

– dei componenti biologici, innati, tra cui sono molto importanti gli ormoni: la gravidanza, il parto e l’allattamento, comportano notevoli alterazioni dell’equilibrio ormonico, inducendo reazioni emotive e a modi di comportarsi particolari e ben noti nei riguardi del neonato, osservabili anche negli animali;

– dei comportamenti acquisiti con l’esperienza. Una coppia madre-figlio forma un tutto funzionale, ma bisogna sottolineare che alla sua base non c’è un fattore regolatore, un ormone o un equilibrio tra più ormoni: questi sono sufficienti per determinare un impulso materno positivo. Nell’uomo e negli animali superiori sono di fondamentale importanza le esperienze precoci vissute nelle prime fasi di vita.

Il comportamento sia materno che paterno dell’essere umano è senz’altro influenzato dalle esperienze emotive famigliari vissute nella prima infanzia:  gravi privazioni di cure possono determinare in futuro  difficoltà a trattare con i figli. Sono due lati di un medesimo processo: solitamente colui che da bambino non ha ricevuto calore, accettazione, comprensione e affetto, oltre a poter sviluppare frequenti disturbi psichici, sarà a sua volta limitato nella capacità di dare tutto questo ai propri bambini «non si può dare ciò che non si è mai avuto».

Ancora una volta le ricerche fatte con gli animali oltre a confermare questi risultati, ci vengono in aiuto per approfondirli e chiarirli nei loro particolari.

GLI ESPERIMENTI DI HARLOW

Normalmente le scimmie sono molto affezionate ai loro neonati, li allattano con amore, li tengono stretti al corpo, ed è molto difficile separarle da loro. Ma può non essere sempre così.

HARRY HARLOW, psicologo statunitense, ha compiuto esperimenti di grande interesse per chiarire le basi del rapporto madre-figlio allevando delle scimmie separate dalla madre poche ore dopo la nascita e senza alcun contatto con altre scimmie.
In modo del tutto occasionale fu osservato che queste scimmiette dimostravano un grande “attaccamento”ad un pannolino che era posto nella gabbia, dando segni di afflizione quando, una volta al giorno, esso veniva tolto per ragioni di pulizia.Ciò suggerì una serie di esperimenti in cui l’importanza dell’allattamento e di tutte le attività associate ad esso, nel produrre il vincolo affettivo per la madre, era confrontata con quella del contatto fisico del corpo.

A tale scopo, singole scimmiette furono messe assieme a due surrogati di madre: una di semplici fili di ferro e l’altra ricoperta di spugna. Alcune di loro, inoltre, venivano nutrite da una bottiglia attaccata al “petto” del fantoccio di ferro mentre altre ricevevano il latte nello stesso modo, ma dal fantoccio di spugna.
Da un punto di vista fisiologico, quindi, le due “madri” erano simili (come dimostrato dal fatto che le scimmiette consumavano la stessa quantità di latte e aumentavano di peso nello stesso modo), ma non erano tali da un punto di vista psicologico: mentre la prima dava solo cibo, la seconda dava cibo e una buona dose di stimolazioni tattili, di “calore”. I risultati dimostrarono che le scimmiette preferivano il secondo tipo di “madre” e trascorrevano la maggior parte del tempo stringendosi ad essa anche quando venivano allattate da quella fatta di fili di ferro. Se si introduceva nella gabbia della piccola scimmietta un oggetto nuovo, che incuteva paura, lei correva sempre verso il fantoccio con la spugna, che sembrava essere la fonte di sicurezza più valida; in assenza di questo il piccolo andava subito a rannicchiarsi disperata in un angolo.

Secondo HARLOW tutto ciò dimostra la grande importanza del contatto fisico con chi si prende cura del bambino per stabilire un legame d’affetto.
Una volta adulte queste scimmiette esibivano un comportamento sociale, sessuale e materno del tutto anormale: avevano una paura eccessiva di qualunque novità, non giocavano con i compagni verso cui erano molto aggressive, non accettavano il corteggiamento, non accettavano i figli mostrando una totale mancanza di interesse, ignorandoli e respingendoli ogni volta che tentavano un contatto, anche aggredendoli.
HARLOW riferisce che la maggior parte dei piccoli sarebbe perita se gli sperimentatori non si fossero presi la cura di difenderli da queste madri snaturate, di assisterli e di allattarli artificialmente. Un chiaro esempio di quanto siano importanti le prime esperienze di vita anche per le madri stesse, e per un buon adattamento dell’adulto.

 

Per quanto riguarda il bambino, sono presenti dei bisogni fondamentali, molti dei quali complementari a quelli della madre, il cui soddisfacimento è di enorme importanza per la formazione di tratti positivi della personalità adulta (Fasi di sviluppo della personalità nell’uomo).
Durante la crescita i genitori debbono amarlo senza controllarlo troppo, debbono dargli libertà di azione senza disinteressarsi di lui. Tutto questo fa sentire al bambino che vive in un ambiente sicuro, e il bisogno di sicurezza è un’altra grossa spinta nel comportamento dell’individuo.

LE MOTIVAZIONI SOCIALI

Esse tendono all’instaurazione e al mantenimento di rapporti positivi con altri individui, la cui presenza può essere necessaria per il raggiungimento di un obiettivo.
Tra le numerose motivazioni sociali, le più rappresentative sono quelle più facilmente osservabili nella vita quotidiana e sono:
– le motivazioni all’affiliazione , cioè l’adattamento al gruppo
– al potere, cioè il prestigio e il comando nel gruppo
– al successo, cioè svolgere le imprese migliori per ottenere buone valutazioni.

LE MOTIVAZIONI ALL’AFFILIAZIONE

Si manifestano «nella ricerca della compagnia, nel desiderio di essere amato ed accettato dagli altri, in quello di essere integrato in un gruppo e avere un superiore che offra garanzie di appoggio e di protezione» (ANCONA).
È opinione di alcuni psicologi che questo cercare la compagnia degli altri sia un “istinto gregario” (di subordinazione), per quanto invece oggi si tenda a ritenere che la motivazione all’affiliazione derivi da altre tendenze dell’individuo (sociali, famigliari, personali).
Il fenomeno dell’ “impronta” (imprinting) e la soddisfazione dei bisogni fondamentali, che contribuiscono a creare un speciale legame affettivo, sono in grado di spiegare le prime reazioni sociali del bambino: il cessare di piangere quando qualcuno lo prende in braccio, il riuscire a distinguere le voci umane dagli altri suoni, il sorriso in risposta al sorriso dell’adulto. (Evoluzione del comportamento sociale).

Le storie di uomini cresciuti assieme ad animali il cui comportamento generale, oltre che sociale, del tutto identico a quello tipicamente umano (come la storia di Romolo e Remo, o di Mowgli, o di Tarzan) sono frutto della fantasia. In realtà si sono verificati alcuni casi di piccoli salvati o rapiti da animali poco dopo la nascita e da loro allevati, ma quando sono stati ritrovati (dopo diverso tempo) non si sono dimostrati assolutamente in grado di adattarsi alla vita umana: come se l’ “impronta” avuta non potesse venire cancellata.
In altre parole, gli uomini NON nascono sociali, ma imparano ad esserlo. Nell’uomo la spinta a far parte di un gruppo è fortissima; la società d’altra parte, non si spiegherebbe senza una motivazione del genere.

LE MOTIVAZIONI AL POTERE

Si manifestano nella spinta a salire in alto nella gerarchia del gruppo, ad assicurarsi un prestigio superiore e a giungere a condizioni che permettano il controllo di mezzi e uomini.
Questa tendenza nell’individuo dipende dalla sua storia personale, dagli avvenimenti della sua vita, e dai modelli che egli ha trovato nel suo gruppo sociale. Indipendentemente dalle qualità fisiche o psichiche, qualunque persona può giungere ad una posizione influente grazie ad un qualche particolare che è ammirato dal gruppo. (Il prestigio e il comando nel gruppo (leader) ).
Considerando il vero e proprio bisogno di prestigio e di potere, si è notato che esso è chiaramente più osservabile in quegli individui che assumono la funzione di “capo” di loro spontanea volontà in quei gruppi in cui il funzionamento non prevede una regolare elezione di “superiori”. Questi, che hanno una personalità che è stata definita autoritaria”, tendono a dimostrare una vera e propria “fame di potere” e, di fatto, sono più dominatori, più aggressivi e prepotenti di quelli che vengono designati alla funzione di “capo” dagli altri e in modo regolare.

LE MOTIVAZIONI AL SUCCESSO

Spingono a compiere imprese nel miglior modo possibile, la cui caratteristica molto importante è il livello di aspirazione: cioè la misura che l’individuo si pone da solo nel cimentarsi in un’impresa, per giungere a dei risultati che sono considerati indice della propria bravura. Per l’individuo l’aver ottenuto nel suo passato dei successi, porta un notevole contributo all’aumento della sicurezza di sè, egli dunque può permettersi di tendere ad obiettivi più alti.

WILLIAM JAMES, uno dei fondatori della psicologia moderna scriveva:

«L’uomo con delle capacità che lo hanno sempre portato al successo nei vari campi della vita, non è predisposto ad avere i dubbi e la mancanza di fiducia in se stesso che aveva quando era piccolo. L’uomo, di contro, che ha preso un granchio dopo l’altro e che si trova a una certa età con una esperienza di fallimenti e senza aver combinato ancora niente di buono, è soggetto ad avere un mucchio di disturbi dovuti alla mancanza della sicurezza di sè, ed evita anche quei tentativi che le sue capacità gli permetterebbero, invece, di affrontare brillantemente».

Testo di riferimento: Psicologia di Mario Farnè, Giuliana Giovanelli – Signorelli, Milano 1970

Sigmund Freud e l’inconscio