Il giorno del Giudizio Universale, Dio chiamò a sé tutti gli uomini del mondo, con le rispettive consorti.
Chiamò l’Inglese e l’Inglese rispose: “Eccomi!”.
Chiamò il Cinese e il Cinese rispose: “Sono qui!”.
Uno dopo l’altro, Dio chiamò il Russo, il Francese, il Greco, l’Americano, il Giapponese, il Polacco, il Finlandese, l’Arabo, l’Australiano, il Turco, l’Indiano, il Nigeriano, il Marocchino, il Sudafricano nero e il Sudafricano bianco, il Portoghese, l’Israeliano e tutti, nella loro lingua, risposero: “Presente!”.
Di ognuno, Dio esaminò le virtù e i vizi e mandò tutti in Purgatorio: perché nessuno meritava il Paradiso, e nessuno era abbastanza malvagio per trascorrere l’eternità in un posto sgradevole come l’Inferno.
Poi Dio chiamò l’Italiano, ma non ebbe risposta. “Cosa può essergli successo, – si chiese, – perché l’Italiano sia assente?” Tornò a chiamarlo. Allora l’Italiano, vedendo che tutti si erano voltati verso di lui e lo stavano guardando, spalancò gli occhi e si mise una mano sul petto. Domandò: “Chi, io?”.
Introduzione del libro “L’Italiano” di Sebastiano Vassalli
Sebastiano Vassalli nasce a Genova il 25 ottobre 1941 da madre toscana e padre lombardo, ma vive a Novara sin da bambino. Laureato in Lettere a Milano, con Cesare Musatti, tesi su La psicanalisi e l’arte contemporanea, ha cominciato molto giovane come scrittore sperimentale, nell’alveo dell’“euforica bisboccia verbale” promossa dal Gruppo 63, ha virato verso la satira in chiave socio-politica, poi verso l’inchiesta e, alla ricerca del carattere nazionale degli italiani, ha attraversato a suo modo il romanzo storico, scrivendo intrecci in cui le storie inciampano nella grande Storia.
Senza mai dimenticare le incursioni nella contemporaneità, che è sempre rimasta la vera preoccupazione di Vassalli anche quando si è proiettato, con 3012, verso il “futuro remoto”, una specie di apparente Paradiso, per raccontare l’odio, il motore di tante azioni umane, che stava all’origine del ritorno alla guerra, dopo quasi cinquecento anni di pace. Un lungo percorso.
Da qualche anno c’è un Vassalli nuovo, ormai possiamo dirlo. Che alle forme lunghe preferisce quelle brevi come se, anche per un narratore ostinato e felice come lui, il mondo non fosse più raccontabile nella sua totalità ma per frammenti che eventualmente si ricompongono a posteriori»
Tra i suoi libri: La notte della cometa (1984), La chimera (Strega 1990), Marco e Mattio (1992). Nel 2007 L’italiano, nel 2008 Dio il diavolo e la mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni (tutti Einaudi).
di Paolo Di Stefano
Sebastiano Vassalli è fondatore delle riviste “Pianura” e “Ant. Ed.”.
I suoi lavori testimoniano del drammatico mutamento nei valori tipico della contemporaneità, della decadenza dei tempi moderni e del rifiuto dell’elegia, e lanciano un grido contro i problemi insoluti della vita sociale.
È direttore della casa editrice “El Bagatt”.
Nel 1990 ha vinto il Premio “Strega” con La chimera, nel 1991 il premio “Tascabile” per La notte della cometa e il Premio “Villafranca Padovana” con Marco e Mattio.
A cura di Mr.Blue
Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco» che oggi non si vede. Nel villaggio fantasma di Zardino, nella storia di Antonia. E così ho fatto.
Sebastiano Vassalli, La chimera (dalla Premessa)
«Nella prima pagina di Chimera sostenevo che il presente non si può più raccontare perché questo significa per un narratore di oggi sfidare i “media” sul loro stesso terreno. Il presente, in altri termini, si racconta da solo attraverso i giornali e la televisione. Ecco perché ho cercato di capire il qui e ora, di testimoniarlo attraverso grandi storie del passato. Adesso ho modificato questo mio giudizio. Il presente lo si può raccontare a una sola condizione: trattandolo cioè come se fosse defunto e facendogli l’autopsia. Ci si deve lavorare, insomma, come ho lavorato, a suo tempo, sulla Roma di Augusto»
da un’intervista di Antonio De Benedetti
Da una decina d’anni Sebastiano Vassalli fa stampare su ogni libro la dicitura «Per volontà dell’autore questo romanzo non partecipa a premi letterari»: «Mi telefonano da una località della Toscana e mi offrono di andare a ritirare un premio. Accetto e propongo di presentarmi con mia moglie. Ho già organizzato il viaggio quando mi richiamano: “Ci scusi, ma abbiamo cambiato idea. Il premio glielo diamo l’anno prossimo”. Ma come?, chiedo io. “Abbiamo parlato con Mario Luzi. Dice che quest’anno è meglio assegnare il riconoscimento a un poeta di 80 anni e passa”. Da allora ho detto basta»
da un’intervista di Mirella Serri
a cura di Giorgio Dell’Arti – Massimo Parrini
Il mestiere dello scrittore consiste nel raccontare storie. Così era ai tempi di Omero e così è ancora oggi. È un mestiere antico come il mondo, che risponde a una necessità degli esseri umani, a un loro bisogno fondamentale: quello di raccontarsi. Finché ci saranno nel mondo due persone, ci sarà chi racconta una storia e ci sarà chi ascolta una storia. Quante cose ci fanno, o si sono fatte, che non si sarebbero mai fatte se non ci fosse stata la possibilità di raccontarle!
Raccontare storie è un mestiere semplice, che però si è via via complicato nel corso dei secoli, e si è anche sviluppato in modo diversi a seconda dei luoghi. La prima grossa complicazione è stata la scrittura. Omero non scriveva la sue storie: le raccontava e basta. Oggi tutto passa attraverso la scrittura e tutto nasce dalla scrittura, anche il cinema e la televisione. Oggi chi racconta storie si chiama “scrittore”. La scrittura è la foresta che bisogna attraversare per consegnare la storia a chi vorrà ascoltarla, che non a caso si chiama “lettore”.
Da “Un nulla pieno di storie” – Sebastiano Vassalli
Era il 17 marzo del 1861 quando il Parlamento subalpino proclamò Vittorio Emanuele II “re d’Italia, per grazia di Dio e volontà della nazione”. Da allora, come si è soliti dire, l’Italia è fatta. Il “bisogna fare gli italiani” è ancora un compito in fieri. Nel corso di questi centocinquant’anni in tanti hanno scritto dell’Italia, degli italiani, del nostro “genio” e della nostra “sregolatezza”. Tra gli autori che hanno meglio dipinto il carattere degli italiani figura, a mio modo di vedere, Sebastiano Vassalli – il Manzoni senza Provvidenza, come è stato definito – che vale la pena di leggere anche nell’ottica dell’unità d’Italia. Vassalli infatti, scrivendo i suoi romanzi partendo da una poderosa ricerca storica, prova a narrare chi sia l’italiano.
Un enorme affresco dell’italiano e dell’italianità, vergato con uno stile particolarissimo (a volte anche con l’inserimento di elementi grafici) e con una capacità di descrivere storie e situazioni (con tanto di digressioni) che affascina e interroga.
di Roberto Russo
A Cremona incontrai un’infermiera nata a Novara che mi parlò di lui come di un uomo scontroso, come ognun sa, sebbene, nell’intimo, fedele a quanto è dovuto. Lo scorso anno, in treno, cominciai a parlare con un’altra donna, impegnata nell’amministrazione della sua città, la città, dico, di Sebastiano. Anche lei lo aveva conosciuto, non aveva molte occasioni d’incontrarlo, ma le poche parole che mi disse di lui, diciamo l’involontario ritratto che ne fece, somigliava a quello dell’infermiera. Sebastiano ha una legge inflessibile, che hanno pochi scrittori: non spende parole inutili, ma se vuole farti sapere o capire qualcosa di te o di ciò che hai fatto, si fa capire. È una buona legge, perché anche all’altro consente l’eloquente silenzio. Per il resto, una o due volte l’anno ci telefoniamo, compulsiamo come poco a poco, ci avviciniamo al traguardo, il traguardo lo disdegniamo, l’amicizia platonica ha questo di valoroso, che è più luccicante e sprezzante di ogni traguardo.
di Franco Cordelli
Terra d’acque – Un viaggio tra due fiumi